Articolo di Rossella Ciciarelli
«Il più delle volte nella mia carriera sono stata circondata da uomini. Quando ho girato “La donna del tenente francese”, c’erano donne che si occupavano dei capelli e del trucco e basta. Era un’impresa tutta maschile».
Meryl Streep
Così Meryl Streep, in un’intervista per BBC Radio 4 di qualche anno fa, in occasione dell’uscita del film “Suffragette”, affrontava il tema della disuguaglianza di genere all’interno del mondo del cinema.
E, ricordando in particolar modo il team quasi totalmente al maschile di “La donna del tenente francese”, notava un elemento interessante: l’assenza di donne, se non in mansioni e ruoli stereotipicamente femminili.
Si potrebbe obiettare che il film citato da Streep risale al 1981 e che da allora il vento è cambiato e questo, in parte, è vero: sempre più sono i personaggi femminili forti che rompono gli schemi, da Brie Larson in versione “Captain Marvel” a Saoirse Ronan nei panni di “Maria Regina di Scozia”, solo per citare due pellicole che hanno visto la luce nel 2019; aumentano anche i film che presentano un cast caratterizzato da un’ampia presenza femminile (di grande successo “La Favorita” di Yorgos Lanthimos) e i film diretti da donne, da Greta Gerwig (“Ladybird”) a Desiree Akhavan (“The Miseducation of Cameron Post”).
In base a questo, il mondo del cinema sembrerebbe essere diventato davvero un po’ più inclusivo, tanto dietro le quinte quanto a livello di rappresentazione. Ma è davvero così? A che punto siamo, che cosa è stato fatto e quanto ancora resta da fare? In che modo la disuguaglianza di genere rappresenta ancora un problema da risolvere nell’universo cinematografico?
Dati alla mano, scopriamolo insieme.
Sottorappresentazione e stereotipi di genere
Per quanto riguarda il mondo di Hollywood, possiamo fare riferimento ai dati forniti dalla New York Film Academy (NYFA) che ha pubblicato una ricerca interessante sulla disuguaglianza di genere nel cinema, basata su diversi studi accademici e sull’analisi di film prodotti fra il 2007 e il 2017.
Ciò che si evince dalla ricerca è che le attrici continuano a essere meno presenti sul set rispetto ai colleghi maschi (solo il 12% dei film presenterebbe un cast bilanciato in cui la metà dei personaggi sono femminili). Le donne dunque continuano a essere sottorappresentate nei film, eppure hanno il doppio delle possibilità di doversi mostrare nude davanti alla telecamera.
Insomma, il dato allarmante è che siamo rappresentate di meno, abbiamo meno dialoghi rilevanti, però il nostro corpo è il protagonista indiscusso delle scene di nudo. Belle, silenziose e svestite, se non è chiedere troppo.
Inoltre, nonostante i notevoli passi in avanti fatti verso una rappresentazione più corretta della donna, gli stereotipi di genere sono ancora abbondanti, in quanto i personaggi femminili sono spesso in competizione fra loro, solitamente sono più giovani delle loro controparti maschili e hanno maggiori probabilità di essere definiti in relazione al rapporto che hanno con essi.
Il Test di Bechdel
Un modo pratico per capire questo dato è il Test di Bechdel. Il Test di Bechdel è un metodo per verificare l’equa rappresentazione delle donne e l’impatto dei personaggi femminili nelle produzioni cinematografiche. Il test empirico prende il nome dalla sua ideatrice, la fumettista statunitense Alison Bechdel, che in un suo fumetto del 1985 ne fece spiegare i criteri a uno dei suoi personaggi.
Per superare il test, in un film devono esserci almeno due donne di cui si conosce il nome, le due donne devono interagire fra di loro, e devono parlare di qualcosa che non sia un uomo.
Semplice, no? Semplicissimo, eppure, se solo ci pensassimo un attimo, realizzeremmo probabilmente che buona parte dei film visti nella nostra vita non lo supera. La maggior parte delle pellicole premiate agli Oscar in 91 edizioni non lo passa: neanche “Green Book”, miglior film del 2019.
Donne alla regia
«Ho iniziato a mettere in discussione le assunzioni basate sul genere quando a otto anni mi sentii confusa per essere stata chiamata “prepotente” perché volevo dirigere le rappresentazioni che avremmo messo in scena per i nostri genitori – mentre i ragazzi non lo erano».
Emma Watson
Se il mondo del cinema delle origini era dominato da donne dietro la cinepresa (e su questo punto torneremo a scrivere in futuro), dal momento in cui iniziò a consolidarsi come industria, esse vennero chiuse fuori; e ancora oggi essere una regista non è per niente facile.
Nei 91 anni di storia degli Oscar, solo una donna – Kathryn Bigelow – è stata premiata per la regia cinematografica. E se ci spostiamo ad analizzare i festival del cinema, la situazione non migliora. A Cannes, dal 1946 ad oggi solo una regista ha vinto il premio più ambito, la Palma d’oro: Jane Campion, nel 1993 (ma una buona notizia è la vittoria della regista Alice Rohrwacher per la migliore sceneggiatura per “Lazzaro felice” nel 2018).
Di disparità di genere nel mondo cinematografico si è parlato anche alla Mostra del Cinema di Venezia del 2019. I dati di “Women in film” dimostrano che tra i film italiani realizzati dal 2008 al 2018 appena il 15% sono di registe donne. Di questi, quelli selezionati ai festival sono solo il 16%. A livello europeo la media sale al 20%, con risultati per Paese che variano dal 5% (Lettonia) al 30% (Svezia).
Fra questi dati scoraggianti c’è però anche un trend positivo: sono sempre di più i progetti di giovani registe che ottengono i finanziamenti dell’Unione Europea.
Cinema e gender pay gap
«Non mi sono arrabbiata con la Sony. Mi sono arrabbiata con me stessa. Ho fallito come negoziatrice perché ho rinunciato presto. Non volevo continuare a combattere per milioni di dollari che, francamente, non mi servono. […] Non volevo sembrare “difficile” o “viziata” […] Questo è un elemento della mia personalità contro cui ho lavorato per anni e, sulla base delle statistiche, non credo di essere l’unica donna con questo problema. Siamo socialmente condizionate a comportarci in questo modo? […] Potrebbe esserci ancora l’abitudine persistente di cercare di esprimere le nostre opinioni in un modo che non “offenda” o “spaventi” gli uomini?»
Jennifer Lawrence
Le donne non solo ricevono meno premi, ma, a parità di fama ed esperienza con i loro colleghi, vengono anche pagate di meno. E sono sempre di più le attrici che denunciano tale disparità retributiva.
Una nuova ricerca, condotta da studiosi delle Università di Huddersfield, di Lancaster e del Wisconsin, ha indicato che le attrici guadagnano circa il 25% in meno per film rispetto agli attori maschi e le cose peggiorano quando invecchiano: per le attrici di età superiore ai 50 anni questo divario si amplia notevolmente.
La differenza retributiva è ancora più significativa per le donne di colore (nella sua accezione americana di “people of color”). Come riporta Forbes, solo una di esse – Sofia Vergara – è comparsa nella lista delle attrici più pagate nel 2019.
A tal proposito, recente è la presa di posizione di Jessica Chastain a supporto della collega Octavia Spencer per ottenere un’equa retribuzione; pare infatti che le due reciteranno nuovamente insieme (dopo “The Help”) in una commedia natalizia diretta da Michael Showalter.
«Stavamo parlando di equità salariale tra uomini e donne. Jessica era tipo: “È tempo che le donne vengano pagate tanto quanto gli uomini”. Ed io: “Sì, Jessica, è ora!”. E poi ho detto: “Ma ecco, noi donne di colore guadagniamo ancora meno delle donne bianche. Se discutiamo di equità retributiva, dobbiamo portare le donne di colore sul tavolo”. Le ho raccontato la mia storia, abbiamo parlato di numeri e lei ha detto che non aveva idea che le cose stessero così per le donne di colore.
[Jessica] ha detto: “Octavia, ti faremo pagare per questo film”.»Octavia Spencer a proposito di una conversazione avuta con Jessica Chastain.
Ecco dunque perché è così importante parlare di numeri: analizzare questi dati significa prendere atto dell’esistenza di un problema. E acquisirne consapevolezza vuol dire attivarsi per cercare di risolverlo.
Obiettivi e iniziative
Dal 2012 Eurimages, fondo del Consiglio d’Europa per la co-produzione, la distribuzione, l’esposizione e la digitalizzazione delle opere cinematografiche europee, ha preso in considerazione il problema della disuguaglianza di genere nel mondo del cinema. Nel 2018 si era dato l’obiettivo del 50/50 da raggiungere nel 2020: la volontà era in altre parole quella di arrivare entro tale scadenza all’equilibrio di genere nei progetti sostenuti, a dare dunque il pari sostegno a progetti di registi e registe.
Per riuscire nello scopo si puntava a sensibilizzare al tema della disuguaglianza di genere, ad accrescere la visibilità del lavoro creativo e tecnico svolto dalle donne e dei suoi risultati, a supportare progetti e iniziative di ricerca e a elaborare strategie per correggere lo squilibrio di finanziamenti pubblici per il cinema ricevuti dalle donne.
A fine 2019, l’obiettivo può considerarsi non raggiunto: allo stato attuale, infatti, i progetti sostenuti diretti da donne sono il 36% (la percentuale è in costante aggiornamento e può essere monitorata sul sito di Eurimages).
Ancora in ambito europeo, è stato indetto il LUX Film Prize, premio cinematografico che dal 2007 viene assegnato a film che affrontano le principali questioni sociali e politiche della contemporaneità: fra esse, molto presente è la questione di genere. Nelle sue 12 edizioni il premio è stato assegnato a cinque donne, raggiungendo quasi la parità di premiazioni. Quest’anno, per esempio, ad aggiudicarsi la vittoria è stata la satira femminista di Teona Strugar Mitevska, “God Exists, Her Name Is Petrunya”.
Il film, basato su eventi reali, è un dramma satirico su una donna che si oppone alle tradizioni religiose e agli stereotipi di genere in una cittadina della Macedonia del Nord.
«Petrunya è ribelle. È la sua resistenza, il suo coraggio e la sua ricerca della giustizia che ci toccano profondamente. Spesso vengo criticata perché i miei film sono troppo politici, ed è vero. Penso che sia mio dovere alzare la voce per parlare di problemi se nessun altro osa farlo. Come possiamo costruire un futuro migliore se non osiamo parlare dei problemi?»
Teona Strugar Mitevska
Molti altri film vincitori, come “Woman at war” (2018) o “Ida”(2014), raccontano storie di donne forti e di grande ispirazione.
Molti sono poi i movimenti e le associazioni che in Europa così come negli Stati Uniti si battono per cambiare le cose nel mondo del cinema: EWA (European Women’s Audiovisual Network), Women in Film & Tv International, The Representation Project, solo per citarne alcuni. Interessante è anche #AskMoreOfHim, un movimento nato ad Hollywood ad opera di uomini con lo scopo di sostenere le colleghe che stanno cercando di far sentire la propria voce denunciando il gender pay gap nel mondo cinematografico.
L’augurio è che progetti del genere continuino a fiorire e la speranza è quella di ritrovarci qui, fra qualche anno, a osservare insieme dati capaci di raccontarci di un mondo diverso, più equo e più inclusivo.
Dentro e fuori la pellicola.