Se adesso vi chiedessi di scrivere un tema sulla caccia alle streghe basandovi su ciò che comunemente ci viene insegnato, con ogni probabilità buttereste giù sì e no due righe. La caccia alle streghe come evento storico non è molto studiato, è qualcosa di cui non sentiamo parlare spesso, a cui non si presta grande attenzione; a meno che, mossə da interesse personale, non si facciano ricerche approfondite.
E se vi dicessi che la caccia alle streghe ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita del capitalismo, nella radicalizzazione della misoginia e nell’istituzionalizzazione del patriarcato moderno? In altre parole, se vi dicessi che ha ricoperto un ruolo importante nel plasmare il mondo così come lo vediamo oggi?
Questa è la teoria magistralmente esposta da Silvia Federici nel suo libro “Calibano e la Strega”, che nasce principalmente dall’esigenza di ripensare lo sviluppo del capitalismo da una prospettiva femminista. Secondo l’autrice, la caccia alle streghe del XVI e XVII secolo ha infatti contribuito all’accumulazione originaria (intesa come concentrazione di beni e forza-lavoro) necessaria per il passaggio dal feudalesimo al capitalismo. Questa transizione non è avvenuta in modo pacifico e continuo, anzi, è stata caratterizzata da discontinuità e spargimenti di sangue, è costata la vita a migliaia di nostre antenate solo perché nate donne e povere.
Per comprendere il nesso tra la persecuzione delle streghe e il capitalismo, bisogna partire da un evento spartiacque nella storia europea: la peste nera del 1346. Il Medioevo fu segnato da una lotta di classe continua, la servitù del maniero feudale lottava soprattutto contro le tasse imposte dai signori. La pestilenza, uccidendo tra il 30 e il 40% della popolazione europea, sconvolse completamente le gerarchie sociali imposte dal feudalesimo, perché la forza-lavoro di cui i grandi proprietari terrieri necessitavano iniziò a scarseggiare. Il costo della manodopera crebbe, il proletariato contadino non aveva mai avuto così tanto potere.
Le condizioni dei contadini e delle contadine migliorarono, i salari aumentarono e diminuì la differenza salariale tra uomini e donne. Il periodo d’oro del proletariato rurale però durò poco: nel XVI secolo le classi dominanti attuarono una controrivoluzione, rispondendo alle rivolte delle classi povere che cercavano di ostacolare il ritorno della servitù con l’espropriazione della terra e l’introduzione del salario obbligatorio. In Inghilterra le enclosures, cioè le recinzioni con cui nobili e ricchi agricoltori eliminarono le terre comuni, determinarono il crollo della coesione sociale, soprattutto quella fra le donne, per le quali le terre comuni costituivano il centro della vita comunitaria.
Si passò così da un’economia di sussistenza, dove non esisteva una separazione tra la produzione dei beni e la riproduzione della forza lavoro e in cui anche l’attività domestica contribuiva al sostentamento della famiglia, a un’economia monetaria caratterizzata dalla divisione sociale e sessuale del lavoro, in cui l’attività domestica era esclusa dal salario e, pertanto, completamente svalutata. Con il nuovo regime capitalistico, le donne stesse divennero un bene che sostituì per gli uomini le terre di cui furono privati, perché il lavoro femminile fu concepito come una risorsa naturale esistente al di fuori della sfera dei rapporti di mercato.
Ne derivò che nell’Europa del ‘400, lo spopolamento dovuto alla peste divenne l’incubo dei ceti più abbienti, poiché con i cambiamenti economici che portarono all’affermazione del mercantilismo, embrione dell’economia capitalista, si diffuse tra le classi dirigenti la convinzione che una popolazione numerosa fosse la chiave della prosperità e del potere di una nazione. Per risolvere il problema della crisi demografica, oltre a condannare l’omosessualità (considerata come una concausa), i potenti si convinsero che dovevano mettere la procreazione al servizio dell’accumulazione originaria.
Le persone ai margini della società non accettarono questo nuovo ordine delle cose, ci furono altre rivolte contro l’assetto economico che si stava delineando, la maggior parte iniziate e guidate da donne, di solito contadine.
Fu in questo contesto che le istituzioni diedero inizio alla caccia alle streghe. Le donne furono perseguitate sostanzialmente per due motivi: per la loro resistenza all’espandersi dei rapporti capitalistici e per privarle del controllo della riproduzione. La caccia alle streghe fu strumentale nella costruzione di un nuovo ordine patriarcale in cui la funzione riproduttiva dei corpi delle donne doveva essere controllata dallo Stato, perché ciò che di più prezioso le donne potevano offrire al capitalismo era la riproduzione della forza-lavoro, cioè la risorsa economica di cui il sistema aveva un disperato bisogno per potersi affermare.
Fino al XVI secolo le donne avevano il pieno controllo della riproduzione, si tramandavano consigli su mezzi di contraccezione come erbe trasformate in pozioni e ovuli vaginali, le levatrici si occupavano del parto dando priorità alla vita delle partorienti in caso di criticità. Con la caccia alle streghe e la contestuale criminalizzazione dell’aborto, si tentò di privare le donne del potere che avevano sul proprio corpo.
Tutto ebbe inizio quando, in seguito a una bolla papale di Innocenzo III in cui si diceva che la chiesa considerava la stregoneria una nuova minaccia, nel 1486 fu pubblicato il Malleus Maleficarum, un trattato in latino pregno di misoginia che indicava come riconoscere le streghe, come combatterle, come catturarle e processarle, come torturarle per estorcere una confessione. Dopo la prima metà del XVI secolo il numero delle donne accusate di stregoneria cominciò a crescere notevolmente.
Quante donne morirono sui roghi? È difficile dirlo, si stima che le vittime siano circa centomila, ma si deve tener conto che molti processi non sono stati registrati. Altra domanda che è interessante porsi: chi erano le streghe? Per l’immaginario popolare, la strega era (citando Federici): “una vecchia lasciva, ostile alla nuova vita, che si cibava di carne di lattanti o usava i corpi dei bambini per fare pozioni magiche”. Nella realtà, le streghe che finivano sui roghi erano spesso donne anziane, povere, mendicanti, che facevano paura ai ricchi perché giravano di casa in casa per racimolare qualcosa da mangiare. Ma erano anche le levatrici ormai escluse dalle stanze delle partorienti per far posto agli uomini, sempre più ossessionati dal controllo delle nascite; erano le donne che in qualche modo cercavano di evitare la maternità, erano le adultere e le prostitute, cioè le donne che esercitavano la propria sessualità fuori dai vincoli del matrimonio e della procreazione. Erano le donne ribelli, come le contadine che lottavano contro il potere feudale, erano quelle lussuriose e aggressive come gli uomini, quelle che bestemmiavano e imprecavano, che erano immorali e spregiudicate.
Erano quelle in grado di sovvertire l’ordine costituito. Per questo andavano eliminate, perché i loro corpi e la loro personalità non potevano essere controllati. Bisognava bruciarle tutte per far posto al nuovo ideale di donna da inserire nella nascente società capitalista e patriarcale, ovvero la madre e la moglie devota, quella che sarebbe stata più tardi definita casalinga, nata dalle ceneri delle streghe bruciate. L’angelo del focolare, una donna remissiva, ubbidente, ingenua, pura, con una moralità più forte dell’uomo, ma dalla mente debole e asservita.
Oltre alla strega malefica, che copulava col diavolo, rovinava i raccolti e mangiava i bambini, fu perseguitata a anche la “strega buona”, cioè la guaritrice che nel Medioevo usava la sua conoscenza di erbe curative e unguenti per curare le persone, oppure la fattucchiera che si interessava di questioni amorose. Con la persecuzione dunque, si pose anche fine alla medicina popolare, in favore di una medicina professionale che in quel momento si andava affermando e che sarebbe stata inaccessibile alle classi più povere.
La caccia alle streghe fu una guerra contro le donne, ma fu anche una forma diversa con cui i potenti portarono avanti la lotta di classe, infatti contrariamente a ciò che si pensa non furono solo le autorità religiose a promuoverla, furono soprattutto le istituzioni laiche. Eliminare forme di comportamento femminili che non potevano più essere tollerate, perché ostacolavano lo sviluppo del nuovo capitalismo rurale, era uno strumento utile per punire qualsiasi protesta. In un certo senso, questo fenomeno rappresentò anche una lotta del capitalismo contro la magia.
Con l’economia monetaria e il lavoro salariato, il guadagno divenne l’unico scopo della vita; l’obiettivo di chi possedeva i mezzi di produzione era quello di sfruttare la forza-lavoro per produrre il più possibile. Questo cambiamento impose una concezione del tempo quantitativa (ancora fortemente presente oggi) che si contrapponeva alla concezione qualitativa del tempo tipica delle pratiche magiche. La magia si basava sulla credenza che la natura fosse imprevedibile, che ci fosse una forza occulta che abitava ogni cosa e che solo alcune persone erano in grado di decifrare e governare. Al contrario, l’organizzazione capitalistica del lavoro si basava interamente sul controllo dell’uomo sulla natura, sulla prevedibilità dei processi, sull’assunto che tuttə avevano una forza sfruttabile, cioè il lavoro che il corpo permetteva loro di svolgere. La magia per il capitalismo era una forma di rifiuto del lavoro, uno strumento di resistenza nelle mani del popolo – in particolare, nelle mani delle donne – contro il potere. Come dice Federici, “il mondo doveva essere disincantato per poter essere dominato”. Pertanto, la magia andava bandita dal mondo. Come? Attraverso l’uccisione delle donne, le più difficili da convertire al nuovo ordine della società occidentale.
Perciò, così come i ricchi recintarono le terre, le istituzioni laiche e religiose recintarono i corpi delle donne, per chiuderle nell’unico ruolo a loro destinato: la riproduzione della forza-lavoro. Allo stesso modo in cui i contadini furono espropriati dalle terre, le donne furono espropriate dai loro corpi.
La misoginia che permea ancora le nostre società, insieme ai pregiudizi sulle donne che vivono liberamente la propria sessualità, derivano in gran parte da questo evento storico. Federici sottolinea che la propaganda che dipingeva le donne come perverse e terrificanti promossa in quel periodo ha portato a un distacco psicologico degli uomini dalle donne, distruggendo il potere collettivo che si era costituito durante le lotte feudali. Inoltre, l’autrice accomuna la condizione delle streghe a quella degli amerindi e degli africani, poiché in quella fase iniziale del colonialismo anche loro erano una fonte di forza-lavoro necessaria allo sviluppo del nuovo sistema capitalistico.
La caccia alle streghe terminò alla fine del XVII secolo, quando ormai il capitalismo si era affermato e la classe dominante aveva consolidato il suo potere. Ma la caccia alle streghe è davvero finita nel 1600?
Con l’espandersi del capitalismo oltre i confini europei e la diffusione del colonialismo, questa pratica è stata esportata in altri territori, causando l’uccisione delle “streghe” anche in popolazioni in cui le donne avevano un ruolo di spicco nelle dinamiche sociali. È il caso per esempio di alcuni paesi dell’Africa, dove ancora negli anni ’90, in seguito alla privatizzazione delle terre comuni e all’estinguersi dei rapporti comunitari molte donne sono state uccise, esattamente come era avvenuto in Europa secoli prima.
E oggi? Chi sono le streghe? Sono ancora perseguitate?
Tra i movimenti femministi è molto popolare una frase della scrittrice Tish Thawer che dice: “siamo le nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare”. È dal 1968, con la nascita della rete di gruppi femministi WITCH (Women’s International Conspiracy From Hell) che si è creata un’analogia tra la parola “strega” e il termine “femminista”. In fondo, non sono le femministe donne che sovvertono l’ordine precostituito del patriarcato eteronormativo? Oggi come allora, il potere sovversivo delle donne ribelli le rende capaci di magie portentose, come riappropriarsi degli spazi, prendersi un posto dove prima non c’era, far sentire la propria voce, rivendicare il diritto di controllare il proprio corpo.
E come le streghe del passato, anche le streghe di oggi sono spesso temute e quindi giustiziate. Le bruciano su roghi di parole d’odio scritte sui social o nei forum, le torturano con minacce nei direct dei loro profili Instagram. Le bruciano nei tribunali e sui giornali dove viene attribuita loro la colpa degli abusi che subiscono. Le bruciano nel fuoco nero di relazioni abusive e violente, che pure sono una conseguenza dei danni provocati dalla persecuzione delle loro antenate.
Ma, in un modo o nell’altro, le streghe tornano sempre, perché il loro potere va oltre le fiamme, oltre l’odio, oltre i roghi, oltre il dolore, oltre la morte. Tornano per smantellare, un pezzo alla volta, quelle recinzioni con cui da secoli gli uomini hanno delimitato il perimetro della loro essenza. Tornano per ottenere la libertà di disegnarsi da sole i propri contorni.
la magia non esiste, l’eterosessualità di per sè non è normativa, il patriarcato sì e perciò va combattuto