TW: Violenza sulle donne
Abbiamo letto per voi il libro “Une culture du viol à la française”, scritto da Valérie Rey-Robert – autrice del blog femminista Crêpe Georgette – e pubblicato da Libertalia. Un libro che può risultare difficile da leggere quando si è statə vittime, ma che offre molti strumenti per diventare attivistə e sensibilizzare le persone che ci circondano.
Dati e cifre concrete
Questo libro è un’occasione per fare un bilancio dei dati disponibili sulle violenze sessuali. Purtroppo non sono molti, ma mostrano bene la portata del problema. Il libro si apre con questo dato scioccante: “Mezzo milione, il numero di donne adulte che ogni anno sono vittime di violenza sessuale di qualsiasi tipo nella Francia metropolitana.”
In Francia sono stati pubblicati quattro grandi rapporti sulle violenze sessuali:
1. L’indagine Enveff del 2000, che segnala che circa 48.000 donne dai 20 ai 59 anni sono state vittime di rapporti sessuali forzati nell’arco dell’anno. “Gli autori sono per lo più conosciuti dalla vittima e appartengono alla sua famiglia o sono suoi parenti.”
2. Il sondaggio “Contexte de la sexualité en France” del 2006: le donne riferiscono di aver subito rapporti sessuali forzati 3 volte più degli uomini.
3. L’indagine Virage del 2015: 52.000 donne vittime di stupro all’anno; 37.000 tentativi di stupro; 552.500 donne vittime di altre aggressioni sessuali. “Poco meno del 15% delle donne tra i 20 e i 69 anni sono vittime di aggressione sessuale in un anno”. Nel caso delle donne, “il 99% di questi atti di violenza commessi in un contesto coniugale sono commessi da un uomo e l’1% da una donna in una relazione omosessuale”. Poco più dell’1% degli uomini riferisce una qualche forma di violenza sessuale negli ultimi 12 mesi. Quasi il 4% degli uomini è stato aggredito sessualmente nel corso della sua vita, soprattutto da uomini.
4. L’indagine “Cadre de vie et sécurité”: solo l’8% delle persone che hanno subito un’aggressione sessuale hanno sporto denuncia.
A fronte di un numero così elevato di vittime, è importante ricordare che: “Gli stupratori sono persone comuni; i nostri padri, i nostri cugini, i nostri fratelli, i nostri colleghi o i nostri mariti. Le vittime siamo noi, le nostre amiche, le nostre sorelle, le nostre figlie, le nostre zie o le nostre madri.” Poco più del 40% degli stupri denunciati sono commessi da un coniuge o ex coniuge e il 90% delle denunce di stupro coniugale vengono archiviate senza un processo. Tuttavia, è solo dal 1992 che la camera penale della Corte di Cassazione ha confermato la sua giurisprudenza e riconosciuto l’esistenza dello stupro coniugale senza la presenza di altre lesioni o violenze.
Secondo un’indagine sulle molestie sessuali sul lavoro del Difensore dei diritti umani (Défenseur des droits), un quinto delle donne è vittima di molestie sessuali sul lavoro durante la sua carriera. Solo il 5% di loro sporge denuncia e il 30% lo riferisce al proprio datore di lavoro. Nel 40% dei casi, il problema viene risolto a scapito della persona che denuncia.
Valerie Rey-Robert riporta delle cifre che contribuiscono a dimostrare che la cultura dello stupro è saldamente radicata nella nostra società. “Il 20% [delle persone intervistate] ritiene che le donne possano provare piacere nell’essere costrette e che non si tratta di stupro se la vittima cede quando è sotto costrizione”, come dimostra un sondaggio condotto nel dicembre 2015 realizzato da Ipsos per l’associazione Mémoire traumatique. “Le vittime vengono accusate di mentire o di ingigantire ciò che è realmente accaduto: quasi un quarto della popolazione francese pensa che molte denunce di stupro, in realtà, non corrispondono realmente a stupri. Questo dato è in linea con l’idea sessista e misogina secondo la quale le donne sono isteriche, reagiscono troppo rapidamente e in malo modo, e che quindi non ci si deve fidare troppo di quello che possono dire.”
Eppure solo meno del 10% delle accuse di stupro sono false.
Valérie Rey-Robert cita anche diversi studi, tra cui uno che dimostra “che non esiste una correlazione tra abbigliamento e le molestie sessuali e che una donna ritenuta sexy non subisce un maggior numero di molestie. I perpetratori delle violenze sessuali sono più propensi a cercare ciò che percepiscono come atteggiamenti di sottomissione e passività nelle loro future vittime.”
Attraverso la ricerca della vulnerabilità, l’abusatore vuole assicurarsi il silenzio della vittima per correre un minor rischio di denuncia. “Le principali vittime delle violenze sessuali sono giovani donne nere non sposate; il sessismo e il razzismo strutturale fanno sì che queste donne siano denigrate, considerate in sostanza ipersessuali e bugiarde”.
In Francia, un sondaggio del 2013 di Medici del Mondo “ha rivelato che il 38% delle lavoratrici del sesso di Belleville, un quartiere di Parigi, sono state vittime di stupro. Queste tendono a non sporgere denuncia perché sanno che non verranno credute”. E le donne che non hanno i documenti in regola hanno anche paura di essere arrestate.
Negli Stati Uniti “le donne che si identificano come bisessuali sono la categoria maggiormente colpita dalle violenze sessuali (46%), seguite dalle donne eterosessuali (17,4%) e dalle lesbiche (13,1%). Una persona transgender su due subisce delle violenze sessuali nel corso della sua vita”.
Nel 2016, 3 persone su 10 incriminate per violenza sessuale sono state perseguite. Delle 12.000 persone incriminate per stupro nel 2016, 1 su 10 è stata processata per stupro in un tribunale. (Fonte: “Violenza sessuale e reati contro la morale: decisioni della procura e dell’inchiesta”, Infostat Justice, marzo 2018). Gli stupri sono commessi da uomini di tutte le classi e categorie sociali, ma quelli appartenenti alle classi agiate sono meno soggetti a processi e la fanno franca molto più spesso, e ciò porta a una rappresentazione distorta degli stupratori.
Il concetto di cultura dello stupro
Negli anni Settanta è apparso negli Stati Uniti il concetto di “cultura dello stupro”, teorizzato dalle femministe radicali. Ma è solo negli anni Dieci del Duemila che ha acquisito una più ampia diffusione. Prima, “lo stupro era visto esclusivamente come un crimine realizzato da maniaci, da pazzi con impulsi incontrollabili”. Soltanto quando le persone hanno iniziato a denunciare e a parlarne, ci si è resə conto che ci sono molte vittime, e quello che una volta si pensava fosse l’eccezione è in realtà un fenomeno sistemico. “Attraverso i gruppi di discussione, le femministe cominciano a prendere coscienza della portata delle violenze sessuali e cercano di rendere visibile il fenomeno. Mostrano così che lo stupro è un crimine commesso principalmente da uomini su donne secondo una dinamica di potere, in un sistema chiamato patriarcato. Da queste riflessioni nascono i “movimenti anti-stupro”.
“La cultura dello stupro è il modo in cui la società considera lo stupro, le vittime di stupro e gli stupratori in un particolare momento. […] Si chiama ‘cultura’ perché questi presupposti permeano la società, si trasmettono di generazione in generazione e cambiano nel tempo. La cultura dello stupro cambia a seconda dei luoghi, poiché dipende molto dalla cultura del Paese in cui ha origine. ”
Il sociologo Eric Fassin definisce la cultura dello stupro in questo modo: “Si tratta di pensare alle violenze sessuali in termini culturali piuttosto che individuali, non come un’eccezione patologica, ma come una pratica inscritta nella norma che la rende possibile tollerandola, persino incoraggiandola. Lo stupro appare quindi come un comportamento estremo in un continuum che inizia con comportamenti ordinari, considerati normali”.
La cultura dello stupro “si basa e si nutre ancora di un certo numero di preconcetti sulle violenze sessuali e provoca sistematicamente simili fenomeni osservabili: la fatalizzazione dello stupro, la giustificazione dei colpevoli, la colpevolizzazione delle vittime”.
Il concetto di cultura dello stupro è entrato progressivamente nella sfera pubblica e ha fatto in modo di affrontare i casi di stupro impuniti, che hanno permesso di “portare alla luce parti evidenti della cultura dello stupro: il senso di colpa della vittima, le giustificazioni per gli autori dei crimini, il fatto che i testimoni minimizzano lo stupro, ne ridono o cercano di giustificarlo”. Allo stesso modo, anche i media svolgono un ruolo importante nel mantenimento di questa cultura dello stupro.
Conseguenza della cultura dello stupro: non si crede alle vittime e le si fa sentire colpevoli
Se meno del 10% delle vittime sporge denuncia, è perché la loro parola è messa in dubbio, non solo dai loro parenti, ma anche dalla “polizia, dai media o dalla magistratura, e dalla società nel suo insieme”. “Quando vengono interrogate sul loro abbigliamento, sul loro atteggiamento, sul loro sorriso, sul loro comportamento, quasi inevitabilmente esse si sentono in colpa per un crimine di cui solo una persona è responsabile: la persona che lo ha commesso”, ricorda l’autrice.
I pregiudizi derivanti dalla cultura dello stupro “portano inesorabilmente all’instaurarsi di un’atmosfera in cui i colpevoli si sentono vittime e le vittime si sentono colpevoli”. Pregiudizi che non ci permettono di lottare efficacemente contro le violenze sessuali. Pregiudizi che contribuiscono a creare una mentalità per cui il numero di stupri non può certo diminuire”.
Valérie Rey-Robert cita cinque ragioni principali relative alla problematica archiviazione dei casi: quando l’indagine non è stata sufficientemente approfondita, in caso di stupro coniugale, in caso di tentato stupro, qualora si tratta di vittime vulnerabili (disabilità, depressione, alcol, ecc.), la vittima può essere portata a ritirare la sua denuncia (può essere stata minacciata).
L’autrice evidenzia anche, motivando con diversi esempi, la responsabilità dei media. “La stampa e i media in generale hanno una dose di responsabilità legata al modo in cui trattano i casi di violenza sessuale. Il modo in cui ne parlano può portare lə loro lettorə ad aderire maggiormente ai miti dello stupro e ad essere più tolleranti verso i criminali sessuali, o addirittura a scoraggiare le vittime dal denunciare. Questo include la pratica di “alienazione degli atti dai loro autori”. Si parlerà piuttosto del loro umorismo pesante (Jean-Michel Maire, Laurent Baffie), dei loro impulsi (Weinstein), della loro cultura (DSK e l’amore alla francese…)”.
Valérie Rey-Robert distingue tre preconcetti che alimentano la cultura francese dello stupro: “creare sempre una distanza tra noi e gli stupratori, da noi stessi o dagli uomini che ci sono vicini. Lo facciamo sia indicando l’Altro (il povero, l’arabo, il nero, il pazzo, il malato), sia rendendo la persona che ci assomiglia e che ha violentato una persona che, ‘in circostanze normali’, non ha nulla a che vedere con gli atti che ha commesso”; “rendere le vittime responsabili”; “avere una visione stereotipata delle violenze sessuali, il che significa spesso non vedere le violenze sessuali per ciò che sono.”
Un mezzo per controllare le donne
Valérie Rey-Robert cita Susan Brownmiller e il suo libro “Against Our Will: Men, Women, and Rape”: “Le violenze sessuali sono viste come un mezzo per controllare le donne assicurandosi attraverso lo stupro o la minaccia di stupro che esse rimangano sotto il controllo degli uomini: lo stupro è “un processo consapevole di intimidazione con cui tutti gli uomini tengono tutte le donne in preda alla paura.” Uno strumento per il sistema patriarcale.
Valérie Rey-Robert si spinge oltre: “I preconcetti che si hanno sullo stupro servono a controllare tutte le donne attraverso la paura. Inculcando il principio che le donne che “si comportano male” (concetto che può voler dire tutto e niente, ma che si manifesta nel controllo dell’abbigliamento, delle uscite, delle persone che incontrano, dell’atteggiamento, ecc.) rischiano di essere stuprate, si limita la libertà di tutte le donne che, pensando di evitare lo stupro, limiteranno la loro libertà di agire. ”
“Il concetto di cultura dello stupro presuppone il mantenimento dei ruoli di genere tradizionali. (…) La nostra società si aspetta che gli uomini siano dominanti e le donne sottomesse, che gli uomini siano aggressivi e le donne innocue, che gli uomini siano forti e le donne fragili, che gli uomini siano coraggiosi e le donne timorose.”
Il patriarcato e il sessismo pervasivi sono strettamente legati alla cultura dello stupro. L’autrice coglie l’occasione per spiegare meglio il concetto di sessismo: “Si riferisce agli atteggiamenti discriminatori nei confronti delle donne all’interno del sistema patriarcale, ma anche all’idea che gli uomini siano superiori alle donne. Dato che il patriarcato è un sistema in cui le donne sono discriminate, non esiste un sessismo anti-maschio. Certo, un uomo può essere discriminato a causa del suo sesso, ma questo atteggiamento non può essere chiamato sessista, poiché non c’è nulla di strutturale o sistemico in questa discriminazione” (NdT, più che altro è comunque una discriminazione che ha origine sempre dai ruoli di genere stabiliti dal patriarcato). Non esiste un sessismo anti-maschio, perché non è strutturale, anche se gli uomini possono ovviamente essere soggetti a stereotipi di genere.
Cedere non vuol dire essere consenzienti
Uno dei preconcetti che persistono nella cultura dello stupro è che “si crede ancora che un uomo da solo non possa stuprare una donna da sola se quest’ultima è veramente determinata [ad evitare lo stupro, NdT]”. Tuttavia, cedere non significa dare il proprio consenso, ma ciò permette spesso di assicurare la propria sopravvivenza, oltre al fatto che a volte la vittima può anche essere soggetta a un fenomeno di paralisi involontaria. “Lo stupro di una donna adulta nel XIX secolo deve essere ancora visto o udito da testimoni, oppure la vittima deve presentare ferite estremamente gravi”. Altrimenti si potrebbe pensare che lei abbia acconsentito. “Definire ciò che costituisce il consenso per le donne non è un compito facile in una società governata dal dominio maschile. Cedere non vuol dire dare il proprio consenso”. Soprattutto perché gli uomini sono in posizione di potere, che siano essi datori di lavoro, padri, mariti, ecc. “Lo stupro è una rapporto di potere nella sfera sessuale in cui non si tiene considerazione la volontà dell’altro; sono le azioni dello stupratore che devono quindi essere messe in discussione, e non quelle della vittima. Sulla base di quali elementi ha valutato che lei fosse consenziente? Come è giunto a questa conclusione? Invece di chiedere alla vittima cosa ha fatto per difendersi”.
La cultura dello stupro francese si distingue inoltre per alcune specificità: l’idea che per conquistare una donna sia necessario insistere. “La resistenza delle donne è vista come facente parte del gioco amoroso alla francese”. Tutta la cultura (letteratura, pittura, scultura) partecipa a questa ideologia, in particolare tramite l’erotizzazione degli stupri. “Tutto nasce dall’idea che le donne siano subdole: costrette dalla loro educazione a rifiutare la volontà di avere rapporti sessuali, cercheranno quindi di dare adito a questi ultimi, senza però dare l’impressione di essere consenzienti”.
Fonte
Magazine: Les Ourses à plumes
Articolo: 5 CHOSES À RETENIR DU LIVRE « UNE CULTURE DU VIOL À LA FRANÇAISE »
Scritto da: oursemallechee
Data: 20 dicembre 2020
Traduzione a cura di: Charlotte Puget
Immagine di copertina: Ehimetalor Akhere Unuabona
Immagine in anteprima: Pinterest