Articolo di Benedetta Geddo
Quando nel mio gruppo di amiche è saltata fuori l’idea di fare qualche giorno di mare tutte insieme, ne sono stata entusiasta. Che bello il mare, che bello ritrovarsi dopo il lockdown, idea più che approvata, organizziamoci subito. Mi sono messa alla ricerca di qualche costume da bagno, ho incastrato orari di treni e fatto la mia solita lista di cose da mettere in valigia portata da un’onda di euforia che, insomma, non sembra niente di speciale? Siamo tutt* entusiast* all’idea di partire con amic*, no? Ma, mentre provavo i miei costumi appena arrivati, sono stata colpita dalla realizzazione fulminante che quella era la prima volta in chissà quanti anni che la prospettiva del mare non mi provocava disagio devastante ma anzi, tutto l’opposto. Ci sono rimasta talmente (piacevolmente) di sasso che mi sono dovuta prendere una manciata di minuti per registrarla e concepirla bene, seduta sul letto proprio sotto la ventola con un costume in una mano e un asciugamano nell’altra.
Perché il punto è che da bambina amavo andare al mare e sarei potuta stare a mollo per ore, e lo scenario delle nostre vacanze estive era quello classico di mia mamma a riva che urla: “Se non esci subito, poi vedi!” e io che rispondevo “ancora un tuffo e basta, ancora un’onda e basta”. Castelli di sabbia, pisolini sulla sdraio, tutto il pacchetto standard della “Vacanza Al Mare 101”. Poi mi è stato fatto notare che sono grassa. Una cosa che avevo realizzato già da me, perché avevo sì, sei o sette anni, ma la differenza tra le mie gambe e quelle delle mie compagne delle elementari la vedevo benissimo, ma non avevo ancora capito che portasse con sé un’automatica etichetta di “sbagliato,” di “brutto”. E da quando mi è stato detto che quella differenza era un problema, non sono più stata capace di vederla in nessun altro modo per anni.
L’idea di mettermi in costume in pubblico? Impensabile. Spiegare perché sarei rimasta col vestito tutto il tempo? Ancora peggio. L’aria di generale spontaneità che c’è durante una vacanza al mare, quando si è sempre pront* a bagnarsi perché non si sa mai bene come andrà la giornata? Terribile, per una che ha vissuto gli anni dell’adolescenza ossessionata dall’essere sempre preparata e col controllo della situazione e che solo adesso sta imparando a lasciarselo alle spalle. C’è stato un periodo in cui proprio non volevo saperne di qualsiasi cosa avesse a che fare con l’acqua e comprendesse il mettersi in costume, una fase in cui cercavo di evitare il tutto il più possibile; e, se non riuscivo a inventarmi una scusa plausibile per non partecipare, allora coprivo correndo la distanza tra l’asciugamano e le onde, nascondendomi subito sotto l’acqua. Poi mi divertivo, certo, ma sempre con il pensiero di “devo farmi vedere il meno possibile, spero solo che non mi stiano osservando” a martellarmi nel retro della testa.
Verso la fine delle superiori e i primi anni di università ho cominciato a scoprire la body positivity e la fat acceptance e credere che certo, tutti i corpi sono summer bodies: tutti, tranne il mio. Le altre persone sono incredibili, fantastiche, valide in ogni modo e in ogni forma, ma io ero rimasta il piccolo mostro che deve nascondersi agli sguardi altrui e cercare di occupare il meno spazio possibile, sempre e soprattutto se con la pelle scoperta. Per moltissimi anni, ho avuto un solo costume che tenevo nell’armadio essenzialmente per scrupolo, basico e minimalista perché “vorrai mica farti notare ancora di più?”. Cercarne un altro, mi dicevo, magari che mi stesse davvero bene e si adattasse davvero al mio corpo, era inutile: mica sarei mai andata volontariamente a fare una vacanza al mare, no?
Ecco, tutto questo per dire che non so cos’è cambiato, da allora ad adesso. Non c’è stato nessun momento eclatante che mi abbia fatto cambiare radicalmente idea, nessuno spartiacque tra il prima e il dopo: un’estate scappavo ancora dal bikini come se fosse radioattivo e quella dopo mi sono convinta ad andare alle lezioni di acquagym della mia palestra, e quella dopo ancora prendevo il sole sugli scogli della Riviera di Ponente senza alcuna preoccupazione al mondo. Continuando a documentarmi e circondarmi di fat acceptance e body positivity, cominciando a parlarne davvero e convincermi che fosse anche per me, ho costruito una strada piena di passi avanti e indietro, di salti altissimi e cadute libere, ma guarda mamma, sono riuscita a regalare all’Internet una mia foto in bikini che mi fa sorridere quando la vedo invece che piangere.
Ed è proprio per questo che sono qui a condividere la mia esperienza: perché anche solo tre anni fa la serenità con cui mi sono imbarcata in questa vacanza al mare mi sarebbe sembrata impossibile. Lo dico spesso, lo so, ripeto e ripeto che sembra impossibile e il cambiamento arriva piano ma alla fine arriva ed è bellissimo.
Perché finalmente sono tornata a essere la bambina che ama l’acqua e che ci corre incontro non appena ne ha la possibilità.
non sono canoni imposti, ci sono uomini e donne fisicamente più belli di altri va accetato senz bullismo ma tutti hanno diritto di godersi il mare.
non sono canoni imposti, ci sono uomini e donne fisicamente più belli di altri va accetato senz bullismo ma tutti hanno diritto di godersi il mare..