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Chiamami Col Tuo Nome: una sorpresa cinematografica di cui essere grati
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Chiamami Col Tuo Nome:
una sorpresa cinematografica
di cui essere grati

Articolo di Rachele Agostini

Crema, estate 1983.
Elio Perlman è un diciassettenne cresciuto in una famiglia benestante e poliglotta di origine ebraica. Trascorre la propria estate fra lo studio del pianoforte e le serate con gli amici, come ogni anno, e come ogni anno attende l’arrivo del nuovo dottorando americano che, su iniziativa del padre – docente universitario – trascorrerà un paio di mesi da ospite in casa loro. Sarà proprio quest’ultimo, il bellissimo ventiquattrenne Oliver, a sconvolgere la calma immobile in cui Elio vive, trascinandolo in poco tempo in una scoperta indimenticabile di se stesso e della propria sessualità.

Se avete guardato la televisione o letto i giornali in queste ultime settimane, quasi certamente ne avete sentito parlare. Ma se siete anche solo un po’ appassionati di cinema, probabilmente non avete sentito parlare d’altro per tutto il 2017.

Perché Chiamami Col Tuo Nome – adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di André Aciman – è una delle (se non LA) rivelazione di questa passata stagione cinematografica.

Fin dal suo debutto al Sundance Festival, il 22 gennaio di un anno fa, ha saputo meravigliare critica e pubblico in egual misura, come i fatti dimostrano chiaramente: circa centocinquanta candidature a premi di vario genere (di cui, più recentemente, le quattro nomination ai Premi Oscar); inserito nell’elenco dei dieci migliori film dell’anno dal National Board of Review e dall’American Film Institute; incassi record, il cui ammontare è già di quattro volte superiore alle spese di realizzazione; recensioni quasi unanimemente entusiaste, fra le pagine di grandi pubblicazioni come sui social.
Dopo un lungo viaggio attraverso i festival minori di tutto il mondo e dopo l’uscita ufficiale negli Stati Uniti e nel Regno Unito, il film è finalmente arrivato anche in Italia, dove la ricezione sembra per il momento coincidere con l’entusiasmo internazionale.

Timotheè Chalamet ed Armie Hammer, protagonisti rispettivamente nel ruolo di Elio ed Oliver, alla conferenza stampa italiana di qualche giorno fa.

Come dicevo, quando un film indipendente supera di così tanto le aspettative iniziali – che sono sempre basse – è ovvio che finisca per attirare l’attenzione di chiunque abbia interesse per il cinema.
Ma quando il film in questione ruota intorno all’amore fra due uomini, è ovvio che chi si occupa di diritti civili possa decidere di parlarne.

Ed è proprio per questo motivo che già lo scorso 1 agosto, dopo circa dieci secondi che guardavo il primo trailer ufficiale, sapevo che sarei finita a scriverne qui.

Ho guardato questo film diverse volte. Ho letto il libro da cui è tratto, prima, e mi sono confrontata con tanti che lo hanno visto, dopo. Ho seguito religiosamente tutta la promozione, per mesi e mesi, guardando ore di interviste e leggendo più articoli di quanti riesca a ricordare. 
Eppure quando mi sono trovata concretamente davanti all’opportunità di parlarne, non sapevo da dove cominciare.

Perché come si spiega a parole, parole che possano avere senso per più persone possibili, una cosa che ha toccato così nel profondo la tua persona, andando al di là delle aspettative già altissime?

Ho fatto diversi tentativi.
Inizialmente mi è sembrata una buona idea elencare tutte le ragioni per cui questo film fosse “importante” e fare un’analisi di ciascuna, per poi rendermi conto durante la rilettura di aver scritto qualcosa di simile ad una lista della spesa.
Nella seconda stesura ho provato allora a partire dal racconto delle mie emozioni, ma già dopo le prime righe il nome Federico Moccia risuonava nella mia testa, e – senza voler offendere il suo lavoro o chi lo apprezza – l’effetto che volevo ottenere era tutt’altro.
Il terzo tentativo è stato mettere giù una riflessione sul valore che questa storia ha per la comunità LGBT, che per un po’ è sembrata la strada giusta, non fosse che ad un certo punto la mia vena polemica ha preso il sopravvento: ho finito per scagliarmi contro l’etichetta di film gay (che rischia di imprigionare il messaggio universale del film), contro il gruppo di persone che accusa questo film di promuovere la pedofilia (talmente patetici che non voglio regalare loro ulteriore importanza), contro l’ipocrisia dei produttori italiani che non hanno dato fiducia al film pensando che il nostro Paese non lo avrebbe accettato, ed ora ne parlano come fosse un loro successo.

Alla fine, quando stavo per arrendermi, ho capito quale fosse l’unico modo che avevo per parlare di questo film in modo onesto e non artificioso o “aggressivo”.

Ho deciso, semplicemente, di ringraziare. 
Per cui ecco.

Grazie ad André Aciman, che ha immaginato questa storia nella sua testa e poi l’ha messa nero su bianco (in un modo che personalmente non ho trovato bello come coloro che hanno eletto il libro a capolavoro – ma questo è un altro discorso). Una storia che appartiene ad un tempo passato, ma mette in mostra un’esperienza senza tempo, quella della scoperta di sé attraverso l’amore. Una storia in cui il sesso appare come la cosa più pura di cui un essere umano possa essere capace, ed in cui i protagonisti sono entrambi uomini, ma nessuno “paga” per questo. Una storia senza violenza e senza vergogna.
Grazie quindi a James Ivory, che pur prendendosi molte libertà ha tradotto fedelmente quella storia, da racconto in prima persona a immagini cinematografiche; la sua sceneggiatura rende visibile l’erotismo ma senza mai cadere nella feticizzazione, è fatta di silenzi che dicono tutto quello che c’è da dire, alterna con maestria la poesia ed il realismo.

Grazie ai produttori Howard Rosenman e Peter Spears, che hanno avuto incoscienza sufficiente per dare fiducia al progetto e supportarlo nei nove anni che ha impiegato a diventare realtà. Un budget molto ristretto, la difficoltà di trovare collaboratori che dessero fiducia alla loro idea, un tema ancora “rischioso” da portare al cinema (soprattutto all’epoca, nel 2007): nulla li ha fermati.

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Grazie agli scenografi ed ai costumisti, che hanno fatto un lavoro meticoloso di ricostruzione storica, ed insieme alla fotografia di Sayombhu Mukdeeprom hanno conferito all’intera opera un’estetica che è semplicemente una gioia per gli occhi.
Grazie a Sufjan Stevens, per aver incendiato, con le sue canzoni originali, la potenza comunicativa di momenti importantissimi del racconto.

La copertina del singolo di ‘Mistery of Love’, che è valsa a Sufjan Stevens la candidatura agli Oscar per la Miglior Canzone Originale.

Ho quasi finito, giuro.
Grazie a Timothèe Chalamet, che (appena ventenne all’epoca delle riprese) ha dato al personaggio di Elio un’intensità e un’onestà tali da far impallidire molti  “colleghi” ben più esperti, e grazie ad Armie Hammer, che nel suo Oliver ha finalmente trovato la possibilità di far brillare quel talento che ammiro in lui da tanto tempo.
Grazie anche a tutti gli eccellenti attori che compongono l’ensemble, ed in particolare a Michael Stuhlbarg, che (senza voler rivelare troppo) porta il peso di consegnare al pubblico l’intero senso del film, con una grazia di cui solo i grandi professionisti sono capaci.

Grazie a Luca Guadagnino per la sua visione e per la capacità di metterla in pratica.
Si è trovato alla guida di un film piccolo piccolo, un po’ per caso [era stato inizialmente coinvolto in veste di consulente di location] e lo ha fatto diventare grande, alternando scelte ambiziosecome girare in pellicola ed in sequenzaa scelte rischiose – come assumere i due attori protagonisti, sulla cui chimica si regge l’intero film, senza far loro alcun tipo di audizione.
Non solo: ha reso la vera esperienza di realizzazione (a detta di chiunque abbia preso parte alle riprese) tanto indimenticabile e significativa quanto le vicende di finzione del film.

Infine, grazie alla nostra Italia.
Che per 132 minuti appare davvero bella. L’unico posto in cui una storia tanto pura e sensuale può essere pensata, una tela su cui un insieme di grandi artisti può unirsi per dipingere un capolavoro.
Bella in modo quasi tangibile. Bella come dovremmo imparare a vederla sempre.


Ecco qui.
Non ho altro da dire.

Anzi no, ancora una cosa.
Se deciderete di andare a vedere questo film, grazie anche a voi.

View Comments (2)
  • Sono andata a vedere questo Capolavoro ieri sera. Avevo alte aspettative ed è riuscito a superarle con una facilità atroce. Ho pianto per quasi tutta la durata del film e me ne sono innamorata fin da subito come non era mai accaduto fin ad ora, sono uscita dalla sala tremando e con una sensazione che non saprei descrivere. Amo questo film dalla musica, alla fotografia fino agli attori, è una cosa unica che farebbe “aprire la mente” a molte persone.

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