Accendere la televisione, sintonizzarsi sul telegiornale e sentire regolarmente notizie di femminicidi, magari in cui sono stati uccisi anche i figli, magari casi di omicidio-suicidio, magari casi di gelosia, di raptus, di follia. È qualcosa a cui possiamo dirci quasi abituati, addirittura pericolosamente assuefatti, in alcuni casi. Ma in quanti telegiornali si parla dell’altra faccia della stessa medaglia, quella intrinsecamente legata alla violenza domestica: in quanti parlano di violenza assistita?
Non mi soffermerò qui a parlare di violenza domestica, delle possibili cause, della radice del problema, del perché le donne continuano a morire di “troppo amore”; ma vi consiglio caldamente di informarvi su questi aspetti fondamentali della società in cui viviamo. In questa sede mi piacerebbe invece dare visibilità al concetto di violenza assistita, perché fino a poco fa neppure io sapevo che ci fosse un nome per descriverla. Figuriamoci sapere che si tratta di un reato.
Ma cos’è la violenza assistita?
Il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia (C.I.S.M.A.I.), che ha redatto un opuscolo sui Requisiti Minimi degli Interventi nei casi di Violenza Assistita da maltrattamento sulle madri, la definisce così:
“Per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte della/del bambina/o e adolescente qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale, economica e atti persecutori (c.d. stalking) su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minorenni”.
Per riassumere, si usa il termine violenza assistita principalmente per riferirsi al vivere in modo diretto o indiretto violenza domestica. Secondo Save the Children, oltre 400 000 bambini/e vengono colpiti/e da questo fenomeno in Italia in un periodo di 5 anni e nella maggior parte dei casi si tratta di maltrattamenti agiti dal padre nei confronti della madre.
Alcune precisazioni
Per comprendere meglio il fenomeno è necessario tenere a mente alcune riflessioni, che io stessa ho recentemente avuto occasione di approfondire tramite una formazione sul tema.
In primo luogo è bene ricordare che per “esperire maltrattamento”, non è necessario che il/la bambino/a o l’adolescente vi assista sempre e direttamente (per esempio, essendo presente nella stanza durante un atto di violenza fisica o verbale), ma basta anche solo che senta quello che viene detto o urlato, senta dei colpi, magari dalla propria stanza, o anche respiri un clima di tensione o terrore tra le mura domestiche. Questo basta affinché si possano riscontrare danni di vario tipo sul/sulla bambino/a:
Partendo dal presupposto che assistere alla violenza produce trauma, secondo alcuni studi le conseguenze della violenza assistita possono essere le stesse di una violenza subita direttamente in termini di gravità e impatto. Si parla di disturbi psico-somatici, ritardo della crescita, persistenti sensi di colpa, senso di vergogna, atteggiamenti iperprotettivi nei confronti della figura maltrattata (spesso la madre), diverse reazioni a livello comportamentale/sociale, aggressività.
Forse per alcuni aspetti le conseguenze psicologiche sono più intuitive, ma quanti indovinerebbero che la violenza assistita fa anche male al corpo? Questo brillante Ted Talk della pediatra statunitense Burke spiega molto chiaramente come il fatto di essere esposti a traumi (tra cui la violenza domestica) in età infantile/adolescenziale abbia drammatiche conseguenze sullo stato di salute mentale e fisica dei/delle pazienti, aumentando per esempio le possibilità di sviluppare un cancro o di essere colpiti/e da un infarto. Burke denuncia la mancata emersione del fenomeno e la conseguenza di ciò a livello medico, dal momento che la mancanza di questo dato causa una minore coscienza e considerazione del maggior rischio di salute a cui sono sottoposti/e tali pazienti.
Il circolo vizioso della violenza assistita
Un altro fatto, che aiuta meglio a capire l’entità del problema è l’automatismo che tende a verificarsi nelle persone adulte che hanno esperito violenza assistita durante la loro infanzia e/o adolescenza. Le donne sarebbero infatti maggiormente predisposte a diventare vittime di uomini violenti in futuro e gli uomini ad agire violenza a loro volta. Questo circolo vizioso rischia di scatenare un effetto domino che si riproduce all’infinito, senza apparentemente lasciare spazio all’autodeterminazione. La buona notizia è che non deve andare per forza così e che la rielaborazione del fenomeno è una strategia essenziale per comprendere la violenza subita e assistita (e in alcuni casi agita) e per voltare pagina tenendo conto del proprio bagaglio personale, senza permettere che determini il proprio futuro.
Questa rielaborazione non può però accadere senza un aumento della consapevolezza su cosa sia la violenza assistita, su chi colpisca e perché.
Alcune iniziative
Per fortuna esistono iniziative che mirano a diffondere consapevolezza sul reato di violenza assistita, tramite diversi canali e strategie. Come ad esempio le meravigliose 15 tavole realizzate da Stefania Spanò, in arte Anarkikka, proprio incentrate sulla violenza assistita e sulle conseguenze che questa ha nei confronti dei bambini e delle bambine che la vivono.
Inoltre, Save the Children, organizzazione fortemente attiva a sostegno dell’infanzia, ha creato un tour immersivo per simulare l’esperienza di un bambino che assiste a violenza agita dal padre nei confronti della madre (“La stanza di Alessandro”). Questa iniziativa permette al pubblico generale di farsi un’idea del dramma a cui va incontro un/a bambino/a o una/un adolescente costretto a vivere quotidianamente in un’atmosfera di terrore tra le mura domestiche.
Quindi cosa possiamo fare?
Sono tante le misure che si possono intraprendere contro la violenza assistita su diversi livelli: si può (e si deve) per esempio agire sul piano politico, educativo e culturale. Tuttavia, non andremo da nessuna parte se non ci concentriamo sulla radice del problema: la violenza domestica. Questo perché agire unicamente su un problema collaterale sarebbe come tappare una perdita senza decidersi a cambiare il tubo difettoso da cui esce l’acqua.
Mentre ci occupiamo di questo problema, però, gli/le oltre 400 000 bambini/e e adolescenti là fuori, così come gli/le adulti/e che si portano dietro un tale bagaglio negli anni, vanno aiutati/e e tutelati/e. Sia dai singoli cittadini che dal governo. E anche voi potete fare la differenza: facendo una domanda in più, offrendo il vostro supporto, informandovi sulla faccenda e riconoscendo tutti/e insieme che la violenza assistita è un problema tangibile, per quanto sembri invisibile nella società di oggi.