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Da oggetto a soggetto: Emma Holten riscrive la storia del proprio corpo
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Da oggetto a soggetto: Emma Holten riscrive la storia del proprio corpo

Dopo aver subito Revenge Porn, la giovane danese Emma Holten ha deciso di cambiare le carte in tavola ed erigere il proprio corpo da oggetto sessuale a soggetto, grazie a una serie di scatti realizzati dalla fotografa Cecilie Bødker. In un post ha raccontato la sua storia e cosa l’abbia spinta a reagire così.
Qui di seguito ne riportiamo la traduzione.

Una mattina d’ottobre del 2011 mi son svegliata e ho provato ad accedere nella mia e-mail e su facebook. Mi dimentico sempre i codici, e continuavo a provare ad accedere.  Una volta riuscita a farlo, il benvenuto me lo hanno dato centinaia di messaggi e di e-mail. Messaggi ed e-mail con in allegato foto di me.

E più precisamente foto di me nuda nella camera da letto del mio ex ragazzo. Una me diciassettenne, leggermente genuflessa, luce soffusa, un po’ a disagio, in un innocuo tentativo di sembrare sexy. Foto di me, 2 anni dopo, nella mia camera a Uppsala. Un po’ più vecchia, un po’ più sicura di me, ma non poi così tanto. Era ovvio cosa fosse successo. Quelle foto erano ora su internet.

Ero diventata una di quelle centinaia di migliaia di donne entrate a far parte dell’industria del porno contro il proprio volere. E pensavo, quanto può essere brutto? Chiaramente sapevo che il ragazzo con il quale ero stata al liceo lo trovasse divertente.

Non mi sono mai vergognata del mio corpo e della mia sessualità. Ma era umiliante. Ovviamente mi piacerebbe non fosse mai successo; non avevo idea di cosa sarebbe successo dopo.

Con il passare dei mesi i messaggi sono aumentati. Sono finita su pagine internet pensate apposta per ragazze che avevano subito la mia stessa cosa.  Ragazze che non volevano essere guardate così. Ragazze che mai avrebbero desiderato simili attenzioni per più di un secondo. “Gli uomini amano le donne nude”, ho pensato “e questo lo sapevo già bene”. Ma il fulcro dei messaggi mi ha fatto capire che io non fossi interessante solo per il fatto di essere nuda.

I tuoi genitori lo sanno che sei una troia?

Sei stata licenziata?

Qual è la storia dietro tutto ciò? Chi ti ha fatto questo?

Haha, sei su [sito indirizzato alle vittime di revenge porn]!!! Lo sapevi???

Mandami altri tuoi nudi o altrimenti invierò questi che ho al tuo capo.

Una precisazione: messaggi come questi mi arrivano da uomini di ogni parte del mondo e di tutte le fasce d’età. Padri di famiglia, teenager, studenti universitari. L’essere uomini era l’unica cosa che avessero in comune.

Sapevano bene io non avessi deciso di essere lì. Lo sapevano bene, che fossero contro il mio volere. Sentivo come una sorta di cappio al collo, ogni volta che mi veniva in mente che loro pensassero fosse sexy. Ero umiliata. A loro piaceva che io ne soffrissi. Era la mancanza di consenso ad essere erotica.

Ero totalmente distrutta. Una cosa è sentirsi sessualizzata da uomini che ti trovano attraente. Un’altra è quando la deumanizzazione diventa una parte attiva della mia sessualizzazione. Fossi stata una modella e pertanto ci fosse stata dietro una sessualizzazione consapevole e sotto il mio controllo, non sarebbe stato divertente neanche la metà per loro.

La mia mancanza di controllo giustificava per loro il molestarmi; ero una donna umiliata. Molestarmi e attaccarmi era lo scopo di tutti. Cos’ero, se non una zoccola che si era meritata tutto questo? Non si trattava del fatto che fossi nuda o meno, ma che lo fossi contro il mio volere.

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Improvvisamente, lo sentivo ovunque intorno a me. Il 90% delle vittime di revenge porn sono donne. I creepshot, una tendenza che esiste in tutto il mondo, consistono in scatti – considerati come sexy – di donne che si trovano in luoghi pubblici. Vengono fotografate senza che loro lo sappiano e queste foto vengono poi caricate su pagine porno.

Uomini, che linkano pagine facebook e scrivono c’è qualcuno che ha più foto di lei qui? Usare le donne come oggetti sessuali per il proprio piacere, senza che le donne in questione possano dire nulla, è la norma su facebook.

I Creepshot e quello che ho subìto io stessa sono una concreta manifestazione di un pensiero comune circa il corpo femminile. C’è quest’idea che sia osé sessualizzare qualcuno che nemmeno sa di essere sessualizzato.

Conosciamo tutti le fantasie che ruotano attorno alla sexy insegnante, alla bella scolaretta, all’attraente infermiera/bibliotecaria/cameriera/barista/dottoressa. Praticamente tutti questi lavori sono stati, se svolti da donne, sessualizzati in determinati contesti. L’eccitazione sta nel fatto che certe donne svolgano una mansione e allo stesso tempo siano sexy.

Essere sexy e ritenere che un altro essere umano lo sia è normale e naturale. Il pericolo arriva quando qualcuno si sente autorizzato a sessualizzare una persona, e ritiene che la sessualizzazione sia più eccitante nel momento in cui lei non ne è consapevole.

Le femministe spesso criticano (e vengono criticate a loro volta da) chi non denuncia gli uomini che per strada urlano complimenti a sfondo sessuale alle donne.

Possiamo facilmente fare i conti con questa cosa. Le critiche hanno molto più a che fare con come venga trattato il corpo femminile nella sfera pubblica. È una cosa che viene osservata e sessualizzata, anche se lei sta lavorando/facendo la spesa/andando a prendere i bambini all’asilo/aspettando l’autobus. A una donna viene fatto capire che, qualsiasi cosa stia facendo, c’è subito una persona che pensa di voler fare sesso con lei, ed è importante che lei stessa lo sappia. Questo significa spingere con la forza una donna in una situazione che, improvvisamente, gira attorno al sesso.

Questa può essere una conseguenza di quello che si potrebbe chiamare sessualizzazione della mancanza di consenso. C’è quest’idea che possa essere eccitante una situazione in cui l’altra persona non è consenziente. C’è quest’idea che renda il tutto più proibito e perciò più erotico. Dobbiamo prestare attenzione a quando questa specifica situazione prende vita.

Se gli uomini che mi contattano pensassero alla mia umiliazione e a me come un essere umano con sentimenti, paure e speranze, prenderebbero ancora attivamente parte alle molestie e all’oggettivazione del mio corpo?

Se gli uomini che urlano dietro alle donne per strada pensassero a loro come individui umani, con una vita e un luogo in cui vivere, con preoccupazioni e desideri, irromperebbero nella loro vita personale abusando di loro verbalmente (spesso arrivando persino a toccarle senza il loro consenso), ogni giorno per strada, alla luce del sole?

Se si guardasse alla donna come un essere umano munito dei propri desideri e bisogni sessuali, dotato di potere decisionale sul proprio corpo e su cosa voglia acconsentire a fare o meno, ci si sentirebbe comunque autorizzati a scattare foto in luoghi pubblici, spesso  usando come prospettiva il sotto di una gonna o degli shorts, per poi pubblicarle in un contesto sessuale su internet?

No.

Funziona se si guarda al corpo della donna come un oggetto sessuale, che esiste solo e solamente per essere osservato.

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Dobbiamo umanizzare il corpo femminile, sia vestito che svestito.

Non importa quanto crediate che una persona sia sexy. Il suo consenso deve essere di primaria importanza. Se anche solo una delle due controparti non ha acconsentito volontariamente a sessualizzare una data situazione, allora quella stessa situazione non è sessuale.

Ok, ci siete tu e una persona che ritieni sexy. Ecco, questo non ti dà il diritto di deumanizzarla e ridurre d’importanza il suo valore, la sua volontà di scelta e il suo tempo.

Guardare e cercare foto di donne nude, caricate senza il loro consenso, significa essere attivamente parte della disumanizzazione del corpo femminile.  Acconsentire di essere sessualizzate da una persona non rappresenta l’autorizzazione a esserlo da tutti. Il sesso è una delle diverse cose che il nostro corpo può fare. L’ipersessualizzazione è una riduzione del valore del corpo femminile e giustifica chi lo disumanizza.

Eccitate le persone, desideratele e fateci sesso, ma non lasciate mai che la sessualizzazione e l’umanizzazione si escludano a vicenda.

Questo vale per tutti gli uomini presenti sul nostro luogo di lavoro, sul web, in città, a scuola. Nessun essere umano è solo la sua sessualità. Nessuno si merita di essere deumanizzato in base a quanto sembri essere sessualmente disponibile.

Il pericolo dato dall’oggettivazione e dato dal fatto che, se subita per un lungo lasso di tempo, possa alla fine risultare normale.

È stato un compito davvero difficile per me raccogliere una qualsiasi forma di autostima e rispetto di me dopo che mi è stato detto, per più di 3 anni, che non valevo nulla.

Ho pensato a lungo a cosa potessi fare per non odiare il mio corpo. Soprattutto dopo avergli attribuito tutta la colpa di quanto mi fosse successo. Cosa ci facevo lì, e perché il mio corpo ha autorizzato della gente a trattarmi così? Sarà mai possibile per me guardare il mio stesso corpo e vederci un essere umano nel suo insieme?

Non c’è una soluzione facile e ovvia al problema. Ci si ritrova costantemente intrappolati fra il nascondersi, il non volersi mai più mostrare e il desiderio di non voler continuare a vergognarsi per il resto dei propri giorni.
Dopo averci pensato per tanto, tantissimo tempo, ho deciso che sarebbe stato possibile riscrivere la storia del mio corpo.  Mi si può facilmente vedere nuda e, allo stesso tempo, come un essere umano. Ho deciso di intraprendere una sorta di processo di ri-umanizzazione.

Ne ho parlato con la fotografa Cecilie Bødker. Lei mi ha raccontato che spesso si rivela problematico scattare fotografie di donne nude senza che poi il tutto ruoti attorno allo sguardo maschile e al sesso.

Sarebbe stato possibile, per noi, scattare immagini di me, senza vestiti, nelle quali fosse chiaro il mio intento di mostrarmi come un essere umano che merita rispetto?
Ci abbiamo quindi provato. Non girava tutto attorno al fatto che io potessi poi sentirmi meglio, si trattava anche di un esperimento sociale sul ruolo dei corpi femminili nudi. Raramente ci vediamo sorridere, nel pieno controllo di noi stesse, nel nostro vivere quotidiano. Non guardiamo mai, siamo sempre osservate.

Questa serie di scatti rappresenta un tentativo di erigere il mio corpo a soggetto femminile, non a oggetto. Non mi vergogno del mio corpo, ma è il mio corpo. Il consenso è la cosa più importante qui. Così come il sesso e lo stupro non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro, qui le immagini sono diffuse volontariamente, e non senza il consenso personale del soggetto presente nelle stesse.


 Photo credits: Cecilie Bødker.

Traduzione a cura di Virginia Cafaro
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