Articolo di Benedetta Geddo
Durante la settimana del pride dell’anno scorso, mi ricordo di aver letto un bellissimo articolo su Huffington Post, intitolato «Every Queer Person Should Read This», che conteneva tutta una lista di personaggi storici e mitici non cis/etero e di cui ogni persona LGBTQ+ porta in sé un pezzettino dell’eredità. Mi ricordo anche di questa frase, «I tuoi antenati erano reali come la Regina Christina di Svezia, che non solo rifiutò di sposare un uomo (rinunciando quindi al suo diritto al trono), ma adottò un nome maschile e se ne partì a cavallo per esplorare l’Europa da sola. Il suo precettore un giorno disse che la regina era ‘non del tutto come una donna’». Non sarò né la prima né l’ultima a citare la figura di Christina di Svezia, iconica nella cultura LGBTQ+, ma c’è un motivo se vado a disturbare la sovrana ― il film The Girl King, uscito da poco (almeno su scala mondiale), biopic sulla regina che aspettavo da quando ho finito di leggere quell’articolo dell’HuffPost e sono andata un po’ a documentarmi sulla «Regina Vergine» della Scandinavia.
Diretto da Mika Kaurismäki, The Girl King è una co-produzione di Finlandia, Canada, Germania e Svezia, ed è il primo film ad affrontare di petto la questione dell’identità sessuale e di genere della regina (il classico film del 1933, con Greta Garbo nei panni di Christina, diciamo che non si era proprio spinto fin lì, ecco). Christina è una personalità affascinante, intelligente e brillante, dall’aria androgina, salita al trono di Svezia dopo la morte del padre, Re Gustavo II, ancora una bambina (anche se assunse ufficialmente il suo ruolo da regina solo raggiunta la maggiore età). Il film segue la sua vita fin dall’infanzia, chiaramente saltando parti non importanti della sua educazione a corte per concentrarsi sui suoi primi passi da regina ― e che passi. Christina si rivela molto più indipendente di quanto tutti i suoi precettori e i suoi consiglieri avessero previsto, mettendo in atto le sue idee forti su questioni di politica estera e interna, cercando di ridurre il ruolo della Svezia nella Guerra dei Trent’Anni e di rimodernare allo stesso tempo il suo paese, di renderlo un faro di cultura e farlo uscire dall’ambiente ancora molto medievale in cui si trova.
Il filma glissa un po’ su come e perché Christina sia cresciuta così, così appassionata e così forte, ma non è difficile intuire che sia a causa della sua educazione, del modo in cui l’autorità le è stata imposta per tutta la sua vita in tutti gli ambiti, compreso quello religioso. E infatti, in un paese strettamente Luterano, Christina invece di ritrova attratta e incuriosita dal Cattolicesimo, arrivando ad invitare a corte il filosofo che è il suo maître à penser, ossia Cartesio (che è cattolico, per l’appunto, cosa che non è esattamente apprezzata dalla corte di Stoccolma).
Il centro del film resta però la complicata e stupenda relazione di Christina con la promessa sposa di uno dei suoi nobili, la contessa Ebba Sparre: quello di Christina è un vero e proprio colpo di fulmine, e la storia segue lo sviluppo della loro relazione, i sentimenti profondi che le legano l’una all’altra ma che saranno anche la causa della loro separazione. Dopo appena qualche scena in cui le due sono «davvero» insieme, la loro intimità viene finalmente presa sul serio dagli altri nobili (che prima la screditavano come una «amicizia tra donne»), che fanno di tutto per allontanare la contessa, rispedendola al marito, e per convincere la regina di considerare le questioni di Stato (tra cui sposarsi e produrre un erede al trono) invece che l’amore e la conoscenza. Ora, si potrebbe considerare uno spoiler, ma la storia in fondo è quella che è: Christina rifiuta, e invece di scegliersi un marito si sceglie un erede, un cugino che lei adotta, e che sarà Re Carlo X. Christina abdica, e nell’ultimo scena del film la vediamo cavalcare verso il resto d’Europa, verso una nuova vita ― che noi sappiamo la porterà a Roma, dove si circonderà di poeti e artisti e dov’è ancora oggi, una delle poche donne ad essere sepolte nelle Grotte Vaticane assieme ai papi.
Aspettavo da tanto questo film, e non ne sono stata delusa ― a parte il mio amore sconfinato per i period drama, che è un fatto di gusti personali, e per le storie delle varie famiglie reali d’Europa (di nuovo, gusti personali), la storia riesce a catturare lo spettatore e a trasportarlo in un mondo che è abbastanza lontano dal nostro immaginario classico, perché insomma, c’è una bella differenza tra l’Italia del ‘600 e la Svezia di quello stesso periodo, ma anche in Christina, che di ordinario non ha proprio un bel niente: si veste da uomo, porta i capelli sciolti e ingarbugliati, maneggia il fioretto, legge e studia e allo stesso tempo non è l’esatta copia di un re maschio, è una regina con sensibilità profonde e grandi turbamenti, che spesso esprime nelle lettere alla sua guida, Cartesio. Per non parlare della storia d’amore, semplice e lineare ma chiaramente condannata fin dall’inizio, che trasporta e fa emozionare anche grazie alla chimica tra le due attrici: Sarah Gadon, già vista in Dracula Untold, che interpreta Ebba Sparre con una grazia angelica, e Malin Buska, svedese ed esordiente, ma fiera, regale e bellissima (almeno a mio parere) nei panni di Christina. Potrei essermi presa una sbandata grande quanto un transatlantico. Come se già non amassi i paesi del Nord.
The Girl King è un classico biopic, con costumi e ambientazioni da mozzare il fiato, anche se certo, non è perfetto: considerato che il copione è stato scritto prima in francese e poi tradotto in inglese, ed è recitato da un cast per la maggior parte non anglofoni madrelingua, il dialogo è un po’ rigido, e suona davvero, davvero finto. Il vero, grande difetto che però proprio non posso non citare è che la storia sembra tutto un po’ affrettata, conseguenza naturale del tentativo del regista di condensare l’intero regni di Christina in un film ― mentre, per esempio, ad un’altra grande regina della storia come Elisabetta I sono stati dedicati due film importanti, Elizabeth (1998) e The Golden Age (2007), entrambi interpretati dalla divina Cate Blanchett (che ha da poco finito la sua ultima fatica cinematografica, Carol, di cui parliamo qui). The Girl King avrebbe potuto essere una grande storia epica piena di intrighi di palazzo, duelli, romance e idee femministe ante-litteram (basically The Tudors ma ambientato in Scandinavia, e con protagonista una regina invece di un re. A entrambi piacciono le donne, però) ma è tutto un po’ sacrificato. O forse è semplicemente il modo del cinema scandinavo e io, abituata alle produzioni Hollywoodiane, non lo capisco. Può anche essere. Sono appassionata di cinema, è vero, ma nessuno ha mai detto fossi anche un’esperta autorità in materia.
In generale, il film è resta uno sguardo interessante sulla figura della regina, uno sguardo che finalmente non nasconde niente di quello che Christina di Svezia effettivamente era. E minimizzo se dico che se era già un mio modello personale prima della visione, Christina lo è diventata ancora di più adesso che sono riuscita a mettere le mani sul film ― come donna, come queer, come essere umano in generale. The Girl King si lascia guardare, anche se non è tecnicamente eccellente, quindi dategli una possibilità, e fateci sapere cosa ne pensate ― io, nel mentre, me ne starò qui in un angolo a sperare che una qualche emittente tra HBO, Starz o, perché no, anche la BBC, decidano di rispolverare Christina per una miniserie da perderci la testa.