In Italia, come primo vip omosessuale a fare scandalo per avere fatto un figlio con utero in affitto, abbiamo avuto qualche tempo fa Nichi Vendola.
Si è alzato un polverone tra cattolici, femministe-l’utero-è-mio-lo-gestisco-io, femministe-affittare-l’utero-è-prostituzione, laici a favore, laici indignati.
Già stavamo in mezzo alla questione unioni civili, la notizia ha fatto parlare e sparlare ancor più forsennatamente.
In questo articolo noi non toccheremo questo argomento.
Ma ad ogni modo segnaliamo che nel mondo, di coppie gay che hanno adottato o a fatto figli ricorrendo all’utero in affitto esistono, avoja se esistono.
Tipo Elton John.
Musicista inglese – che la sua omosessualità l’ha dichiara nel 1976 durante un’intervista a Rolling Stone – che peraltro è stato ospite durante il Festival di Sanremo proprio nel periodo in cui eravamo presissimi a boicottare il diritto di avere una famiglia a prescindere dal proprio orientamento sessuale.
C’era chi lo voleva pronto ostentare la sua famiglia “speciale” rivendicando i diritti civili, chi lo voleva zitto sul tema.
Lui ha semplicemente fatto quello per cui era ospite al festival: cantare.
Che del resto, è il suo mestiere.
Ha fatto un paio di battute politically correct sul fatto che non si sarebbe mai aspettato di diventare padre, su bravura e bontà degli uomini di Chiesa coi quali ha lavorato in Africa.
E se n’è andato.
Come un Signore di sessantanove anni, degno del titolo di Knight Bachelor conferitogli dalla Regina Elisabetta nel 1998 per l’impegno profuso nella musica e cultura inglese, oltre che nella beneficienza.
Elton te lo immagini sempre con occhialetti, capello carota, giacca sgargiante, piegato sul pianoforte.
Anche quando cucina il bacon a colazione.
Il suo vero nome è Reginald Kenneth Dwight e Don’t Go Breaking My Heart, Rocket Man, Crocodile Rock e Your Song sono forse i suoi pezzi più conosciuti.
Per non parlare di Candle in the Wind, brano inizialmente pubblicato nel 1973 in ricordo di Marilyn Monroe e riadattato nel 1997 a Lady Diana, grande amica del musicista, che con quarantamilioni di copie è il singolo più venduto al mondo.
Del pianoforte, iniziato a suonare a tre anni, ha fatto il suo fedele compagno, in un mondo, quello rock, in cui la chitarra la fa da sempre da padrona.
È un’icona del rock ‘n’ roll.
Un rock ‘n’ roll che ammicca al pop, alla discomusic e al glam.
Quel glam di David Bowie, col quale ha sempre avuto un rapporto un po’ particolare, comme à dire, difficile, ma che ha omaggiato e ricorda con il rispetto e l’ammirazione che non si può non avere per il Duca Bianco, riconoscendone l’immensità al di là degli screzi e dei rapporti tra loro.
La carriera di Reginald è sterminata (oltre che caratterizzata di eccessi).
La sua età dell’oro l’ha vissuta negli anni Settanta.
Non bastano sei mani per contare gli album che ha inciso, le compilation alle quali ha partecipato, le colonne sonore che ha scritto.
Innumerevoli sono i musicisti che ha influenzato: da esponenti dell’hard rock quale Axl Rose, alle regine del pop Anastacia e Celine Dion, passando per Thom Yorke, Ryan Adams e Lenny Kravitz.
Certo, sul finire del ventesimo secolo, tra l’operazione di asportazione di un tumore alla gola che gli ha cambiato la voce, l’alcolismo e i disturbi alimentari, la sua carriera ha subito un declino: più che per la sua musica, è finito sulle pagine dei giornali di quel periodo a causa delle sue apparizioni mondane qua e là, per il matrimonio con l’attuale compagno e per la nascita dei loro due figli nati da madre surrogata – la stessa per entrambi – in California.
Nonostante le critiche e il declino, la sua carriera e la sua produzione ha macinato note su note e all’inizio degli anni Duemila ha ripreso la strada maestra.
Wonderful Crazy Night è il suo nuovo disco, uscito a inizio febbraio.
Wonderful Crazy Night è un disco che ride, fantasticamente 70s.
Spensierato, vivace e rock ‘n’ roll.
Sempre col pianoforte come protagonista principale.
Ricorda tantissimo i suoi primi lavori, seppur i puristi possano candidamente statuire che risulta comunque un’opera inferiore.
Qualche giorno fa ha premiato, per la sua Elton John Aids Foundation, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon per il suo “straordinario contributo alla lotta globale contro l’Aids”, sottolineando come egli sia un sostenitore dell’uguaglianza e della comunità Lgbt, i cui diritti sono uno dei grandi temi trascurati del nostro tempo.
Nel 2019 invece è prevista l’uscita della sua autobiografia che scriverà a quattro mani con il giornalista del Guardian, Alexis Petridis.
Elton è stato più volte in Italia, quest’estate compresa. E tornerà nel 2017, a Mantova: con la scusa di accompagnare mamma e papà, che sicuramente su Crocodile Rock almeno una volta si sono scatenati, sfruttiamo l’occasione per contemplarci uno dei dinosauri sacri della storia della musica mondiale.
Articolo carino ma molto superficiale per gli standard di Bossy, a mio parere. Nessuna menzione del fatto che per anni abbia negato e nascosto il proprio orientamento sessuale (senza volerne fare un giudizio negativo: è stato uno dei primi a dirlo e lo ha fatto nel lontanissimo 76, ma andava comunque detto) e poca coesione tra l’introduzione (in cui, magari mi sbaglio e ho sempre capito male io, si usa impropriamente il termine utero in affitto al posto di gestazione per altri) e il corpo del testo.
Probabilmente è il mio browser, ma anche la formattazione ha qualche problema…