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Embrace: il documentario sulla positive body image

Embrace:
il documentario sulla positive body image

Articolo di Alessandra Vescio

«Io ho una regola di base: se sei insieme a me, non hai il permesso di parlare male di te stesso. È contagioso. Possiamo scegliere se rendere contagioso il negativo o il positivo, quindi sarà meglio scegliere di rendere contagioso il positivo. Non abbiamo scelta.»

Questa è una delle tante testimonianze raccolte dalla fotografa e attivista Taryn Brumfitt nel documentario sull’immagine del corpo dal titolo Embrace.

Presentato al Sydney Film Festival 2016 e nominato come Miglior Documentario Australiano al Documentary Australia Foundation Award, Embrace è un viaggio, reale e immaginato, attraverso storie, racconti, scoperte e rivelazioni legate dal comune denominatore dell’idea troppo spesso errata che le donne hanno del proprio corpo.

Tutto ha inizio da un post che Taryn pubblica sul suo profilo Facebook, in cui mette a confronto un prima e un dopo ribaltando però il punto di vista a cui siamo abituati. Nel “prima” infatti, di solito riservato a ciò che fa male e va cambiato, vi è un’immagine di Taryn magra, tonica e apparentemente sicura di sé durante una competizione di bodybuilding. Il “dopo” cattura un corpo rilassato, sereno e formoso, che porta addosso i segni di tre gravidanze e di una vita intera.

Controcorrente e diverso, alternativo al solito “prima e dopo” a cui siamo abituati, il post di Taryn diventa virale e dà vita a un fenomeno incredibile fatto di interviste, approfondimenti, riflettori puntati e celebrità. Ma questo a Taryn non basta, perché il suo non è stato un gesto dettato dalla voglia di mettersi in mostra, anzi: è stato il modo più semplice, ma anche più intenso e immediato, di gridare al mondo che aveva fatto o stava facendo pace col suo corpo. E quindi con se stessa.

Taryn Brumfitt – Before and After

Dopo la prima gravidanza, infatti, il suo fisico ha iniziato a dare segni di cedimento provocando in lei disagio e profondo dolore. Arrivata al punto di volersi sottoporre a un intervento chirurgico per cambiare ciò che non le piaceva e che le creava una profonda sofferenza, si è fermata solo per sua figlia: cosa avrebbe pensato di lei? Ma soprattutto, quale messaggio le avrebbe trasmesso? Così Taryn cancella l’appuntamento dal chirurgo plastico e sceglie un’altra via per cambiare il suo corpo.

Grazie a un’amica personal trainer, ma soprattutto grazie al disagio che prova guardandosi allo specchio, Taryn inizia ad allenarsi costantemente e in maniera ossessiva. I risultati arrivano velocemente e non senza sforzi e sacrifici, ma in ogni caso sono lì e sono anche talmente evidenti da permetterle di partecipare a una competizione di bodybuilding.

Ma è proprio su quel palco e dietro quelle quinte che qualcosa scatta dentro di lei: sentire tutte le partecipanti lamentarsi del proprio aspetto, ma soprattutto il guardarsi attorno mentre nel suo perfetto “bikini body” sfila davanti agli spettatori che la acclamano, e sentirsi comunque profondamente triste, la scuote talmente tanto da confonderla.

Aveva passato tutto quel tempo a cercare di rispondere a una semplice domanda: come ci si sente a stare dentro un corpo perfetto? E alla fine quando la risposta sembrava essere stata raggiunta, capisce che era la domanda ad essere sbagliata: felicità, infatti, non fa rima con magrezza e magrezza non coincide con perfezione.

Da quel momento, Taryn sceglie di scendere dalla giostra del raggiungimento di un ideale impossibile per concentrarsi su qualcos’altro: cosa può rendermi felice e come faccio ad amare il mio corpo in virtù della sua diversità, e quindi della sua unicità?

Da qui nasce l’idea del post su Facebook e la nascita del Body Image Movement che celebra la diversità e la bellezza di ogni corpo; da qui ha inizio il suo viaggio, che la porta a confrontarsi con tantissime persone e con storie intense, ma soprattutto reali, da raccontare.

Ogni donna, in un modo o nell’altro, infatti, si ritrova a fare i conti col proprio aspetto e a sentirsi a disagio con se stessa. Basti pensare che il 70% delle ragazze è insoddisfatto del proprio corpo, e che più del 50% delle bambine tra i 5 e i 12 anni vorrebbero dimagrire, come viene detto nel documentario.

«Il principale pensiero di molte ragazze – dice la modella Stefania Ferrario – è “odio il mio corpo” e non riescono a concentrarsi su nient’altro», provocando delle ricadute negative su ogni aspetto della loro vita, che sia il lavoro, la scuola, la famiglia o le relazioni. Il 45% delle donne con peso forma sano si crede in sovrappeso, segnale che «forse ci siamo dimenticate l’aspetto di un corpo normale», suggerisce ancora la Ferrario.

Perciò risulta estenuante per ogni donna paragonarsi a qualcosa che non è reale e che viene spacciato per l’ideale. Così come risulta sfinente per una madre dover passare il tempo ad «arginare i danni» e a «spegnere mille incendi al giorno» appiccati dai mass media, dalle pubblicità, da messaggi sbagliati.

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«Le bambine sono bombardate da idee stereotipate e normative sulla femminilità», dice Melinda Tankard Reist, scrittrice e attivista australiana impegnata nella lotta contro la sessualizzazione delle bambine nei mass media e non solo.

Dal documentario si evince che il mondo della moda, la pubblicità, le riviste sono tra i principali promotori di un ideale di bellezza illusorio e irreale che porta le ragazze fin da piccolissime a sentirsi insoddisfatte di ciò che sono, ma anche a far credere loro che tutto ciò che conta è avere un bell’aspetto.

È chiaro che la ripartizione delle colpe sembra essere limitante e riduttiva, ma comunque rappresenta uno spunto di riflessione interessante.

L’intento del documentario è d’altronde quello di interrompere, attraverso storie, studi e testimonianze, il legame tra magrezza, perfezione e presunta felicità. Spostare l’attenzione su ciò che il nostro corpo sa e può fare, anziché su cosa inventarsi per farlo apparire bello, è la vera sfida.

Purtroppo il documentario è classificato come “Non adatto ai minori di 14 anni”, quando è proprio dall’infanzia che dovremmo partire per cambiare le cose, e non mancano i limiti interni al racconto, come quella sensazione che emerge di tanto in tanto di stare assistendo alla costruzione di un altro sistema di estremismi dove grasso è bello e magro è un problema, o alla mancanza di accenni alla maturità e alla vecchiaia, perché l’amore di sé deve prescindere dalla taglia, ma anche dall’età anagrafica; così come anche la ricerca delle cause di un problema così grave sembra incompleta.

Ma se si riesce a cogliere il messaggio centrale di accettazione, comprensione e amore verso se stessi, Embrace diventa un concentrato di positività che fa sorridere e regala forza. D’altronde lo avevamo anticipato: la positività può diventare contagiosa.

Guarda il trailer: Embrace