Articolo di Alessandra Vescio
In America, dalla Nigeria
Il miglior regalo che un libro possa fare è aiutare a cambiare prospettiva. Abituati a guardare la realtà attraverso una certe lente, un bel libro sa aprire porte, togliere veli e scuotere animi. Ad alcuni sembrerà banale, ad altri difficile da comprendere a fondo, ma in effetti – se ci pensiamo – i mondi che scopriamo dentro e attraverso un libro possono davvero educarci e farci cambiare opinione sulle cose; ed è bellissimo quando succede con tutto ciò che crediamo di sapere ma che alla fine ci accorgiamo di non conoscere affatto.
Ecco, questo è ciò che ha scatenato in me «Americanah» di Chimamanda Ngozi Adichie. Terzo lavoro dell’autrice nigeriana dopo «L’ibisco viola» e «Metà di un sole giallo», «Americanah» è ambientato tra gli anni Novanta e i Duemila e racconta la storia di Ifemelu, una giovane donna della popolazione Igbo che decide di lasciare la Nigeria per andare a studiare in America. Molti coetanei di Ifemelu lo avevano già fatto, altri avrebbero voluto ma non avevano i requisiti necessari per essere ammessi in un’università americana, tutti – in ogni caso – immaginavano l’America come quel mondo in cui i sogni si realizzano, in cui tutto è possibile e le ambizioni diventano obiettivi concreti. Sostenuta dal fidanzato Obinze e da tantissima voglia di mettersi in gioco, Ifemelu parte carica di speranze. Quello che succederà, una volta aver messo piede in America, si rivela ai suoi occhi come assurdo e inaspettato, spesso difficile da interpretare.
Ifemelu, l’America e l’identità
È in America infatti che Ifemelu scopre il razzismo e l’emarginazione, l’ipocrisia dei bianchi che chiamano “bellissime” le donne nere, fingono di non vedere il colore della pelle e tentano di espiare la loro “white guilt” con un po’ di beneficenza. È in America che Ifemelu si ritrova a dover ascoltare e subire opinioni sulle sue origini costruite su una visione paternalistica e impregnate di presunzione, che difficilmente si riescono a smontare: non è concepibile per gli americani, ad esempio, che ci sia un’intera generazione che voglia scappare dall’Africa non per colpa della guerra o della fame, ma per quell’ «opprimente letargia della mancanza di scelta» che si respira in Nigeria. Deve esserci dell’altro, deve esserci la povertà a farli andare via, deve esserci una conclamata affermazione di inferiorità degli africani rispetto al continente americano. Ed è sempre in America infine che Ifemelu scopre di essere nera.
Attraverso eventi, dialoghi, incontri, prese di posizione e un blog in cui racconta cosa voglia dire essere africani in America, Ifemelu si addentra in una concezione dell’etnia a tratti paradossale e costruisce la sua identità di donna nera africana in un Occidente pieno di contraddizioni. Si accorge presto infatti che i neri per l’America sono tutti uguali e che l’etnia non equivale a un insieme di storia e cultura ma si identifica col colore della pelle. Non importa da dove arrivi e quali siano le tue origini: se hai la pelle scura, sei nero. E se sei nero, sei uguale a qualunque altro nero. Lo dice bene Ifemelu in uno dei suoi post del blog:
«Cari Neri Non Americani, quando fate la scelta di venire in America, diventate neri. Chiusa la discussione. Smettetela di dire sono giamaicano o ghanese. All’America non interessa. Che importa se nel vostro Paese non eravate “neri”? Ora siete in America. Abbiamo tutti i nostri momenti di iniziazione nella società degli ex ne*ri. La mia è avvenuta in una classe al college quando mi hanno chiesto di dare il punto di vista nero, solo che non avevo idea di cosa fosse. Quindi mi sono inventata qualcosa.»
E non è solo la scoperta di essere nera a scuoterla: lo è soprattutto quella connotazione negativa che gli americani immediatamente e in modi diversi associano al suo colore della pelle. All’inizio la protagonista di «Americanah» prova a confondersi e identificarsi con una cultura che non è la sua, a perdere l’accento britannico imparato da bambina e a stirarsi e stressarsi i capelli per ottenere un look quanto più vicino ai canoni di bellezza occidentale. Proprio dai capelli, da intendersi come atto concreto e metafora sorprendente, avrà inizio la presa di coscienza di sé. «La bellezza è manipolazione politica», dice altrove Chimamanda Ngozi Adichie e in «Americanah» i segnali di ciò sono molteplici. Ifemelu infatti non solo si scontra con gli stereotipi relativi alle sue origini, ma anche al suo essere donna. Ed essere una donna nera africana in America diventa un viaggio ai limiti del paradosso.
Le tecniche narrative di «Americanah»
Non soltanto cosa ma anche come la storia è raccontata, affascina e tiene incollati alle pagine: varie sono le coordinate spazio-temporali, i generi letterari e le lingue protagoniste. La vicenda infatti si svolge in tre continenti diversi associati a diverse fasi della vita di Ifemelu e del fidanzato Obinze che, riscontrando troppe difficoltà per raggiungere l’America dopo l’11 settembre, vivrà per qualche tempo in un’ambigua e impenetrabile Inghilterra. La lingua parlata principalmente è l’inglese, che nelle sue vesti britanniche è un ostacolo mentre se americano diventa la chiave d’accesso alla nuova cultura. Molti sono poi i termini e i proverbi Igbo, che appaiono come marcatori identitari anche quando hanno la mera funzione di enfatizzare qualcosa che è già stato detto. E lo stesso titolo Americanah, infine, acquisisce un significato rilevante: in modo ironico infatti è con questo appellativo che i nigeriani si rivolgono a chi trascorre un lungo periodo in America e, quando ritorna, sembra aver dimenticato qualunque cosa riguardi l’Africa, accento compreso.
La struttura narrativa poi è quella del romanzo di formazione, all’interno del quale però si intrecciano generi e prospettive diverse. La storia di Ifemelu, che si apre nel presente e ripercorre il passato attraverso numerosi flashback, è raccontata in terza persona, così come quella di Obinze; ma il romanzo accoglie anche pagine del blog in cui la protagonista parla in prima persona, e poi lettere, satira sociale e dettagli autobiografici della stessa scrittrice, oggi nota soprattutto per il discorso tenuto alla conferenza TED dal titolo «Dovremmo essere tutti femministi» (in Italia pubblicato da Einaudi).
A prescindere da tutto questo, Adichie definisce «Americanah» essenzialmente come una storia d’amore.
Perché leggere «Americanah»
Tanto complesso quanto stimolante, impossibile da descrivere in modo esaustivo in un semplice articolo, «Americanah» è un libro che si divora e che difficilmente si dimentica. Grazie a una struttura narrativa dinamica, a un contenuto ricco di spunti e a un modo di raccontare vivace, il romanzo di Adichie infatti resta addosso per molto tempo, con tutte quelle domande e quelle nuove consapevolezze che ha scatenato dentro. Perfetto insomma per chi non è mai stanco di saperne di più.