Articolo di Giulia Sosio
Disclaimer: questo articolo ha generato non poco dibattito all’interno della redazione. In parte per ragioni inerenti al contenuto, in parte per una motivazione più ampia: in un mondo dove la scelta sarà tra Hillary Clinton e Donald Trump, “parlare male” della Clinton sembra un azzardo. C’è il rischio che passi il messaggio: “meglio l’altro”.
Naturalmente non è così. Abbiamo deciso di pubblicare questo articolo perché certi di non poter minimamente influire sul voto e se la nostra fosse stata invece una testata americana, avremmo tenuto per noi questa riflessione fino a dopo l’8 novembre. Se vincerà la Clinton saremo felici per due motivi: perché non avrà vinto Trump e perché vivremo in un mondo in cui una donna può essere a capo degli Stati Uniti. Ma questo non rende meno vere alcune critiche che possiamo muovere. Buona lettura.
Se c’è qualcosa che mi ha insegnato il John Fitzgerald Kennedy Institut, è che è avventato fare proclami e slogan estremizzanti solo per fare quelli ‘politicamente attivi’. Specialmente quando si parla di politica USA, l’hippie di turno fa come le falene e dura una notte.
Una persona non può permettersi di elogiare o criticare un candidato basandosi dicerie e testimonianze non autorizzate. Deve, in poche parole, fare ricerca giornalistica e accertarsi sui fatti con dati alla mano. Con senno di causa, ammetto che a me Hillary Clinton non piace.
Sono una donna, credo nel femminismo e sono pure lesbica. Sono portatrice di una tripletta che, vivessi negli States, mi renderebbe un buon target per i piani di comunicazione dell’entourage Clinton. La sostenitrice ideale. Non scherzo, una mattina mi è stata posta una domanda che iniziava con un “ma a te che piace la Clinton…”
No, non mi piace. Tripletta a parte, Hillary non ha e non avrà il mio supporto. Ora vi spiego il perché.
https://www.youtube.com/watch?v=TcrA8ehw2e4
- La “woman card”
Se avete dato uno sguardo al video sopra, noterete come la risposta al perché si voti Hillary sia “perché è una donna”. Nessuna argomentazione sul suo piano elettorale, le sue scelte in campo di politica interna e verso gli esteri, i valori che la sua campagna sta cercando di lanciare e le sue posizioni a livello socio-culturale. Nulla. Il voto è esclusivamente basato sul sesso. Non attribuisco questo pressappochismo direttamente agli intervistati: il tutto è anche frutto di un’accurata posizione presa dalla Clinton.
La cosiddetta “woman’s card” non è altro che il continuo rimarcare il suo essere donna, femmina, cromosoma XX (solo caso cisgender, chiaro). Hillary è donna, deve dirlo sempre. Lo afferma come risposta a un attacco, in un elenco di svantaggi e difficoltà a cui va incontro ogni giorno, in una standard risposta “politically correct”. Ovunque. Charlie Houpert – autore e personaggio web – sintetizza perfettamente dicendo che la Clinton, non argomentando in altre maniere il suo essere la migliore candidata tra i due contenenti, può addirittura sembrare “anti-man” e spingere uomini democratici a votare per Trump.
Penso che puntare tutto sull’essere una donna sia una presa di posizione comoda e, se vogliamo dirla tutta, denigratoria per il genere femminile e anacronistica per il 2016. Come se le donne non facessero altro che essere donne. Hillary negli anni ha riformato il sistema di Child Care, è stata rappresentate USA nel mondo, ha argomentazioni valide dalla sua.
- Donna = Outsider
DICKERSON: Everybody wants an outsider, and that kind of puts you in a fix. Tell us why it doesn’t put you in a fix. CLINTON: I can’t imagine anyone being more of an outsider than the first woman president. I mean really. Think about that.
E no, Hillary. Non sei Pocahontas nel 1600, e non sei un ragazzino trasportato dai genitori che non parlano inglese in qualche scuola della Florida, non sei un senza tetto di Berlino o un ragazzo discalculico che sta imparando a contare.
Hillary, insomma. Sei stata first lady per otto anni, hai servito il governo statunitense come senatrice per altrettanti otto lunghi anni e sei stata segretaria di stato per quattro anni. Questo curriculum dichiara tutto tranne che un profilo da outsider.
Che poi, in quanto donna, non mi sento un’outsider e non voglio sentirmi un’outsider. Questo esempio da “woman card” va contro il principio della terza onda femminista, del vedere assoluta equiparazione e rispetto tra individui a prescindere dal sesso.
E non penso che Hillary stia parlando dell’essere outsider in quanto unica donna sulla Terra ad assumere un ruolo principale nella politica di un paese. Almeno, lo spero: non ho mai sentito Angela Merkel o la Regina Elisabetta fare coming out come outsider. Sarebbe un po’ buffo.
- Hillary e i soldi
La campagna elettorale di Hillary Clinton sta utilizzando fondi per 290 millioni di dollari. Cifre aggiornate a questo luglio. Sono capitali che se messi a confronto con il budget di Trump di 74 millioni sembrano un elefante vicino ad un barboncino, e in confronto allo stile di vita di una famiglia americana sotto Medicaid sembrano lo stesso elefante vicino all’Ape Maia.
Negli anni la Clinton è riuscita ad ottenere accordi di sponsorizzazione da alcune delle realtà più potenti nel mercato statunitense, primi su tutti la catena Walmart. La famiglia Walton, la cui fortuna supera al netto il valore di più di 127 milioni di americani, ha donato alla fondazione Clinton milioni di dollari – soldi usati quasi esclusivamente per la campagna elettorale. Peccato che Walmart sia da anni accusato di gender discrimination e sfruttamento dello staff.
Se davvero ci dichiariamo femministe, e ci preoccupiamo del ruolo delle donne nel capitalismo strutturato e in un contesto delicato come l’imperialismo statunitense, è necessario eleggere un presidente in grado di cambiare questo status quo.
Serve qualcuno che non innalzi il profitto alle spese dell’umana decenza e che pensi sul serio agli interessi dei cittadini senza agire come ‘burattino mangia milioni’, qualcuno che scelga i finanziatori in linea con quelli che sono anche solo apparentemente i propri piani elettorali.
- Coerenza: questa grande sconosciuta
Negli anni Hillary Clinton ha fatto capire che farà tutto il possibile per vincere le elezioni presidenziali. Che effetto ha quest’affermazione sul contenuto della sua campagna e sulla sua coerenza personale? Nulla di buono, a quanto pare.
Durante il dibattito nazionale tra i due candidati democratici, svolta nello New Hampshire qualche mese fa, Bernie Sanders ha parlato della Clinton come una pedina dell’establishment politico statunitense. Hillary, che sa che “establishment” (oligarchia) è un termine che può portarle brutta pubblicità e un brutto accostamento sulle testate, nega di far parte di questo establishment.
Peccato che sappiamo tutti che quella dei Clinton è una dinastia in ascesa, sappiamo tutti del passato politico di Hillary, dei più di vent’anni che ha passato ai vertici della politica USA. Eppure lei nega, solo per suonare meglio nei telegiornali della mattina dopo.
Dopo questa negazione, aggiunge che non si trova nell’establishment politico perché lei è, ricordiamolo perché ce lo siamo dimenticati, una donna. Ancora una volta, la “woman card”. Qui, a prova, il transcritto del dibattito.
Il secondo esempio di non-coerenza della Clinton sta nel suo controverso rapporto con i matrimoni gay. Ripercorrere le tappe cronologiche fa sorridere:
- 1996. Hillary supporta la “Defense of Marriage Act”, legge firmata dal marito che dichiara il matrimonio come istituzione e unione tra una donna e un uomo.
- 2000. A Gennaio Hillary dichiara “il matrimonio ha radici storiche, religiose e morali che vengono a rintracciarsi dagli inizi dei tempi, e penso che sia un’istituzione tra un uomo e una donna.”
- 2000. Ad Aprile Hillary si dichiara a favore delle unioni civili tra cittadini omosessuali che si stanno svolgendo in quel momento in Vermont. Bum, cambio di rotta?
- 2006. Hillary Clinton si dichiara favorevole alle unioni civili nello stato di New York.
- 2007. Le viene chiesto se l’istituzione del matrimonio dovrebbe essere riconosciuto anche per coppie dello stesso sesso, ma Hillary si dichiara contraria. Supporta, comunque, le unioni civili. Ancora niente matrimonio, non ci siamo.
- 2013. I sondaggi cambiano, il pubblico americano si dichiara favorevole ai matrimoni gay. I giornali parlano, Ellen si fa sempre più dura nei talk show e il mormorio aumenta. Hillary quindi che fa? Cambia idea. Pronta per la sua seconda candidatura come presidente degli Stati Uniti, sceglie di prendere la posizione che più rappresenta il mood dei suoi supporters e cerca di conquistare punti. Durante un discorso alla Human Rights Campaign tenuta il 18 Marzo, dichiara di essere favorevole ai matrimoni gay.
- 2015. Legalizzazione dei matrimoni gay. Sul profilo Twitter della Clinton appare il seguente tweet: “Every loving couple & family deserves to be recognized & treated equally under the law across our nation. #LoveMustWin #LoveCantWait.”
Un conto è cambiare idea sulla base di una conoscenza di un argomento all’inizio basilare poi diventata addentrata, ma così – solo per accontentare un generale trend popolare – la politica si trasforma da mezzo di comunicazione e protezione della società a un mero specchio della maggioranza nella speranza di assumere più voti possibili. Hillary non promuove qualcosa in cui crede, vuole vendersi e farsi assumere – come se stesse facendo un colloquio di lavoro e volesse sempre azzeccare le risposte giuste.
Questo articolo è un campanello di “attenzione” per tutte le donne che sostengono Hillary Clinton alla cieca, che non si sono mai addentrate nella sua visione politica e dentro a tutto quello che non concerne il suo essere una donna. È un mio dire: andate oltre, esplorate cosa c’è sotto e decidete se un profilo come questo è davvero un profilo da considerare “femminista”. Leggete del suo appoggio alle guerre in Afghanistan e Iraq, leggete del possesso privato di pistole, andate oltre la “woman card”.
Possiamo aspettare per avere una presidente USA donna degna di questa carica, ma purtroppo abbiamo Trump dall’altra parte del campo da tennis e quindi la situazione non sorride in nessuno dei due casi.
Inoltre, i profili femminili e brillanti negli States non mancano. Senza restare tra le ex First Lady nazionali (Michelle Obama salvaci tu) Jenny Sullivan Sanford, ex First Lady del South Carolina, è un esempio perfetto di leader femminista.
La Sanford era una professionista nel settore bancario ben prima di conoscere suo marito Mark, futuro senatore. Durante la sua campagna venne assunta come manager per la comunicazione e responsabile della gestione fondi e fonti finanziarie. Non era la mera statuina che agitava la mano nelle convention e stava seduta una fila dietro. Quando Mark Sanford la tradì, lei non decise di perdonarlo ma chiese le carte per il divorzio. La Sanford è ben lontana da Hillary Clinton, che perdonò il marito, comodo in quanto Presidente degli Stati Uniti, immolandolo ad agnello innocente – e additò un’ appena ventenne Monica Lewinski come “trailer trash” (termine nordamericano dispregiativo) in seguito al famoso scandalo.
Che ne dite, togliamo il fascio da suffragetta alla cara Hillary?