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10 libri per spiegare la Shoah ai più piccoli (e perché ne abbiamo bisogno)
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10 libri per spiegare la Shoah ai più piccoli (e perché ne abbiamo bisogno)

Per tutto il 2019 avrò la fortuna di lavorare nella biblioteca del mio Comune. La fortuna ma anche la responsabilità, perché fare il bibliotecario non significa solo prestare libri, ma prima di tutto fare attenzione a ciò che accade intorno a noi. Fare il bibliotecario vuol dire avere la responsabilità di fare cultura e di tramandare un certo sapere e alcuni ricordi. Perciò, in occasione del Giorno della Memoria, ho organizzato una vetrina di proposte per bambini e ragazzi e da questa stessa vetrina ho scelto dieci libri da consigliare ai piccoli lettori di Bossy, perché come scrisse Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” e via via che i sopravvissuti all’Olocausto invecchiano e si spengono, tocca a noi e alle nuove generazioni portare avanti la memoria di ciò che è stato per evitare che accada di nuovo.

Foto di Barbara Gargaglione

1.  ERO UNA BAMBINA AD AUSCHWITZ

Ero una bambina ad Auschwitz – Frediano Sessi e Marco Somà, Edizioni Einaudi

Il dramma del ghetto e del campo di concentramento, raccontato nel diario di Elissa, una bambina di otto anni che da Vienna verrà deportata prima a Varsavia e infine ad Auschwitz.

2.  LA REPUBBLICA DELLE FARFALLE

La repubblica delle farfalle – Matteo Corradini, Edizioni Rizzoli

I ragazzi del campo di prigionia di Terezìn, poco fuori Praga, chiamano così quel posto di cui sul loro giornalino settimanale riportano gli orrori e le atrocità, ma anche la solidarietà e la speranza che vivono nel lager.

3. UN LIBRO PER HANNA

Un libro per Hanna – Mirjam Pressler, Edizioni Il Castoro

Hanna e le sue amiche vogliono raggiungere la Terra Promessa. Per farlo, compiono un viaggio fino alla Danimarca, che durante la guerra si è dichiarata neutrale. Hanna vive lontano dalla madre e lavora sodo per le famiglie che la nascondono, ma è libera. Finché una notte non viene catturata dai nazisti e deportata nel campo di Terezìn.

4. L’ULTIMO VIAGGIO

L’ultimo viaggio – Irene Cohen-Janca e Maurizio Quarello, Edizioni Orecchio Acerbo

È la storia di coraggio e sacrificio del dottor Korczak, medico e pedagogista ebreo polacco, che si prese cura dei bambini dell’orfanotrofio di Varsavia fino alla loro deportazione nel lager di Treblinka.

5. L’ISOLA IN VIA DEGLI UCCELLI

L’isola in via degli Uccelli – Uri Orlev, Edizioni Salani

La mamma e il papà di Alex sono scomparsi, probabilmente catturati dalle SS. Il bambino, rimasto solo, si rifugia al 78 di Via degli Uccelli e da questa isola nascosta esce solo la notte per cercare cibo e notizie.

6. LA GUERRA DI CATHERINE

La guerra di Catherine – Julia Billet e Claire Fauvel, Edizioni Mondadori

Questo fumetto è tratto dall’omonimo romanzo e racconta della Maison d’enfants de Sevrès, fondata nel 1941 per dare un tetto agli orfani delle campagne parigine e poi divenuto nascondiglio clandestino di molti bambini ebrei.

7. STORIA DI VERA

Storia di Vera – Gabriele Clima, Edizioni San Paolo

Vera non sa perché si trovi in un campo di concentramento: i grandi dicono che è perché gli ebrei sono diversi, ma tutti siamo diversi, quindi per quale motivo alcuni devono essere schiavi e prigionieri e altri no? Vera sogna di regalare pezzetti del suo grande e caldo cuore a tutti, per scaldarsi.

8. ANNE FRANK: DIARIO

Anna Frank: il diario – Ari Folman e David Polonsky, Edizioni Einaudi

Anna Frank è il simbolo della Shoah; il suo diario, scritto durante i giorni vissuti nel nascondiglio segreto e pubblicato postumo dal padre, viene riproposto sotto forma di graphic novel.

9. STELLE DI CANNELLA

Stelle di cannella – Helga Schneider, Edizioni Salani

Fritz e David vivono in un quartiere di Berlino. Sono amici, le loro famiglie sono amiche, persino i loro gatti sono amici. Poi i nazisti salgono al potere e tutto cambia. Un libro su come la guerra trasforma le persone e le spinge a commettere gravi errori.

10. AUSCHWITZ SPIEGATO A MIA FIGLIA

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Auschwitz spiegato a mia figlia – Annette Wieviorka, Edizioni Einaudi

La docente Annette Wieviorka risponde alle domande della figlia Mathilde sull’Olocausto. Perché i nazisti odiavano gli ebrei? Perché si arrivò alla Soluzione Finale? Chi sapeva e perché nessuno fece niente? Come mai gli ebrei non si ribellarono?

Spiegare la Shoah non è mai semplice; farlo con le nuove generazioni, diventa – se possibile – ancora più complicato. Come si fa infatti a dire a un bambino che, meno di cento anni fa, in Europa c’era la guerra? Come si fa a spiegare la guerra a un ragazzino che l’ha vista solo in televisione, nei film o nei telegiornali? Che poi la guerra nei telegiornali sembra sempre così distante, come se non ci riguardasse affatto; e invece la guerra – anche se lontana – ci riguarda eccome.

Come facciamo a dire a un bambino che durante una guerra – già causa di tante vittime tra gli eserciti e i civili – le più alte cariche di uno Stato si riuniscono in una bella villa in riva a un lago poco fuori Berlino, per discutere i dettagli della Soluzione Finale? Come si spiega a un bambino la Soluzione Finale? Un gruppo di uomini cattivi ha deciso che alcune persone non hanno più il diritto di vivere in Germania e quindi vanno eliminate. Il bambino, con la sua logica semplice e sincera, direbbe che allora queste persone possono trasferirsi in un altro Paese, perché l’Europa è grande e la Germania dovrebbe impegnarsi a trovare loro un’altra casa e magari aiutarli organizzando dei mezzi di trasporto. Ma quegli uomini cattivi in realtà l’Europa la vogliono conquistare e per quelle persone indesiderate non c’è posto da nessuna parte.

Nella Soluzione Finale però le case nuove e i mezzi di trasporto sono previsti. Lunghi convogli che partono dalle principali stazioni ferroviarie di tutta Europa, con i vagoni bestiame stipati di persone fino al soffitto. Viaggi interminabili, in condizioni talmente precarie da essere inimmaginabili; viaggi verso destinazioni ignote, sperdute tra le vaste campagne dei paesi più a nord. E poi all’arrivo nelle nuove “case”, ad attenderli ci sono alti cancelli, filo spinato, torrette di guardia. Latrati di cani, ordini gridati a gran voce, bagagli abbandonati sul cemento della rampa, spari, pianti, paura e intere famiglie separate, uomini da una parte, donne e bambini dall’altra. Le nuove case sono poco distanti, chi non ce la fa a camminare può salire sui furgoni, perché gli uomini cattivi hanno pensato a tutto.

Come diciamo a un bambino che fine fanno le donne, gli anziani, i bambini, gli invalidi e tutti quelli che salgono sui furgoni? Che quei furgoni parcheggiano davanti a un edificio con un alto camino da cui esce un fumo denso e puzzolente? Come spieghiamo gli spintoni giù per le scale, le melliflue bugie: “Spogliatevi di tutto, tenete questo pezzo di sapone, ora farete una doccia calda e poi vi daremo da mangiare”; come si spiega il perché di questa recita perfetta? Le porte chiuse con il piccolo oblò per guardare dentro la stanza; i finti bocchettoni delle docce perché il gas, sotto forma di polvere, viene versato da una botola sul tetto, prontamente richiusa. Le grida, il suono sordo dei pugni contro le pareti, il rumore dei corpi che si scavalcano tra loro per raggiungere quell’angolo in cui c’è ancora prezioso ossigeno. L’assoluto silenzio che cala dopo pochi minuti.

Dovremmo dire loro del cumulo di corpi nudi uno sopra l’altro e gli uomini del Sonderkommando che devono ripulire tutto e mandare quei corpi ai forni crematori, perché c’è un altro gruppo di furgoni in arrivo col prossimo carico di persone indesiderate. E a questo punto potremmo spiegare quel fumo che esce dal camino, la cenere grassa che ricopre tutto come neve grigia, l’odore di carne bruciata nell’aria.

E poi ci sono quelli che non sono saliti sui furgoni. Quelli che dovranno passare davanti a dei dottori che, con un cenno della mano a destra o a sinistra, ne decreteranno il destino. Come diciamo a un bambino che da un lato significa la vita e dall’altro la morte? E come gli raccontiamo delle frustate e dei colpi di manganello e di quelli selezionati per “vivere” che corrono verso le loro nuove case, nel campo di concentramento? Come potremmo descrivere la perdita di identità, donne e uomini coi capelli rasati, donne e uomini con i pigiami a righe, donne e uomini senza nome, solo un numero tatuato sul braccio. E poi la crudeltà dell’appello nella piazza grande del campo alle 4 del mattino con l’orchestra che suona la fanfara; le marce fino ai campi di lavoro. Perché lo dobbiamo raccontare che se si vuole sopravvivere in quel nuovo posto si è costretti a lavorare come schiavi, in cambio di un pezzo di pane e un mestolo di brodo. Come le descriviamo a un bambino le baracche, disposte in file ordinate, in cui su ogni pagliericcio devono dormire in cinque, senza coperte e cuscini? Come gliele spieghiamo le torture, gli esperimenti medici, la fame, il freddo, la paura, la rassegnazione, la sconfitta, le selezioni? Come diciamo a un bambino che quelle persone non rivedranno mai più i loro cari e che probabilmente non rivedranno mai più nemmeno la loro libertà?

Come glielo diciamo che tra il 1933 e il 1945, per il processo di arianizzazione dell’Europa, sono morti tra i 15 e i 17 milioni di individui colpevoli solo di essere diversi?
Io, davvero, non lo so come possiamo e mi si chiude la gola ogni volta che ci penso.
 
 

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