L’argomento è complesso e delicato, ma cerchiamo di affrontarlo nel modo più semplice possibile.
La disforia di genere esiste – sebbene parlare di tematiche come transgenderismo e transessualità nel nostro paese sia considerato ancora una sorta di tabù – e si manifesta nei soggetti interessati già nella prima infanzia, verso i 3-4 anni.
Perché allora sentiamo raramente parlare di bambini transgender, se gli adulti che decidono di iniziare il percorso di transizione di genere avvertono la necessità di questo cambiamento praticamente da sempre? La risposta non è del tutto ovvia e scontata.
Certamente parte della motivazione sta nel fatto che è molto difficile trovare un ambiente socio-familiare comprensivo e ben disposto ad accettare che il proprio figlio o la propria figlia si identifica con il genere opposto rispetto a quello di nascita.
L’altro lato della medaglia però consiste nel fatto che prima di giungere ad una piena e matura consapevolezza di sé e della propria identità occorre un percorso di crescita personale e psicologica, insomma occorre tempo. Il cammino di crescita dei bambini non consiste solo nella “scoperta del mondo attorno a sé” ma anche ed in primis nella “scoperta di sé e del proprio corpo”, e questo rapporto con il proprio corpo appunto cresce e si evolve nel tempo.
Oggi vorrei parlarvi di due storie, due belle storie, accomunate proprio da queste riflessioni.

Qualche mese fa un video è diventato virale su internet. Si tratta del coming out di Tom Sosnik, un ragazzino americano di soli tredici anni.
Tom ha radunato la sua famiglia, i suoi amici ed compagni di classe, e ha letto loro un breve discorso in cui spiega la sua scelta di vivere pubblicamente come un ragazzo. Ha maturato la sua decisione di fare un annuncio in modo così forte e aperto in seguito alla notizia del suicidio di Leelah Alcorn, una ragazzina transgender di diciassette anni che si tolse la vita lo scorso dicembre in seguito alle pesanti e negative reazioni della famiglia di fronte alla sua volontà di vivere pubblicamente come una donna, essendo invece nata biologicamente maschio (vi avevamo già raccontato di questa vicenda, potete rileggere l’articolo qui).
Dice Tom:
Non sono più Mia, non lo sono mai stato davvero. Adesso finalmente posso mostrarmi apertamente di fronte a voi nella mia vera ed autentica identità di genere, in quanto Tom. Sono un ragazzo di tredici anni. […] Per un po’ ho nascosto il fatto che odiavo il mio corpo, ho finto di essere contento di ciò che per nascita mi era stato attribuito, finché ad un certo punto non ce l’ho più fatta. Ho attraversato una serie di orribili momenti di sconforto e depressione, mi ritrovavo a piangere quando si trattava di farmi una doccia. Sapevo di non essere felice, e non mi sembrava giusto che invece tutte le persone attorno a me lo fossero.
La forza ed il coraggio di Tom nel rivendicare il suo diritto di vivere apertamente la sua identità di genere hanno destato tantissima ammirazione. E’ raro vedere un ragazzo così giovane e già così consapevole di sé, spinto da matura determinazione nell’annunciare alla sua comunità la sua decisione. Merito di tutto ciò sicuramente è anche il ruolo dei genitori, che hanno supportato il figlio in questo momento importante, non negandogli l’amore e il rispetto di cui aveva bisogno.
Tom infatti si dice grato e fortunato per il sostegno ricevuto a livello famigliare, e si augura di ottenere la stessa accoglienza e comprensione anche da parte delle altre persone, nello specifico gli amici ed i compagni di scuola.
L’altra storia è invece quella di John Jolie-Pitt. Nel dicembre 2014 Brad Pitt si presenta alla prima di “Unbroken”- film prodotto e diretto dalla moglie Angelina Jolie che in quell’occasione era impossibilitata a presenziare causa varicella – in compagnia di tre dei sui figli. L’attenzione mediatica è immediatamente catturata dal ragazzino biondo, combinazione perfetta dei lineamenti di mamma e papà, che sfoggia orgogliosamente capelli corti ed un completo da uomo, proprio come il padre e i due fratelli. La cosa ha incuriosito tanto i presenti all’evento, ed i mass media successivamente, perché colui che adesso si fa chiamare John è in realtà nato come Shiloh, ed è -biologicamente parlando – una bambina di nove anni.
I genitori hanno pubblicamente dichiarato che sin da quando aveva circa due anni il figlio (il pronome maschile qui è espressione della sua volontà adesso) si identifica come maschio e ha espressamente chiesto di essere chiamato, appunto, John. Brad e Angelina si sono da subito dimostrati aperti e favorevoli ad assecondare la sua volontà, concedendogli lo spazio e la libertà di cui ha bisogno per esplorare e mettere in discussione la sua identità di genere, senza però allo stesso tempo subire pressioni per definire apertamente e definitivamente la questione alla sua giovane età.
La cosa che i Pitt hanno capito è che John ha bisogno di tempo per maturare consapevolezza di sé, e che se vorrà potrà abbracciare pubblicamente un’identità maschile, ma nessuno lo costringerà a farlo, né tanto meno gli dirà quando dovrà prendere una decisione a tale proposito.

Queste due storie sono un bellissimo esempio di come dei genitori hanno reagito positivamente di fronte alla ricerca della propria identità di genere dei figli, non tirandosi indietro o negando il loro amore ed il loro sostegno proprio nel momento in cui ne avevano più bisogno.
Mi piace sperare che un giorno (magari non troppo lontano) tutto ciò sarà la normalità, che non servirà nemmeno che qualcuno si metta a scrivere un articolo per raccontare storie simili – perché non saranno più considerate “notizie” – e che ragazzi e ragazze come Leelah non arriveranno a porre fine alla propria vita a diciassette anni perché rifiutati dalle stesse persone che li hanno messi al mondo.