Articolo di Viola Belli
“Sai, quando sarò grande sposerò Martina”.
Immaginatevi questa frase, detta da un umano piccolo piccolo con una vocina piccola piccola in uno spazio piccolo piccolo.
Adesso immaginatevi con quanta forza sia stata coperta questa voce piccola piccola con la frase “Ma tu sei una bambina, quindi devi sposare un maschio”.
Non so da che parte cominciare.
Ho passato quasi tutte le mie esperienze lavorative in compagnia di bambini e bambine di età compresa tra 0 e 3 anni – qualche volta anche più grandicelli. Questa storia parla proprio di una di quelle esperienze.
Mi chiedo spesso come ci vedano realmente i bambini, cosa leggano nei nostri comportamenti e nei nostri atteggiamenti.
La maggior parte delle persone della mia generazione è cresciuta con genitori eterosessuali, cisgender, legalmente sposati (o comunque con un genitore solo la cui la vita sessuale per la maggior parte del tempo rimaneva celata ai nostri sensi), quindi questa scena vi dovrebbe essere abbastanza familiare, ma nel caso non lo fosse immaginatela con me:
Teresa torna a casa con la mamma. Entrano e trovano il papà intento a sistemare un cavo rovinato dalla sera prima.
La mamma lo vede, si avvicina, gli dice “bravo” e lo bacia.
Teresa chiede: «Come mai hai baciato il papà?», e la mamma risponde: «Perché siamo sposati, Teresa».
A quel punto Teresa guarda la mamma seria e chiede di nuovo: «E che vuol dire “sposati”?».
La mamma sorride e risponde a Teresa: «Quando due persone si vogliono tanto tanto tanto bene si sposano».
Teresa ha quattro anni e questa spiegazione le basta.
Il giorno dopo Teresa torna a scuola, vede la sua compagna di classe Martina e la bacia sulla guancia perché le vuole “tanto tanto tanto bene”, e quindi perché mai non dovrebbe volerla sposare?
L’amore è una cosa difficile, forse la più difficile da imparare. Si deve imparare ad amare, ma si deve imparare anche ad essere amati, che non è poi così facile come sembra.
E tutto questo va imparato a quattro anni? A quattro anni non possiamo volerci bene e basta? E se questo “volerci bene” lo chiamassimo “sposarci” non andrebbe più bene?
Ok! Chiamiamolo “appolpettarci”. Ma se Teresa miracolosamente imparasse a quattro anni cos’è l’amore, quello che unisce veramente due persone, e si rendesse conto che questo amore sincero e profondo esiste solamente se condiviso con Martina, perché preoccuparsi tanto per un appolpettamento che sarebbe sicuramente ben riuscito?
“Sposarsi”.
Lasciate risuonare la parola dentro di voi. Questo verbo evoca a tutte le persone una cosa diversa. C’è chi ne rimane estasiato; chi brama il giorno delle nozze da sempre; chi avverte improvvisamente fortori immediati; chi assume l’espressione di chi ha appena mangiato un limone.
Ma non c’è spazio per una reazione per Teresa, perché Teresa DEVE sposare un maschio. Non ci sono vie di fuga da questo destino imposto a quattro anni: è così che gira il mondo, bella, le femmine sposano i maschi… anche se questa non è proprio la verità, Teresa. Ho provato a dirtelo, ma la voce della tua mamma è così dolce e a te talmente cara che non posso in alcun modo liberare la tua mente da questo vincolo.
Tu DEVI sposarti con un maschio, piccola Teresa. Se c’è una cosa che ti hanno spiegato in questi tuoi meravigliosi quattro anni, è proprio questa.
E non so come mai tante cose, però, non te l’hanno spiegate. Per esempio, mi ricordo di una volta che mi avevi chiesto com’è che si usano le tempere. Nessuno te l’aveva spiegato a casa. Non sapevi usare le tempere, ma sapevi benissimo che DOVEVI sposare un maschio. O come l’altra volta in cui mi avevi chiesto, mentre eri al gabinetto, “perché la mia si chiama farfallina e la sua passerina?”.
Teresa, a questo non so risponderti, però una cosa la so: si chiama vagina, ma non è così importante, quello che importa è che la vagina prima si chiama passerina, poi passerotta, poi farfallina, poi pisellina e dopo molto, molto tirocinio, vagina. Non so perché, Teresa cara, ma una cosa la so: il pisello si chiama così da subito, e nessuno smette mai di chiamarlo così; il perché proprio non lo conosco, ma forse tu dovrai chiedertelo spesso, Teresa, perché tu DOVRAI sposare un maschio e si sa, i maschi hanno il pisello e le femmine un apprendistato.
E poi c’è stata quella volta, quella che mi ha fatto proprio arrabbiare, ti ricordi Teresa? Quella volta che mi accorsi che nessuno mai ti aveva spiegato che il minestrone, appena messo nel piatto, brucia. Mi chiesi com’era possibile che Teresa, a quattro anni, non si fosse mai bruciata con il minestrone?
No, nessuno ti aveva mai spiegato che il minestrone brucia, ma ti avevano spiegato che dovevi sposare un maschio.
Teresa di quattro anni, due cose te le voglio proprio dire. La prima è che alla tua mamma devi volere molto bene, perché sicuramente sta facendo del suo meglio con quello che ha, ma forse tu sarai più fortunata e potrai fare anche più della tua mamma. La seconda cosa che vorrei dirti è che è meglio che tu impari a soffiare il minestrone prima di mangiarlo, invece che cercare marito, ma se proprio vuoi cercarti prima un marito andate a mangiare sushi.
Teresa non esiste, o meglio ha mille volti. Un po’ il mio, un po’ il vostro, un po’ quello di molte bambine e bambini che ho conosciuto, e forse, più di tutti, ha il volto di sua madre.