Articolo di Livia Adinolfi
C’è qualcosa di strano in questa serie, perché ha tutto senso, scorre tutto benissimo ma manca qualcosa. Mi spiegherò meglio, ve lo prometto, ma prima andiamo con ordine: il suicidio è una realtà che la maggior parte delle persone non conosce veramente (e meno male). Chi la conosce direttamente non è qui per raccontarcela e chi la conosce indirettamente non riuscirà mai pienamente a spiegarla. Mentre guardavo i 13 episodi, mentre ascoltavo le 13 ragioni di Hannah Baker, mi sembrava tutto giusto, tutto aveva senso; è una serie che mi ha devastato emotivamente (ed è proprio questo il suo punto di forza), ma poi mi sono fermata un attimo a pensare e ho delle cose da dire.
Quando una serie, un libro, un film, è così carico di emozioni come 13 Reasons Why, il primo istinto è quello di “dargli ragione”; ovvero quello di innalzarlo a capolavoro, ritenere che tutto ciò che gli autori volevano dirci sia giusto, e questo accade perché ci hanno parlato alla pancia. Al cuore. Ci hanno stravolto. Invece è proprio quando cala l’emozione, quando la mente si raffredda, che si può veramente analizzare per bene un prodotto del genere, che parla di un tema così difficile. La mia mente si è raffreddata ed a distanza di giorni mi sono resa conto che 13 Reasons Why ha dei problemi.
Non parlerò dei problemi “tecnici”, in quanto sono piuttosto evidenti e soprattutto abbastanza tipici di un teen drama, e non parlerò del personaggio di Bryce e della tematica dello stupro, dato che non la conosco per niente, quindi escludetela o provate a escluderla dal discorso che sto per fare.
Cominciamo.
Gli effetti che un suicidio può avere su una famiglia, su una comunità, su un gruppo di amici e conoscenti sono devastanti. È peggio di come ce lo mostra la serie. Distrugge. Distrugge tutto intorno a sé, macchia. Ed è una macchia indelebile.
C’è un messaggio sbagliato che 13 Reasons Why (involontariamente, a parer mio) manda. Ovvero, che il suicidio è vendetta. È riscatto personale.
E non è così.
Il suicidio lascia inevitabilmente del senso di colpa dietro di sé, ma la vittima non colpevolizza a tal punto i suoi amici, la sua famiglia. Non dà spiegazioni. Non punta il dito. Quello lo fa chi resta.
Hannah dà una risposta ai suoi amici e conoscenti che è troppo romanzata, troppo diretta, troppo lucida, troppo sicura, troppo poco personale, troppo crudele in qualche modo.
Chi rimane dopo un suicidio, chi continua a vivere, andrà avanti tutta la vita con delle domande a cui non avrà mai la risposta. Hannah ne lascia tredici di risposte, ma a parer mio non sono sufficienti.
Se 13 Reasons Why diventa l’unica finestra che una persona, giovane o meno, ha a disposizione per vedere cos’è il suicidio, è un problema. Mi spaventa, mi spaventa molto e devo ammettere che ho anche pensato: “E se qualcuno dovesse pensare che questa è la soluzione? Se qualcuno dovesse vedere Hannah e immedesimarsi? Se qualcuno dovesse pensare che tutto questo è una gran figata e volesse emularlo?”.
Ecco, questo è il mio problema. 13 Reasons Why non è realistico. O meglio, lo è perché è vero che tutte le cose meschine che vengono dette su di te/le cose che ti vengono fatte possono creare un effetto valanga che ti travolge, ma il suicidio va oltre questo. È questo, ma con qualcosa in più. E quel qualcosa in più non viene mostrato.
Il suicidio non è una cosa che appartiene agli altri. In questa serie non viene toccata mai la sanità mentale, non viene mai toccata la vita familiare di Hannah, non viene mai toccata realmente Hannah stessa, i demoni che deve aver avuto a prescindere dalle persone intorno a lei. Vengono toccati invece degli “errori” di ragazzi che vivranno con un senso di colpa che se li mangerà vivi (si vedano Ryan, Zach, ma anche lo stesso Clay Jensen), e a quale scopo? Perché così avranno “imparato la lezione”?
13 Reasons Why secondo me è caduto nella pretesa di essere una risposta al problema del suicidio, e no, non penso che lo sia. Non basta trattare bene le persone e non fare battutine, come non basta non dire quella meschinità, essere gentili o rimanere quando qualcuno ti urla di andartene. Tutto questo non basta per salvare qualcuno che ha deciso di uccidersi.
Aiuta? Sì, probabile.
Le persone dovrebbero trattarsi con rispetto? Certamente.
Ma non basta. Non è solo questo.
Penso che 13 Reasons Why affronti molto bene il discorso sul bullismo e sul cyberbullismo, il discorso sullo stupro – nel quale volontariamente non mi sono addentrata, poiché Bryce a mio avviso è l’unico vero assassino, l’unico che meritava di avere un dito puntato addosso – e il discorso sullo slut shaming, mentre tratti un po’ meno bene il discorso della depressione, della sanità mentale, del suicidio, e di come queste tre cose siano estremamente, se non esclusivamente, personali.
Si salvano in calcio d’angolo mostrando il suicidio di Hannah senza filtri, girando e presentandoci una scena difficilissima da guardare, che dà il voltastomaco, che ci terrorizza. Hannah è sola, e quello che fa è doloroso sia per lei che per noi.
È grottesco, è sanguinolento. Giusto. Bravi. Perché altrimenti rischiava di venire veramente troppo romanzato, e invece il suicidio è questo: è sangue, è violenza, è la difficoltà fisica e mentale che si prova nel guardarlo, a concepirlo, a contemplarlo.
È un genitore, un familiare che ti trova.
È morte, una morte sporca, che macchia, ed è aberrante.
E meno male che ce l’hanno fatto vedere.
Detto questo, è un bel progetto realizzato in buona fede (a parte l’annuncio della seconda stagione, che non serviva. Proprio no). È un racconto veritiero, ma non del tutto. E la cosa che mi spaventa è che possa essere l’unico mezzo che una persona accetti per avvicinarsi alla realtà del suicidio, che si prenda tutto come oro colato quando invece bisognerebbe ampliare ancora di più il discorso, e di parecchio.
Un buon punto di partenza, forse, macchiato dalla pretesa di essere il punto di arrivo.
CONTIENE SPOILER:
Secondo me si spiega tutto meglio in “beyond the reasons”. Sì spiega che il suicidio non può essere vendetta, ma se commesso da una ragazza giovane può capitare che lei lo commetta con quella motivazione. Mi ricordo ancora il caso di qualche anno fa, con una ragazza che aveva lasciato un biglietto “adesso sarete contenti”. Inoltre anche Mr. Porter lo dice anche nell’ultimo episodio.
E secondo me sei stata ancora troppo buona con questa serie. Io da persona sotto terapia perchè severamnete depressa e con un suicidio non riuscito alle spalle, davvero mi sento irritato da Hannah e dalle sue scelte da drama queen. Ginger snaps diceva “suicide is the ultimate fuck you!” E non è vero. Non ti uccidi per vendetta, lo fai per smetterla di star male. La vendettina da drama queen, se fossi stato un destinatario delle cassette, mi ti avrebbe fatto odiare ancora di più Hannah, non mi sarei pentito. Perchè una tale minuzia per ricevere la commiserazione definitiva mi avrebbe fatto vomitare davvero.
Io non sono per niente con questo tuo commento: e lo dico da lettrice e spettatrice della serie, ma anche da studentessa che in università affronta il lato tecnico delle serie tv. A parte la lunghezza non vedo altri punti negativi. Riguardo al messaggio della serie io non credo proprio che si tratti di vendetta o una forma di riscatto personale. Secondo me da un lato, Hannah fa capire di non essere individualisti e e di non guardare al proprio orticello, ma di badare sempre alle persone che ci stanno intorno, soprattutto se si trovano in una situazione del genere: nella serie l’indifferenza di tutti (eccetto Clay) è evidente. Dall’altro credo che invece che rappresentare un esempio pessimo come lo definisci tu per confrontarsi con certe tematiche, sia invece un modo per far dire a chi in quelle situazioni è coinvolto “ehi, non è solo nella tua testa, succede veramente e si può fare qualcosa”. Altra cosa su cui non sono d’accordo è l’atteggiamento dei genitori: a differenza del libro – nel quale non vengono quasi mai citati – gli interpreti dei genitori secondo me hanno rappresentato che in modo realistico cosa significa perdere un figlio. In questo caso il suicidio è affarre anche degli altri perché è legato al bullismo: non ci si prende in giro da soli o ci si autodefinisce “slut”. Su alcune cassette posso essere d’accordo che la motivazione sia un po’ stringata, ma su una persona debole un gesto o un comportamento che per altri è un nonnulla, per altri può essere devastante.
Io non so quale serie tu abbia visto, sinceramente. E non lo dico perché voglio essere una fan accanita della serie: ma ho diversi metri di giudizio che mi fanno pensare l’opposto.
*non sono d’accordo
Non posso neanche lontanamente comprendere chi soffre di depressione e ha tentato l’estremo gesto. Ma nel libro e nella serie si parla anche di altre concause che hanno portato Hannah a fare quello che ha fatto: bullismo, cybebullismo, slut shaming e così via. In ragione delle cause, la storia di Hannah è molto simile a quella di Tiziana Cantone: ce la ricordiamo oppure se la sono dimenticati tutti? Tra le poche cose che cambiano c’è appunto l’invio di cassette: su alcune – come ho scritto precedentemente – non sono d’accordo. Ma su una persona fragile come quella rappresentata da Hannah, hanno avuto un effetto valanga. Ma Hannah non sta a rappresentare tutte le persone che soffrono di depressione. Hannah sta a rappresentare tutti quei casi che in America sono purtroppo all’ordine del giorno e che riguardano appunto le vittime di bullismo e di quei fenomeni che ho citato sopra. La serie e il libro – come ho già detto – vogliono essere come l’albatros che segnala la presenza di terraferma all’orizzonte: un segnale per dire che non si è soli quando si è vittime di bullismo, ma si può chiedere aiuto a chiunque. Purtroppo esistono casi – ci sono statistiche – che evidenziano l’aumento di casi di suicidio dovuti al cybebullismo o alle varie forme di shaming, che a lungo andare e in continuo accumulo, fanno soffrire la persona interessata. Ci sono individui che lasciano correre e altri no. Per questo è meno comprensibile il dolore che provano?
Comunque più che vendetta io parlerei di presa di coscienza del senso di colpa: ci sono delle persone nella serie che sono le cause principali del gesto di Hannah e sono innegabili. Bryce e Justin ne sono la prova. Le altre persone sono appunto delle concause che su Hannah hanno avuto un egg
* Le altre persone sono appunto delle concause che su Hannah hanno avuto un effetto valanga e l’hanno distrutta.
Quello trattato nella serie è un caso specifico. Ma i concetti di base sono comuni a tutte le vittime di bullismo, cybebullismo e vari shaming. Perché è di questo che tratta PRINCIPALMENTE la serie.
Non condivido a pieno il pensiero espresso nell’articolo ma sono piú in linea col pensiero di Irene scritto nei commenti. Ammetto, ovviemente, che la serie abbia delle lacune e non mostri a pieno ogni aspetto che può portare al suicidio e non che tratti in modo approfondito la depressione. Non penso, però, che la serie abbia la presunzione di considerarsi la rappresentazione di ogni suicidio. Penso che abbia più l’obbiettivo di parlare ai cuori delle persone per far comprendere che non si può sapere cosa stia passando la persona che abbiamo di fronte perciò bisogna fare attenzione a come ci comportiamo, vuole dimostrare che ogni piccola azione cattiva può essere una forma di bullismo e far soffrire gli altri. Personalmente la consiglio agli amici segnalando, però, che bisogna avere un certo tipo di umore per guardarla, soprattutto se, come me, la si vuole seguire tutta d’un fiato (l’ho completata in due giorni). Fa capire che molte persone sono estremamente fragili come Hannah e che la maggior parte delle persone che si comportano male non sono necessariamente malvagie (Bryce escluso). Il suicidio di Hannah non è, a parer mio, una vendetta ma penso piú che la ragazza sia arrivata ad un punto in cui non ha avuto la forza di andare avanti. Non so se avere Clay accanto avrebbe cambiato davvero qualcosa in lei ma forse l’avrebbe davvero aiutata o forse avrebbe potuto intuire qualcosa.
Non sono sicura che serva una seconda stagione ma sono curiosa di vedere come verrà sviluppata perché penso che ci sia ancora molto da dire.