Articolo di Lenny Melziade
La Svezia è – e rimane – un paese in cui la parità dei sessi è molto più vicina rispetto al nostro paese, per quanto ci siano ancora contraddizioni e situazioni da migliorare.
In questi ultimi giorni han cominciato a circolare vari articoli in cui viene data notizia dell’apertura in Svezia di una hotline per segnalare casi lavorativi di mansplaning. Promotore di questo progetto è stato Union, il principale sindacato del paese. Il centralino è attivo tutti i giorni ed è volto a «segnalare casi di sessismo sul lavoro» e a «contribuire alla consapevolezza creando un discorso in grado di cambiare il modo in cui ci rapportiamo e parliamo con gli altri sul lavoro».
Innanzitutto vediamo brevemente cosa si intende per mansplaining, neologismo entrato nei dizionari da un paio di anni.
Mansplaining è una parola “macedonia”, creata quindi dall’unione di due parole inglesi – “man” ed “explaining”, “uomo” e “spiegare” – e indica «la tendenza a spiegare qualcosa a qualcuno, generalmente un uomo a una donna, in maniera arrogante e paternalistica».
«Spiegare qualcosa senza considerare il fatto che chi ascolta potrebbe saperne di più di chi spiega, principalmente attuato da uomini a discapito di donne.»
Lily Rothman, The Atlantic
Per quanto il termine nasca direttamente dal trend generale per cui sono gli uomini a spiegare in maniera arrogante alle donne, non considerando l’esperienza e la reale conoscenza dell’ascoltatrice, il fenomeno può comprendere anche situazioni simili.
Partendo dalla descrizione generica di “spiegare arrogantemente qualcosa a qualcuno”, si creano diversi scenari, cui si potrebbero attribuire altrettante nuove parole: leftsplaining, whitesplaining, straightsplaining, etc. con buona pace di morfologia e onnipotenza semantica.
Nulla vieta a una donna di sentirsi arrogante e spiegare a un uomo determinate cose.
Se un uomo vuole spiegarmi a tutti i costi come funziona il motore di un’auto, ma non sa che sono appassionata di meccanica, sta facendo mansplaining ignorando che ne so più di lui e partendo dal presupposto che lui è tenuto a sapere quelle cose in quanto uomo (hello stereotypes, my old friends).
Lo stesso accade se una donna pretende di spiegare a un uomo come si cuce, quando magari egli è un sarto o uno stilista, partendo dal presupposto che le sarte sono spesso donne.
Oppure ancora, quando un uomo – o una donna – bianco spiega a un uomo – o una donna – di colore che ci sono più neri nelle carceri americane perché vengono cresciuti male: mettiamo da parte il razzismo intrinseco, e pensiamo a quanto ridicola e penosa sarebbe la scena se l’ascoltatore – o l’ascoltatrice – di colore fosse un operatore sociale o un giudice.
Chiaramente un fenomeno come il mansplaining trova campo d’azione molto facilmente sul lavoro, e il progetto di Union potrebbe avere dei risvolti utili, anche in un paese in cui il raggiungimento della parità è a buon punto.
Per promuovere la hotline, Union ha creato un evento Facebook e aperto un account Instagram in cui vengono presentate alcune vignette che mostrano scene tipiche di mansplaining.

Per quanto il progetto, grazie alla pubblicità sui social network, abbia raggiunto una certa viralità non solo in Svezia, i commenti negativi non sono mancati:
«Come reagirebbero le donne se usaste termini come “chiacchiere da megere” o “lagne femminili”? La parità non può essere vinta usando invettive negative, ma andrebbe costruita tramite la collaborazione e il rispetto reciproco.»
«Cambiate il titolo dell’evento, “Mansplaining” è terribilmente sessista.»
Il (man)splaining non colpisce solo donne e una hotline dedicata solo alle donne, per segnalare casi di sessismo sul lavoro toglierebbe la possibilità agli uomini di accedervi… ma è davvero così?
Sì e no.
Tanti articoli da varie testate giornalistiche hanno riportato la notizia in maniera grossolana, ponendo l’attenzione sul fatto che la hotline sia stata aperta «per le donne» e «per dare la possibilità alle donne di segnalare mansplaining».
Spesso questi termini sono stati inseriti direttamente nei titoli o negli occhielli degli articoli.
Mi sono quindi chiesta se davvero un paese avanzato come la Svezia avesse deciso di creare un progetto con presupposti molto utili e intelligenti (segnalare casi di sessismo lavorativo), ma con risvolti che abbatterebbero ogni concetto di parità (dandone accesso solo alle donne).
Sono quindi andata sul sito di Union per leggere il comunicato stampa e l’annuncio della nascita del progetto (sì, parlo svedese!).
Con mia sorpresa, ma nemmeno troppa, ho scoperto che no, il centralino non è solo «per le donne svedesi» ma per «chiunque sul posto di lavoro voglia segnalare casi di sessismo, indipendentemente dal proprio sesso».
In effetti, alcuni articoli hanno riportato le cose come stanno: l’uso del centralino non implica alcune differenze di sesso, tutti possono chiamare. Lo stesso slogan del progetto recita: «un’iniziativa per la parità».
Quello che può aver scatenato i commenti negativi e i detrattori potrebbe essere stato causato da alcuni passaggi che possiamo leggere sul sito di Union, o dalle vignette di Instagram (tutte al maschile) che però non fanno altro che descrivere la dinamica principale del mansplaining.
Questo non può essere ignorato e ovviamente Union l’ha sottolineato:
«Circa il 20% delle impiegate donne, nell’ultimo anno, si è sentita discriminata o infastidita sul posto di lavoro, per via del suo genere. Il 75% delle segnalazioni di discriminazione che Union riceve vengono da donne».
Il sindacato si è quindi prodigato far capire che il progetto è aperto a tutti, nonostante la maggior parte dei fenomeni sia subito dalle donne e la ragione risieda comunque in una parità lavorativa che va ancora migliorata.
«Le donne possono assolutamente essere ignoranti e saccenti, ma perdiamo il punto principale della questione, cioè che gli uomini hanno in generale una consapevolezza lavorativa maggiore rispetto alle donne, e questo dà loro benefici sul lavoro. È questo il problema principale che va risolto.»
Nina Åkestam, ricercatrice nel campo della pubblicità.
Penso che il progetto di Union sia nato con buoni intenti ma sia stato mal interpretato e si sia concentrato solo sul mansplaining a discapito femminile.
Dare modo ai lavoratori – di qualsiasi identità sessuale – di segnalare casi di sessismo sul lavoro è sicuramente un’ottima cosa. Sfortunatamente il concetto è stato travisato e ha cominciato a circolare spesso con grezze generalizzazioni: il sindacato non ha mai definito il progetto come “femminile”, ma ha semplicemente fatto notare che spesso le principali vittime di discriminazione sul lavoro – e il mansplaining ne è uno dei casi lampanti – sono donne.
Per quanto il progetto sia quindi superficialmente dedicato alle donne l’idea è buona e potrebbe essere un buon punto di partenza per una futura hotline contro ogni caso di sessismo e disparità, magari non solo in Svezia.
«È un peccato che alcune persone si siano sentite offese dal nostro progetto. Si tratta di questioni che coinvolgono tante persone e che richiedono molta discussione. Ci sono stati feedback positivi e l’attenzione ricevuta è stata maggior dello sperato, mostrando così che il mansplaining è una questione importante.» Comunicato stampa sul sito di Union
e se il mansplaining fosse arroganza e maleducazione unisex?