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Elezioni Europee 2019: piccola guida al voto consapevole
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Elezioni Europee 2019: piccola guida al voto consapevole

Articolo di Manuel Carminati

Nei giorni del 23-24-25-26 maggio, noi cittadini europei eleggeremo i 750 membri del Parlamento Europeo e il suo Presidente. In Italia, in particolare, eleggeremo 73 rappresentanti: per numero di eletti, avremo la terza delegazione dopo Germania e Francia.
Saremo chiamati alle urne domenica 26 maggio dalle ore 7 alle ore 23 (ora italiana), la stessa ora in cui inizierà lo spoglio delle schede in tutto il continente.
Contemporaneamente alle Elezioni Europee, in quasi 4000 comuni italiani avverranno anche le Elezioni Amministrative, cioè quelle in cui si eleggono i Consiglieri comunali e il Sindaco, e in Piemonte verrà rinnovato il Consiglio Regionale ed eletto il Governatore, elezioni di cui però qui non parleremo.

 

COME SI VOTA

La legge elettorale con cui si vota è basata sul metodo proporzionale puro con soglia di sbarramento: ogni lista che superi la soglia del 4%, infatti, porterà un numero di rappresentanti direttamente proporzionale alla percentuale di voti ottenuta in ognuna delle 5 circoscrizioni in cui il territorio italiano è diviso (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud, Isole).
Oltre a poter votare una lista, la legge permette di apporre fino a tre preferenze nominali; per chi tra noi sceglierà di votare due o tre candidati, ricordiamoci che è richiesto di scegliere almeno un uomo e almeno una donna.
Non è concesso il voto disgiunto, ovvero non si può votare un simbolo e contemporaneamente dare preferenza a un candidato che appartenga a un altro partito (si può fare, invece, sulla scheda delle elezioni comunali).

La data e l’ora del voto, come detto, è diversa in ognuno dei 28 Paesi dell’Unione: i primi a votare giovedì, insieme agli olandesi, saranno paradossalmente i britannici, i quali voteranno ed eleggeranno i loro 73 “MEPs” – nonostante la lunghissima, dibattutissima, a tratti risibile e ancora irrisolta “questione Brexit, e la promessa (già rimandata) di lasciare definitivamente l’Unione Europea. Cosa sarà dei membri di questa delegazione, o dell’attuale governo britannico o persino dell’integrità del Regno Unito e dei rapporti che queste istituzioni avranno tra loro e con quelle europee, nessuno può saperlo.
Non voterà, per ora, l’Albania che proprio in queste settimane ha mostrato grande volontà di accelerare la procedura di ingresso nell’Unione.

PER COSA SI VOTA

I confini dell’Unione, sia territoriali che politici, sono uno dei temi caldi da lungo tempo: da quando è stata istituita, l’Europa si è rapidamente estesa, soprattutto verso Est, fino a includere Paesi storicamente e culturalmente distanti fra loro. Il significato delle istituzioni europee si è dovuto adattare a grandi rivolgimenti culturali e politici (si pensi alla Caduta del Muro e l’uscita dalla Guerra Fredda) e ancora oggi la questione dei confini – sia fisici che ideali – dell’Europa Unita è al centro della discussione: oggi questo si traduce nei rapporti difficili con la Russia e la Turchia, due “vicini di casa” molto complessi da gestire per l’Unione, ma anche con gli storici alleati statunitensi, oggi capeggiati da un oppositore dichiarato del progetto europeo. Queste tre potenze e l’instabilità del Sud del Mediterraneo pongono questioni di non semplice soluzione alle istituzioni europee. Non a caso, negli ultimi tempi si è tornato a parlare di un esercito comune europeo, ipotesi spesso citata dal Presidente Macron.

L’antieuropeismo, un tempo fortemente minoritario, ha trovato nuove declinazioni e linfa vitale in alcune contraddizioni interne all’Unione. Sia a destra che a sinistra, in quasi tutto il territorio del Vecchio Continente si parla di “euroscetticismo” e le proposte nazionaliste, a volte paradossali se declinate a livello europeo, non sono mai state così forti. Il prossimo Parlamento Europeo è destinato ad essere il meno europeista dalla sua fondazione nel 1979.

Tra le questioni più dibattute e più spesso utilizzate per attaccare l’Europa c’è l’immigrazione, un fenomeno che caratterizza la vita dell’Unione sin dalla sua costituzione ma che nell’ultimo decennio ha visto un particolare aumento (e un recentissimo, nettissimo calo) e la cui gestione ha trovato grandissimo peso nel dibattito politico e sui giornali nazionali. L’idea di chiudere i confini nazionali e di tutta l’Unione ai flussi migratori è condivisa da molte forze politiche che in questi anni hanno guadagnato particolare seguito e in alcuni Stati, come in Italia, governano.

Il prossimo Parlamento Europeo dovrà affrontare gli squilibri economici e fiscali del continente, a tratti insostenibili. L’Italia da anni è osservata speciale insieme ad altri Paesi mediterranei: i nostri dati economici non sono all’altezza delle aspettative delle regole europee, oggettivamente severe e tarate su standard lontani dai nostri e che ci vedono in grande difficoltà. Al contempo, tra i paesi componenti esistono differenze fiscali troppo massicce e le grandi imprese, soprattutto quelle extracomunitarie, possono godere della libertà di operare in tutto il Continente scegliendo una sola sede fiscale e grazie a questa eludere il fisco nei restanti Paesi dell’Unione.

Una nuova spinta dal basso che lascia ben sperare è invece quella che arriva dai più giovani: l’Europa unita è il luogo politico dove può avere inizio la grande rivoluzione ecologica ed energetica di cui il nostro mondo ha urgente bisogno e questa può essere realizzata soltanto declinandola in ottica internazionale. Anche se le sue istituzioni sono in evidente difficoltà, la possibilità di spostarsi e comunicare facilmente tra i Paesi membri fa dell’UE il luogo ideale per alimentare la battaglia per la riduzione degli sprechi e la revisione delle politiche energetiche di questa parte del mondo e non solo.

 

CHI SI VOTA

Per via del suo regolamento, nel Parlamento Europeo le forze politiche si schierano in gruppi sovranazionali piuttosto stabili, nei quali si riuniscono esponenti dei singoli partiti nazionali che condividano quelle posizioni. Nel prossimo Parlamento ritroveremo i gruppi storici e quelli di nuova formazione che hanno animato la legislatura passata. Proviamo a passarli in rassegna:

Il Partito Popolare Europeo (PPE), il gruppo uscente più nutrito e al quale appartiene la delegazione di Forza Italia, si rifà a ideali cristiano-democratici e moderatamente conservatori. Esso rimane il favorito (anche se i sondaggi sono bloccati da giorni) e propone come Presidente della Commissione Europea, ovvero l’organo di governo, il cattolico bavarese Manfred Weber, già Presidente del Gruppo parlamentare e uomo di fiducia di Angela Merkel.
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Il Partito Socialista Europeo (partito a capo del gruppo parlamentare Socialists & Democrats), di cui fa parte il Partito Democratico italiano, candida il laburista olandese Frans Timmermans, già vice-presidente della Commissione Juncker uscente. Timmermans è espressione della linea moderata che ha caratterizzato il centro-sinistra europeo nell’ultimo decennio e potrebbe essere, insieme a Weber, artefice della creazione di una maggioranza di compromesso tra Socialisti, Popolari e LiberalDemocratici, quella a cui siamo stati abituati negli anni scorsi.
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Il primo partito di opposizione europea è quello dei Riformisti e Conservatori (ECR), che nasce da scissioni interne al PPE nel 2010 e si colloca più a destra degli stessi Popolari. Il candidato a presiedere la Commissione è il nazionalista liberale ceco Jan Zahradil. L’ECR è il più compatto dei gruppi antifederalisti ed esplicitamente antieuropeisti del Parlamento Europeo, e in Italia esso trova sponda nelle candidature di Fratelli d’Italia.
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L’ALDE, l’Alleanza dei Liberali e Democratici d’Europa, potrebbe confermarsi “baricentro” politico di una maggioranza centrista e in Italia essa è sostenuta dalla lista di +Europa cui fa sponda il progetto politico di Pizzarotti, Italia in Comune. Essa sostiene la candidatura di quello che ha chiamato il “Team Europe”, una lista di nomi noti della politica continentale che comprende il suo leader, il liberale belga Guy Verhofstadt, ma anche Sylvie Goulard, Margrethe Vestager, Cecilia Malmström, Hans van Baalen, Emma Bonino e Violeta Bulc.
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Il gruppo politico più a sinistra nel Parlamento è quello nato dall’alleanza tra la Sinistra Unitaria Europea e la Sinistra Verde Nordica (spesso abbreviato in francese GUE/NGL), formato appunto da esponenti comunisti e socialisti democratici che propongono riforme radicali delle istituzioni e dei regolamenti europei. La presidente candidata è la socialista slovena Violeta Tomič. Ad esso sono affiliate la candidature di “La Sinistra“, progetto politico di unione tra partiti quali Altra Europa con Tsipras, Rifondazione Comunista e Sinistra Italiana.
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Su posizioni politiche più moderate (ma comunque fuori dalla maggioranza) e con una missione marcatamente ecologista si trova il folto gruppo dei Verdi Europei (in italiano siglato Verdi/ALE, in inglese G/EFA) i cui candidati di punta sono la tedesca Ska Keller e l’olandese Bas Eickhout. Gli European Greens sono sostenuti in Italia dalla lista Europa Verde, nata dall’accordo tra i Verdi Italiani e Possibile.
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A destra dell’emiciclo troviamo altre due gruppi parlamentari per certi versi sovrapponibili e per altri inconciliabili: L’EFDD e l’ENF.
Il primo, l’Europa della Libertà e della Democrazia Diretta, è formato quasi interamente dal binomio Movimento 5 Stelle-UKIP, il Partito per l’indipendenza del Regno Unito, partito antieuropeista e populista capitanato da Nigel Farage. Durante la trafila Brexit, lo UKIP ha drasticamente perso consensi e oggi, ridotto al lumicino, è sostanzialmente il partito nazionalista razzista d’Inghilterra i cui nemici numero uno siamo noi italiani (ma solo dopo i polacchi, guarda caso due grandi minoranze cattoliche nella moderna Inghilterra). Negli stessi mesi la delegazione italiana del Movimento 5 Stelle provò a entrare nel gruppo dell’ALDE, fallendo. Molti membri dell’EFDD eletti nel 2014 si sono ricollocati in altri gruppi europarlamentari. Paradossalmente, sia il Movimento 5 Stelle che Nigel Farage potrebbero ricreare questa intesa dopo il 26 maggio: Farage ha infatti abbandonato lo UKIP insieme al suo gruppo di parlamentari e ha creato il Partito Brexit che, nonostante possa sembrare una battuta, è il netto favorito tra i partiti britannici per le prossime elezioni europee.
Se questo è senza dubbio il gruppo più euroscettico del Parlamento Europeo, l’ENF, l’Europa delle Nazioni e della Libertà, è certamente quello più a destra: capitanato dal Front National di Marine Le Pen e dalla Lega (non-più-Nord) di Matteo Salvini, il gruppo dei “sovranisti” europei promette di essere quello in maggiore crescita, premendo su temi identitari, oltranzisti e anti-immigrazione.
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L’Europa unita, nata dall’idea di superare i nazionalismi e le politiche reazionarie che ci avevano condotto alla Seconda Guerra Mondiale, vedrà crescere un gruppo di ferventi nazionalisti e reazionari il quale, a giudicare da alcuni sondaggi, potrebbe essere a capo di una maggioranza antieuropeista all’interno del Parlamento Europeo.

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