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Breve storia dell’isteria e delle sue conseguenze
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Breve storia dell’isteria e delle sue conseguenze

Articolo di Benedetta Geddo

isteria
/i·ste·rì·a/

sostantivo femminile
Nel linguaggio medico, nevrosi con instabilità emotiva, talvolta accompagnata da disturbi motori

Der. di ister(ico) • sec. XVIII

Prima o poi, la parola “isteria” l’abbiamo utilizzata tutt*, che fosse rivolta a noi stess* o ad altr*. “Guarda, oggi sto a tanto così da una crisi isterica“, “Sì ma calmati che sembri isteric*“, e altre varianti sul tema. È una parola diffusa, ma è anche una parola spesso poco capita e fraintesa. Soprattutto, è una parola con una storia lunga e significativa ma non abbastanza conosciuta: la storia dell’isteria però andrebbe conosciuta, soprattutto perché ha ancora delle conseguenze sul mondo contemporaneo.

La parola “isteria” viene dalla parola greca ὑστέρα, traslitterata hystéra, ossia “utero”. Il fatto che la sua origine sia legata all’organo centrale dell’apparato genitale femminile sottolinea e allo stesso tempo spiega la connessione che c’è tra l’isteria e il mondo femminile: nell’immaginario collettivo, sono sempre le donne a essere isteriche, a soffrire di isteria. E l’isteria è stata considerata una “malattia femminile” fin dall’antichità, quando si pensava che a causarla fosse uno spostamento dell’utero nel corpo; un’immagine che a noi sembra assurda ma che era ben radicata ai tempi, talmente tanto che un sinonimo di isteria in inglese è wandering womb, “grembo vagabondo”.

Le prime tracce di questa idea arrivano a noi dall’Antico Egitto, dove un papiro del XX secolo a.C. descrive lo spostamento dell’utero nel corpo della donna come la causa di ogni sua possibile malattia fisica o mentale. Posizioni simili erano dominanti nell’Antica Grecia (alcuni sintomi comuni di isteria erano il non riuscire a sposarsi o avere figli) e consequenzialmente poi nell’Antica Roma: Ippocrate, nel suo Corpus Hippocraticum, risalente al IV secolo a.C., sostiene che la cura migliore per l’isteria fosse il matrimonio, dal momento che lo spostamento dell’utero è da attribuire all’astinenza sessuale e al suo essere vuoto, senza una gravidanza al suo interno. In generale, alcuni sintomi dell’isteria ritenuti comuni nel mondo antico sono appunto il non riuscire a sposarsi o avere figli, cose quindi che deviano dalla “normale” vita di una donna.

Con l’arrivo del Medioevo e con il solidificarsi della morale cristiana (dove la castità era una virtù d’importanza fondamentale e Sant’Agostino ricordava puntualmente che ogni sofferenza umana deriva dal peccato) l’isteria diventa manifestazione incontrovertibile della presenza del demonio e delle forze maligne. Per le donne che soffrono di isteria le opzioni non sono tante: nel migliore dei casi vengono esorcizzate perché si ritiene siano possedute dal demonio, nel peggiore vengono arrestate, processate e giustiziate con l’accusa di stregoneria (dalla pubblicazione del Malleus Maleficarum nel 1487 ancora di più). Paracelso è invece il primo medico a considerare l’isteria come una malattia mentale, staccandosi sia dall’idea che sia causata da presenze infernali nel corpo delle donne sia da quella dell’utero vagabondo: secondo Paracelso l’isteria sarebbe causata da un “raffreddamento” dell’utero, che diventa acido, causando vapori che infettano tutti gli altri organi causando quindi convulsioni e spasmi. È anche il primo a teorizzare che la malattia potrebbe avere una componente inconscia, anche se ovviamente la comprensione del lato inconscio della mente umana all’epoca è molto limitato.

La teoria di Paracelso, formulata attorno al XVI secolo, diventa quella più popolare nel Settecento e le cause dell’isteria diventano quindi neurologiche. I rimedi consigliati però sono sempre cambiamenti nella dieta, massaggi, distrazioni per concentrare la mente su altro: ma è anche comune prescrivere oppio alle pazienti, causandone poi la dipendenza, o iniettare varie sostanze direttamente all’interno dell’utero. Ci sono ricerche in corso su quanto possa essere storicamente attendibile la nozione molto diffusa che un trattamento contro l’isteria fosse la stimolazione del clitoride fino a portare la paziente all’orgasmo: sembra in realtà che non fosse per niente una pratica comune, nonostante l’idea sia diventata incredibilmente popolare, arrivando fino a Hollywood.

L’idea prevalente in questi anni (ma ha poi mai smesso di essere prevalente?) è che le donne siano controllate in tutto e per tutto dal loro sistema riproduttivo, perché l’unica funzione della donna è appunto quella di partorire figli e di essere madre. Tutto viene curato comunque partendo dall’utero, anche nel momento in cui è appurato che l’utero non vaga per il corpo ma resta sempre nello stesso posto. Questo perché la femminilità è ritenuta una natura intrinseca, e quindi l’isteria si spiega come una malattia nata dal fatto che quella natura intrinseca non è soddisfatta: la donna che non si attiene al suo ruolo “naturale,” quello di madre guardiana della virtù, allora potrebbe molto facilmente ammalarsi di isteria.

Durante l’Ottocento, una paziente a cui viene diagnosticata l’isteria può venire ricoverata in un ospedale o finire chiusa in un manicomio. In generale, le condizioni non sono proprio ottimali: le pazienti vivono in isolamento (perché questo è quello che si intende per “cura di riposo”), viene impedito loro di leggere o scrivere o vedere i propri cari. L’idea settecentesca della donna condizionata sopra ogni altra cosa dal proprio sistema riproduttivo imperversa: si ritiene che tutto quello che ha a che fare con esso, dalla pubertà alla gravidanza, indebolisca troppo il fisico già fragile delle donne, rendendole quindi più suscettibili a malattie come l’isteria. È il motivo per cui era opinione essenzialmente di chiunque che le donne non dovessero entrare in politica o nel mondo del lavoro o in quello accademico: erano troppo deboli per reggere simili pesi.

C’è poi da sottolineare come le diagnosi d’isteria di questi anni seguissero la falsariga delle idee di classismo e supremazia bianca: solo le donne bianche e di buona estrazione sociale ricevevano diagnosi di isteria. Era una convinzione radicata che le donne non bianche non fossero in grado di provare dolore, e quindi nessun dottore si interessava particolarmente a loro – a meno che non si trattasse di usarle come cavie per degli esperimenti.

Dall’Ottocento, quando il medico francese Jean-Martin Charcot studia le pazienti dell’ospedale Salpêtrière di Parigi e associa per la prima volta all’isteria aspetti che saranno poi sviluppati più avanti, si giunge a Sigmund Freud. Freud parte proprio dalle intuizioni di Charcot, ossia che negli attacchi d’isteria abbiano un enorme peso la sfera affettiva e i traumi subiti in precedenza. Alla sua formazione contribuisce anche l’aver assistito Josef Breuer nel trattamento di Anna O., che Freud considera il “caso zero” per quanto riguarda gli studi sull’isteria. Arriva un punto di svolta: fino a qui si è creduto che l’isteria fosse una conseguenza della difficoltà di concepire e dell’impossibilità per una donna di essere madre. Freud invece ribalta il tutto: l’isteria è secondo lui un disordine causato da una mancata evoluzione sessuale e la difficoltà a concepire è quindi un risultato della malattia invece che essere la sua causa. I sintomi diventano quindi una manifestazione fisica di un malessere psicologico.

Dai medici che lavoravano all’ospedale Salpêtrière ci arrivano anche un buon numero di fotografie che ritraggono le loro pazienti nel bel mezzo di un attacco isterico

L’isteria viene ufficialmente tolta dal DSM (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) negli anni Ottanta e non è più una diagnosi accettata: i sintomi che una volta portavano a una diagnosi d’isteria oggi vengono ascritti a una varietà di altri disturbi. Il concetto di “isteria” però è rimasto nel parlato e nell’immaginario comune, e dall’Antico Egitto a oggi continua a pesare sul modo in cui le donne, le loro emozioni e i loro malesseri vengono viste dalla società.

“Abbiamo visto che sia l’espressione sintomatica del malessere femminile che l’interpretazione culturalmente specifica di quello stesso malessere sono testimoni del ruolo delle donne e del suo cambiamento. Da un Essere incomprensibile (e quindi obbligatoriamente contente il Male) a delicate creature che provano, nonostante tutto, a manipolare l’ambiente che le circonda a loro beneficio a una persona padrona del proprio destino (nella trasformazione moderna dall’isteria alla malinconia), dove la donna sembra aver scambiato il potere con la solitudine e la colpa.”
Women And Hysteria In The History Of Mental Health

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Il fatto che l’isteria venisse usata come ombrello sotto al quale infilare ogni possibile problema di salute che una donna potesse sperimentare è neanche troppo indirettamente collegato a come ancora oggi le ricerche sulle malattie specificatamente femminili siano molto scarse (e le donne in generale siano poco considerate quando si tratta di fare da campione per degli studi); nonostante la medicina abbia fatto passi da gigante, la conoscenza del corpo femminile è comunque abbastanza ridotta. Che cos’è, per esempio, la vulvodinia? Non si sa bene, è un generale disturbo della zona vulvare. Un termine usato per dire che c’è “qualcosa” che non va, senza sapere esattamente cosa.

Anche il pregiudizio che le donne sperimentano quando si sentono dire che “esagerano sempre” quando si tratta del malessere che sentono o che “è tutto nella loro testa” quando non vengono credute sul dolore che provano viene dai secoli in cui tutto era “buttato sull’isteria”- lo stesso vale per il fatto che, se le donne bianche fanno fatica a farsi ascoltare riguardo il proprio dolore, per le donne che non sono bianche la cosa diventa ancora più difficile. E queste sono le conseguenze solo in campo medico.

Durante i movimenti delle suffragette in Inghilterra, per esempio, il London Times scriveva che “non serve essere contro il suffragio femminile per vedere che alcune delle più ferventi partigiane di quella causa soffrono di isteria”. L’isteria è stata usata per screditare le voci e le richieste delle donne, che venivano ridotte a un branco di scalmanate urlanti, ma anche per tenere le donne ben ancorate nel ruolo oppressivo che la società patriarcale ha sempre voluto per loro. Oppure, seguendo quella che è la Grand Unified Theory of Female Pain di Leslie Jamison, l’isteria è il segno incontrovertibile che le donne sono creature fragili e delicate ma delle quali comunque non piace vedere il dolore (o che addirittura usano questo dolore per manipolare chi sta loro attorno).

E molti di quei meccanismi sociali sono ancora in atto al giorno d’oggi: non ci saranno più i ricoveri forzati in un manicomio come in epoca vittoriana, ma l’accusare una donna di essere troppo emotiva (fino al limite, appunto, dell’isteria) per sminuirne il valore è ben presente in ogni ambito della società moderna. Il patriarcato dice che le donne sono “naturalmente” più emotive degli uomini, ma dice anche che è proprio questa emotività a rende volubili, instabili, poco affidabili.

Del resto, perché le donne non sono considerate in ruoli a capo dello Stato? “Eh ma sono emotive questa si sveglia con la luna storta e fa partire le testate nucleari”. Il discorso vale anche per tutto quello che riguarda la leadership femminile, ma anche più in generale: una donna che esprime malessere o malcontento ancora oggi è vista come un’esagerata. Se poi a questa espressione si aggiungono delle lacrime, o qualsiasi altra esternazione fisica del proprio dolore, allora è veramente molto facile che chi sta ascoltando declassi il tutto da “legittimo” a “crisi isterica”. Per questo si sente dire spesso che le donne “se la prendono troppo” o “stanno esagerando”. Ed è sempre per questo che è così difficile vedere espressioni (nella vita vera ma anche, per esempio, al cinema o nelle serie televisive) della rabbia femminile: la rabbia è un’emozione forte, ben visibile fisicamente, e quindi rende subito isteriche, e una donna isterica è una donna che non merita di essere ascoltata.

L’ombra lunga dell’isteria ci raggiunge e ci riguarda ancora oggi: è importante quindi conoscere com’è nata e che percorso ha fatto per arrivare dal 2000 avanti Cristo fino al 2020 dopo Cristo, e il legame a doppio filo che ha sempre avuto con le donne. Legame che, diciamocelo, sarebbe ora smettesse di esistere.

Immagine di copertina by Wikimedia Commons, photo by Wikimedia Commons

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