Articolo di Marvi Santamaria
Fino a qualche anno fa non mi accorgevo del sessismo intorno a me e di quello che subivo. Ho cominciato a rendermene conto maturando, leggendo e ascoltando storie di altre persone. Come mi è successo con Dicktatorship – Fallo e basta!, l’ultimo film documentario di Luca Ragazzi e Gustav Hofer, che è proprio un’immersione in quella parte di Italia maschilista che ancora, purtroppo, r-esiste.
Con Dicktatorship abbiamo voluto raccontare come una società fallocentrica e patriarcale non possa produrre che atteggiamenti maschilisti e sessisti. E come questi siano trasversali e indipendenti dal ceto sociale, dalla provenienza geografica, dall’orientamento politico.
– dalla nota dei registi al film.
Fin dal titolo infatti i registi mettono in evidenza proprio quella società fallocentrica da cui nasce il maschilismo: quella “K” in più in Dicktatorship infatti non è per nulla casuale, dato che gioca con la parola “dick” – espressione volgare inglese per indicare il pene- così come non è casuale neppure l’allusione al pene del sottotitolo (“fallo”).
La trama di Dicktatorship
Il film usa l’espediente di una proposta di matrimonio in una coppia omosessuale (quale i registi sono realmente da 20 anni) interrotta però da quella che appare come una presa di coscienza: un mattino, mentre i due sorseggiano un caffè, Gustav si rende conto che il suo compagno, Luca, ha delle uscite abbastanza maschiliste. Perché sì, anche una persona gay può essere maschilista. Comincia così il loro viaggio in giro per l’Italia per testare il grado di maschilismo di Luca, attraverso incontri con diversi esperti, e facendo ciò di fatto finiscono per misurare anche il maschilismo dell’italiano medio.

(E a proposito di misure: il film è stato promosso con un emblematico flyer-righello.)

Nel loro documentario, i registi intervistano sociologi, psicologi, docenti universitari, scrittori, impegnati in studi e attivismo in direzione antisessista, ma anche persone comuni incontrate per strada e interpellate sulla condizione della donna oggi e sull’essere gay.
Una delle scene impagabili è quella in cui Luca e Gustav attendono ansiosi di ricevere a casa una “scrittrice importante”, una cosa che non accade tutti i giorni. Si tratta di Michela Murgia, che in totale schiettezza racconta loro: «Ogni giorno devo combattere il mio maschilismo» accennando al fatto che in passato lei non faceva rete con altre donne per via dell’idea di dover essere in competizione con loro, instillata dalla cultura patriarcale. «Il femminismo non discute il maschio ma il patriarcato», conclude, e quanto ha ragione, dato che c’è ancora chi afferma che il “femminismo è il contrario del maschilismo”.

Tra i diversi incontri di Ragazzi e Hofer c’è il volto del porno italiano per eccellenza, Rocco Siffredi. «La donna non è portata per fare la dominatrice, nel suo ruolo è sottomessa», dice Siffredi in Dicktatorship. I film come quelli con Rocco Siffredi, d’altronde, sono loro malgrado responsabili di aver creato in una buona parte di italiani e italiane uno standard di amatore stereotipato: l’idea machista dell’amante italiano instancabile, dominante, performante. Il problema è che il modello di porno mainstream ha fatto le veci dell’educazione sessuale (pressoché inesistente in Italia) per decenni, e le fa ancora oggi.
A Venezia poi, Hofer e Ragazzi chiacchierano col sociologo Michael Kimmel che li fa riflettere su come i neri, le donne e le persone LGBT “corrano controvento” nella società, nel senso che partono da una posizione svantaggiata rispetto ad altre persone, a causa delle discriminazioni che subiscono a vario titolo.
Toccante e inaspettata poi la parte che ha per protagonista Stefano Davide Simonelli (persona trans FtoM), che racconta come lui abbia notato cambiamenti nell’atteggiamento delle persone verso di lui da quando era donna a dopo la sua transizione (da donna non gli lasciavano finire le frasi, ad esempio, da uomo invece è come se ottenesse maggior “rispetto”) e questo lo porta a concludere che sia socialmente più “tollerata” la transizione FtoM rispetto a quella MtoF.
I registi infine incontrano anche Stefano Ciccone, che ha fondato a Roma l’associazione “Maschile Plurale”, che si occupa di portare avanti una riflessione sul maschile e sui rapporti uomo-donna. «I sentimenti considerati legittimi per gli uomini sono la rabbia e il desiderio sessuale», afferma Ciccone e infatti questi sono tratti del maschile accettato e “normale”. «Viene portata avanti sempre la stessa narrazione, il cambiamento è una minaccia. Bisogna far capire che rinunciare a un pezzo di potere porta a conquistare spazi di libertà».
Io sono andata a vedere Dicktatorship al cinema da sola. Ho passato diversi anni della mia vita a non avere la libertà di fare le cose da sola e, adesso che posso farlo, sento che anche questa piccola azione per me ha un certo peso e significato. Il maschilismo infatti si traduce anche in “tu, donna, non puoi (non devi) essere autonoma rispetto all’uomo”, e tutto ciò che porta la donna lontano dal ruolo stereotipato di genere che la vede subordinata è visto dalla società patriarcale in cui viviamo come minaccioso.
Per questo motivo, uno dei passaggi di Dicktatorship che mi ha più colpita è quello in cui una sostenitrice del Popolo della Famiglia utilizza una metafora dell’arredamento per spiegare il fatto che sul palco a parlare vi fossero solo uomini, come le è stato fatto notare dai registi che in Dicktatorship filmano uno dei convegni del partito: le donne sono sotto-messe, dice lei, è vero, ma nel senso che devono “stare-sotto” come le gambe che sorreggono il tavolo (gli uomini); insomma le donne devono sotto-stare perché gli uomini possano stare avanti/sopra. Non possono, perciò, non venirmi in mente le parole di Lorenzo Gasparrini, che all’inizio del suo ultimo libro Non sono sessista, ma… (Edizioni Tlon) afferma che la società italiana è profondamente maschilista e nessuno e nessuna può sottrarsi alla sua azione sociale.

Mentre io mi chiedo, da femminista, cos’altro possiamo fare di più e ancora per far capire tutti questi concetti a uomini e donne per combattere il maschilismo, ho posto delle domande direttamente ai registi di Dicktatorship, che ringrazio molto per la disponibilità.
Intervista ai registi Luca Ragazzi e Gustav Hofer
Marvi: Secondo l’Index 2017 dell’European Institute for Gender Equality ci vorranno probabilmente 100 anni per raggiungere la parità di genere in ambito politico, economico e sociale. Alla luce della fotografia italiana che avete scattato grazie al vostro film, vi sembra una stima plausibile?
Ragazzi-Hofer: Ci auguriamo che possa succedere prima – almeno vorremmo vederlo succedere mentre siamo su questo pianeta. Certamente dobbiamo sbrigarci ma non è impossibile. Chi negli anni ’50/’60 avrebbe pensato che un giorno le persone LGBTQI avrebbero potuto sposarsi o unirsi civilmente? Le cose possono cambiare e per farlo serve l’unione tra movimenti femministi e movimenti LGBTQI.

Marvi: Circa quella stima di un secolo per colmare il gender gap, io sono pessimista: mi basta pensare che ancora oggi nelle relazioni reiteriamo un codice cavalleresco sessista (a volte benevolo, che è comunque nocivo, a volte no) nato secoli fa. Cosa ne pensate del maschilismo nelle dinamiche di coppia? La parte in cui Luca sperimenta la violenza coniugale tramite il visore VR è intensa sullo schermo.
Ragazzi-Hofer: Il maschilismo è profondamente radicato nella nostra cultura, ce l’hanno dato con il biberon e questo si dimostra ovviamente anche nel rapporto di coppia – sia etero che omo. (Non dimentichiamo poi la misoginia tra uomini gay e la continua negazione di tutto quello che è femminile in tanti ragazzi gay.) Il nostro maschilismo introiettato ci fa pensare che siamo “entitled” a fare o chiedere certe cose al nostro partner, senza mettere in dubbio queste dinamiche, spesso legate a un rapporto di potere.
Per me (Luca) l’esperienza della VR è stata molto forte. Inizialmente non ci credevo, mi sembrava tutto finto, ma poi ho provato a immedesimarsi in questa donna, pensando a tutte quelle che ogni sera hanno a che fare con un marito manesco che torna a casa ubriaco e riversa loro addosso tutta la bile e la frustrazione.
Marvi: Qual è la parte del viaggio, l’incontro che avete fatto durante questa ricerca, che vi ha lasciati più spiazzati? E quali quelli positivi? Per me in negativo è stata la metafora della partecipante al convegno del Popolo della Famiglia: mi è sembrata una lucida follia.
Ragazzi-Hofer: Una “lucida follia” ci piace come descrizione. Purtroppo sono persone che esistono e in questo momento storico trovano anche degli interlocutori politici nei partiti di governo – basti pensare al Congresso mondiale delle famiglie, che si è svolto a Verona. A parte l’incontro illuminante con il sociologo statunitense Michael Kimmel, che ci dice che dobbiamo rendere visibile il privilegio nel quale vive l’uomo bianco eterosessuale o con la scrittrice Michela Murgia, che ci fa capire come gli uomini hanno reso le donne complici nel loro sistema patriarcale, è stato l’incontro con Stefano Davide che ha fatto la sua transizione da Female to Male e che ci racconta, come ora, da uomo, venga pagato di più, venga più rispettato e possa finire le frasi.
Marvi: Cosa ci vuole per “guarire” dal maschilismo, oggi, in Italia? Ha senso cercare di sensibilizzare i maschilisti “cronici” o per loro non c’è speranza e bisogna concentrarsi più sulle nuove generazioni? Le posizioni velatamente omofobe dei ragazzi che avete intervistato fuori dalla scuola mi hanno colpita molto.
Ragazzi-Hofer: Con una certa generazione probabilmente è inutile cercare di cambiare la mentalità ma forse possono almeno iniziare a riconoscere nel loro quotidiano gli atteggiamenti maschilisti. Sarebbe un primo passo. Dobbiamo sensibilizzare i nuovi genitori, stimolandoli a educare i loro figli liberi da atteggiamenti maschilisti e soprattutto dobbiamo incontrare e spiegare ai ragazzi e alle ragazze nelle scuole che un sistema può solo funzionare per tutti e tutte, se si è trattati in modo uguale – che non è giusto che sia il tuo genere a darti vantaggi o svantaggi.
Rispetto ai nostri film precedenti, i temi affrontati in Dicktatorship possono sembrare meno immediatamente autobiografici. Non è così, ci sentiamo direttamente chiamati in causa, in primo luogo come cittadini e poi come coppia gay, dal momento che – com’è ampiamente dimostrato dai fatti prima ancora che dalle statistiche – misoginia e omofobia sono facce di una stessa medaglia. Ma attenzione, questo non vuole essere un film contro il maschio: piuttosto il tentativo di capire cosa sta succedendo nella nostra società, ancora prepotentemente dominata da uomini bianchi e – almeno ufficialmente – eterosessuali. La storia è stata scritta da loro e per loro, ma è giunto il momento di far levare altre voci.
– dalla nota dei registi al film.

Nonostante io fossi al corrente del tema del sessismo, la forza del messaggio di Dicktatorship mi è arrivata con intensità. Sono messaggi necessari, oggi più che mai. Spero possano arrivare anche a chi ancora si ostina a dire – parafrasando il titolo dell’ultimo libro di Lorenzo Gasparrini:
«Non sono sessista, ma…» [aggiungere una frase sessista a caso].
Potete trovare tutte le informazioni e gli aggiornamenti su Dicktatorship sul profilo Instagram ufficiale @dicktatorship_falloebasta e sulla Pagina Facebook dei registi.
