In Brasile, le donne sono scese in piazza per la Giornata internazionale delle donne e hanno richiesto più rispetto e meno violenza; fra i temi trattati c’erano l’aborto legale e la riforma della previdenza sociale
La Giornata internazionale delle donne negli ultimi anni è diventata un simbolo di lotta, grazie alla mobilitazione mondiale dei movimenti femministi. L’8 marzo non è soltanto il giorno in cui si regalano fiori, ma è diventato l’8M, giornata di lotta. In Brasile e all’estero, le voci dalle piazze gridano in coro e richiedono più rispetto, uguaglianza e meno violenza. In Brasile, le critiche hanno raggiunto il Presidente Jair Bolsonaro, oltre a concentrarsi sulla totale mancanza di prove, a distanza di un anno, in merito all’assassinio di Marielle Franco e Anderson Gomes, il cui primo anniversario è stato giovedì 14 marzo.
“Auguri? Solo se è perché sono viva in un Paese in cui si uccidono 13 donne al giorno”. Questa era una delle frasi scritte sui cartelli che hanno invaso l’Avenida Paulista, a San Paolo, nella marcia che ha riunito migliaia di persone davanti al Masp (Museu de arte de São Paulo). Le donne sono state le principali partecipanti della giornata, anche se molti erano gli uomini presenti, come forma di supporto ed empatia verso la lotta delle donne. Il lilla è stato il colore della manifestazione, dal momento che rappresenta il femminismo come una lotta politica universale, che supera i partiti (in Brasile nessun partito utilizza il lilla, NdT). Da lì, è partito il corteo per le vie del centro della Capitale paulistana. Il gruppo di femministe nere, “Ilu Oba De Min”, ha aperto la manifestazione e ha dato voce a tutte le proteste e le rivendicazioni femministe scrivendole su cartelli, bandiere, magliette e perfino sui propri corpi.
Le grandi tematiche discusse durante la contestazione dell’ultimo 8 marzo comprendevano la richiesta di giustizia per il caso Marielle Franco, il cui viso era stampato su uno degli striscioni che aprivano la manifestazione, e il ripudio del governo del Presidente Jair Bolsonaro (Psl, Partito social liberale, NdT), la cui carriera politica è tutta marcata da beceri discorsi maschilisti. Anni dopo aver detto che non avrebbe mai stuprato una donna brutta (riferendosi a una deputata brasiliana, Maria Do Rosario, NdT), il Neopresidente, tramite il suo account Facebook, ha colto l’occasione per fare gli auguri alle donne, mandando “alle donne brasiliane, un bacio nel cuore” e chiamandole “gioielli rari”.
Meritato risalto ha avuto anche il tema della violenza sulle donne. Molti erano i cartelli con i numeri dei casi di stupro e femminicidio. Molte delle manifestanti indossavano magliette che facevano riferimento al movimento femminista argentino “Ni Una Menos” e invocavano un rigore maggiore nella punizione dei casi di violenza domestica. Anche la sezione LGBT era presente al corteo, il quale ha reso omaggio a Luana Barbosa, donna nera e lesbica uccisa lo scorso anno in un’azione violenta della Polizia Militare nell’entroterra dello Stato di San Paolo. Un altro tema ricorrente alla manifestazione è stata la discussione sulla legalizzazione dell’aborto, tema di grande rilievo, soprattutto dopo il referendum argentino in materia, avvenuto ad agosto 2018. Tant’è che molte delle manifestanti indossavano il “pañuelo verde”, simbolo di lotta delle donne argentine.
Fernanda, 26 anni, teneva in braccio il piccolo Caetano e ha affermato di sentirsi sicura accanto a tante donne forti, ma che teme gli attuali tempi e spera di poter smascherare il maschilismo nel crescere suo figlio. “È il primo anno suo qua con me. Dato che è un maschietto, è molto significativo che sia qui. Vorrei che (il femminismo, NdT) fosse una cosa sempre presente nella sua vita”, spiega.
Con capelli bianchi e spille di Frida Kahlo e Mafalda e la frase “Nessuno lasci la mano di nessuno”, Cecília, 52 anni, afferma di emozionarsi nel vedere tanti giovani nel corteo. “Vengo ogni anno, dobbiamo mostrare la forza, di essere uniti, principalmente in un momento come questo, in cui i nostri diritti vengono costantemente minacciati. È davvero bello vedere le ragazze giovani, coetanee di mio figlio, ogni volta più impegnate, diversamente da quando ero giovane io”, sostiene.
Madin, 29 anni, non-binario, si è unito al gruppo LGBT del corteo, che ha fatto una sfilata molto emozionante, con le bandiere arcobaleno e striscioni raffiguranti il viso di Marielle Franco, anche lei attivista a favore della causa LGBT. “Non mi riconosco come donna, però è una lotta molto importante e, dal momento che è una lotta di tutti, diventa una battaglia dell’umanità. Dobbiamo tutti lottare per le donne”, dichiara.
Da zia a nipote
Il pubblico presente era molto diversificato, fra donne che hanno sempre partecipato alle manifestazioni dell’8 marzo e altre che sfilavano in corteo per la prima volta, come nel caso rispettivamente dell’avvocata Rosana Ramos e della studentessa universitaria Raquel Carvalho. Zia e nipote spiegano perché erano lì a protestare:
“Partecipare a questa manifestazione è un’azione emblematica e, sebbene molte persone intendano l’8 marzo come una data da festeggiare, anche in virtù delle loro attività commerciali, siamo nel pieno aumento dei numeri e della crudeltà per quanto riguarda i casi di femminicidi. È importante per noi riunirsi, sia in quanto società che come madri di figli LGBT, dal momento che conosciamo il dolore che si prova quando i nostri figli escono di casa senza sapere se torneranno vivi”, spiega Rosana, membro del gruppo “Madri per la diversità”, che lotta per la protezione della comunità LGBT. L’avvocata Ramos è genitore di un ragazzo bisessuale.
Sempre Rosana, inoltre, ritiene che le generazioni che oggi hanno tra 30 e 50 anni sbagliano nel criticare quelle più giovani che lottano per i loro diritti. “Questa generazione sta lottando per i diritti che i miei coetanei vigliacchi hanno scelto di ignorare. Io li incoraggio a lottare, riconosco lo sforzo dei più giovani. Sono piena di speranza, cambieremo l’attuale scenario del Brasile”, conclude.
Dall’altra parte, Raquel, nonostante sia il suo primo anno al corteo, spiega senza esitazioni, cosa l’ha portata a scendere in piazza a San Paolo contro il machismo: “Fino a qualche anno fa, era un po’ un tabù, non se ne parlava tanto e quando lo si faceva, erano discorsi pieni di pregiudizio. Essere qua oggi, l’8 marzo 2019, è una cosa molto importante per ricordarci che ci vuole rispetto e uguaglianza. Quando discuto con i miei amici, cerco sempre di ricordare loro che dobbiamo rispettarci e che dobbiamo lottare, appunto, per l’uguaglianza”, dichiara convinta la studentessa.
Anche la questione dell’incarcerazione e della privatizzazione delle carceri ha avuto spazio nella manifestazione, grazie alla presenza del “Fronte statale per la scarcerazione”. Il gruppo ha distribuito volantini in cui si riportavano dati allarmanti sul sistema carcerario e quanto esso sia crudele con le donne. “Quando una donna va in galera, generalmente tutta la sua cerchia sociale viene colpita, soprattutto la famiglia, in quanto nella maggior parte di esse la donna è l’unica responsabile della famiglia, soprattutto dal punto di vista economico. Molte continuano a esserlo anche da dentro la prigione. Inoltre, i familiari delle detenute come madri, figlie e compagne, in carcere, durante il giorno di visita, sono solitamente sottoposte a perquisizioni personali molto invadenti”, come riportato dal testo dei volantini distribuiti.
Miriam Duarte Pereira, membro di “Amparar” (Associazione di amici e familiari dei/delle detenuti/e, NdT), mette in evidenza la lotta per suo figlio, per le donne cis e transgender incarcerate e “che nessuno parla di quanto soffrano all’interno del sistema carcerario”.
“Lottiamo per le detenute i cui figli e la cui famiglia hanno bisogno di loro. Alla maggior parte delle donne in carcere è negato il ricorso alla pena. Risulta, dunque, impossibile per queste uscirne prima del tempo previsto. Tante sono abbandonate là dentro, a causa della brutta situazione economica delle loro famiglie, che è peggiorata ancora di più con l’attuale governo”, spiega l’attivista, che cita la definizione di libertà delle madri detenute con figli fino all’età di 12 anni, secondo il STJ (Tribunale Superiore di Giustizia. Nonostante sia previsto dalla normativa del STJ che le donne detenute madri di figli fino all’età di 12 anni dovrebbero aver diritto al ricorso alla pena, questo diritto viene loro negato, NdT).
“Io, come familiare, conosco il dolore che si prova quando si ha un parente in carcere. È molto costoso mantenere un detenuto, gli diamo veramente di tutto, dai prodotti per l’igiene personale ai vestiti e al cibo. Sono cose che mancano spesso là dentro e che, però, sono indispensabili alla loro sopravvivenza”, racconta la madre, che è da un anno che non vede il figlio detenuto a causa dell’alto costo del suo mantenimento. Deve scegliere se inviargli i prodotti o andare a visitarlo.
I sindacati, quali quelli dei giornalisti e degli insegnanti dello Stato di San Paolo e alcuni partiti politici, hanno anch’essi partecipato al corteo, così come il collettivo “Democracia Corintiana” (movimento politico democratico, nato negli anni ’80 all’interno della squadra di calcio Corinthians in opposizione alla dittatura militare, NdT). La protesta a San Paolo è terminata intorno alle 21, nei pressi di Praça Roosevelt (nel centro di San Paolo, NdT).
A Rio de Janeiro, invece, città in cui Marielle Franco è nata, sono state predominanti le richieste di verità sul suo assassinio. Mônica Benício, compagna della parlamentare uccisa, ha camminato insieme ai manifestanti e ha fortemente voluto un cartello con la frase “Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?”, detta dall’attivista prima della sua uccisione. Almeno 47 città in tutto il Brasile hanno protestato l’8 marzo, tra cui le 17 capitali degli Stati del Paese sudamericano.
Le statistiche e la violenza
In Brasile, il diritto alla vita è negato in diverse situazioni, come hanno ricordato i gruppi responsabili dell’organizzazione del corteo. Quando i manifestanti hanno raggiunto l’incrocio tra l’Avenida Paulista e Rua Augusta (un luogo di San Paolo, simbolo della causa LGBTQ+ e manifestazioni politiche, NdT), un gruppo di poesia ha letto un manifesto firmato da 99 enti brasiliani che è stato distribuito durante la contestazione. Un gruppo performativo, invece, ha macchiato di rosso la bandiera brasiliana, volendo rappresentare con questo il sangue delle donne vittime di femminicidio.
“Fino al 4 febbraio 2019, sono state assassinate 126 donne. Nel 2017, in Brasile si è concentrato il 40% di tutti i femminicidi registrati in Sud America, secondo i dati della CIDH (Comissão Interameridana de Direitos Humanos). Delle 2.339 donne vittime di armi da fuoco nel 2016, 560 sono state uccise dentro la loro casa. Fra marzo 2016 e marzo 2017, il 66% delle donne uccise da aggressione fisica o percosse hanno subito la violenza in ambito domestico; il 97% di esse sono state assassinate dai loro partner (marito, fidanzato o compagno) o ex partner, di cui il 75% dei casi motivati da separazioni, gelosia o maschilismo, secondo i dati del Pubblico Ministero di San Paolo”, come ha enunciato una rappresentante dei gruppi di movimenti sociali.
Di seguito, i dati presentati hanno coinvolto anche le donne nere. “La tassa di omicidio di donne nere è il 73% superiore al numero delle donne non nere uccise. In 10 anni, l’indice è cresciuto del 15,4% tra le prime ed è calato dell’8% fra le ultime, in base alle statistiche dell’Atlas da Violência 2016 (l’Atlante della violenza, NdT)”, sottolinea la stessa attivista, passando ai dati riguardanti la violenza nei confronti della popolazione transgender.
“Ogni 48 ore, una persona transgender è assassinata in Brasile, il Paese con il più alto tasso di omicidi di transessuali al mondo. I numeri sono il doppio rispetto al Messico, Paese che ottiene il 2° posto in classifica. Del numero totale, il 67% delle vittime sono giovani, di età fino a 29 anni. Mentre l’aspettativa di vita della popolazione brasiliana è di 75,6 anni, una donna trans vive soltanto 35 anni, secondo i dati dell’IBGE (Istituto brasiliano di geografia e statistica, NdT)”, conclude la militante.
“L’America Latina sarà tutta femminista”
Oltre il Brasile, migliaia di donne hanno occupato le piazze di altri Paesi sudamericani alla ricerca di diritti. Tale è il caso di Buenos Aires, la Capitale argentina, in cui le donne, munite di cartelli e striscioni, si sono riunite davanti al Congresso nazionale dell’Argentina, da dove è partito il corteo. Hanno percorso Avenida de Mayo e gli argomenti trattati erano piuttosto simili a quelli esposti in Brasile: diminuzione della violenza sulle donne, uguaglianza fra donne e uomini, oltre al mantenimento della lotta per il diritto all’aborto legale, tema che ha portato le donne argentine a scendere in piazza diverse volte lo scorso anno, sempre a Buenos Aires. In mezzo alla folla, uno striscione registrava anche il caso della barbarie a cui è stata sottoposta Marielle Franco.
Manifestazioni anche in Uruguay, Germania e Spagna. In questo ultimo Paese, ad esempio, le donne hanno aderito a uno sciopero generale contro il gender pay gap. Alcuni mezzi di comunicazione spagnoli hanno partecipato e hanno deciso di non inviare nessuna giornalista a fare la copertura della giornata delle donne in lotta.
Fonte
Magazine: Ponte Jornalismo
Articolo: 8 de março, 2019 – Por Marielle Franco e contra Bolsonaro
Autori: Arthur Stabile, Julia Lee, Maria Teresa Cruz e Olavo Barros
Data: 9 marzo 2019
Traduzione a cura di: Bruna A. Paroni
Foto in copertina: Daniel Arroyo – Ponte