Articolo di Alice Picco
La figura di Eracle è presente nell’immaginario greco in tutte le sue sfaccettature, sia in ambito religioso sia in ambito cultuale e letterario. Eracle è l’eroe per eccellenza, è colui che compie le dodici fatiche e non si sottrae alla lotta con qualsiasi tipo di creatura al fine di purificare il mondo e portare sicurezza agli uomini.
È l’héros theòs per antonomasia, e come tale viene venerato in quasi tutto il mondo greco, con pochissime eccezioni. Eracle è colui che, nell’immaginario collettivo, non si sottrae alla morte ma, anzi, la affronta con coraggio e, nonostante il castigo di Era e la sottomissione ad Euristeo, si sottopone a ciò che il destino gli ha riservato con la sua forza sorprendente.
Tuttavia, il personaggio in questione non è solo questo; non è solamente l’eroe muscoloso ed impavido. Anzi.
Prima di iniziare a trattare il tema dell’aspetto più femminile di Eracle, penso sia doverosa una breve panoramica riguardo al rapporto dell’eroe con le donne.
Secondo la definizione di Jourdain-Annequin, sono due gli “archétypes de la fèminité” che segnano il destino di Eracle e ne condizionano il rapporto con la donna: Era, la nemica irriducibile, ed Atena, la fedele protettrice. Viene da chiedersi che cosa percepisse il fruitore dell’epica arcaica della natura straordinaria e della sessualità abnorme di Eracle, conteso tra due dee.
Ciò che è possibile ricavare da Omero ed Esiodo porta a pensare che l’aspetto privilegiato in relazione al tema dell’avventura amorosa con un’eroina fosse quello della violenza e della conquista: la figura femminile si presenta come un premio per una vittoria, come un oggetto di gratificazione dopo la lotta. Nell’immaginario collettivo prevale la rappresentazione dell’eroe virile e vigoroso di fronte ad un avversario da vincere con ogni mezzo, e in questo tipo di rappresentazione la donna assume un ruolo secondario e funzionale alla dimostrazione di mascolinità di Eracle. Tuttavia, questo ruolo non è affatto marginale, dal momento che la donna è destinata a dare vita alla discendenza dell’eroe. In questo modo si vede quali sono i due dati che caratterizzano le vittime della sfrenatezza sessuale di Eracle: la conquista attraverso la lotta e il conseguente concepimento di una stirpe illustre.
Tra il VI e il V secolo a.C. si fissa il ruolo di Eracle come god of marriage: all’eroe veniva già assegnato il ruolo di protettore delle nozze, come si vede per esempio nell’Alcesti di Euripide, quindi Eracle era un eroe non solo regolarmente sposato, ma anche coinvolto in riti nuziali. Nello stesso periodo vengono portati sulla scena teatrale gli aspetti contrastanti e contraddittori della personalità di Eracle, e tra questi caratteri antitetici rientra sicuramente il conflitto tra philogynia e misogynia, anche se i tratti che vengono maggiormente presi di mira, in modo particolare nella commedia, sono la gola e la sessualità smodata dell’eroe.
Tuttavia, fuori dall’esagerazione comica, la misogynia di Eracle, che si traduce in violenza sulla donna, trova conferma in alcuni culti sparsi nel territorio greco, di cui alcuni attestati fin dal VI secolo.
● Dono del peplo di Atena
Nicole Loraux afferma che “avec Héraklès nous tenons l’une des figures grecques de la féeminité dans l’homme” (n.d.A. con Eracle abbiamo una delle figure greche della femminilità nell’uomo). Vediamo, però, come gli episodi mitologici in cui Eracle è assimilato ad una donna paradossalmente affermano la sua virilità proprio a causa della capacità dell’eroe di sostenere il ruolo femminile che gli viene affibbiato.
Diodoro Siculo scrive che Eracle, tornato dalla guerra, si presentò alle riunioni solenni, dove si celebravano giochi e feste, e ognuno degli dei lo onorò con un dono: Efesto gli donò una mazza e una corazza, Poseidone dei cavalli, Ermes una spada, Apollo arco e frecce, Demetra lo iniziò ai Misteri, mentre Atena gli fece dono di un peplo. È evidente da questa descrizione che gli dei vollero equipaggiare Eracle di tutto ciò che aveva perso durante la guerra, compresa la pelle di leone, che in questo caso viene sostituita dal peplo.
Ciò che risulta strano al lettore è che il peplo, per definizione, è un abito prettamente femminile, mentre all’uomo era più adatto il chitone. È naturale, dunque, domandarsi per quale motivo uno scrittore così tardo come Diodoro, che riassume fonti storiografiche e mitografiche più antiche, sia portato ad attribuire ad Eracle, l’eroe virile per eccellenza, un abito femminile.
Per dare un senso al dono del peplo ad Eracle da parte di Atena bisogna innanzitutto considerare che il peplo è un elemento caratterizzante il culto della dea eponima di Atene. In secondo luogo si deve confrontare questa informazione di Diodoro con altre tradizioni che descrivono l’eroe che indossa, per periodi più o meno lunghi, abiti femminili. Infine, si può notare come il peplo possa diventare uno strumento di equilibrio in una personalità eroica ambivalente, opponendo “a surplus of femininity against an excess of masculinity” e riassumendo in sé simboli differenti che assumono un valore diverso a seconda del contesto in cui sono posti.
● Eracle e Onfale
Apollodoro racconta come Eracle, dopo aver compiuto le sue dodici fatiche, tornò dal re Eurito per chiedergli la mano di sua figlia Iole, che gli era stata precedentemente promessa; tuttavia il re rifiutò di consegnare la figlia all’eroe, motivo per cui Eracle, in un accesso d’ira, uccise Ifito, uno dei figli di Eurito. Per espiare il delitto l’eroe si rivolse allora all’oracolo di Delfi, tramite il quale la Pizia diede il proprio responso: Eracle avrebbe dovuto servire per tre anni come schiavo. Fu così che Onfale, la regina di Lidia, lo acquistò e lo pose tra le sue ancelle vestito da donna, costringendolo a compiere lavori domestici.
Apollodoro narra come Eracle, a contatto con la regina di Lidia, iniziò ad assumere atteggiamenti sempre più effeminati, tanto che iniziò ad adornarsi e a vestirsi come una donna ed imparò anche a filare la lana.
Nell’immaginario del cittadino ateniese del V secolo a.C. l’idea del travestimento di Eracle presso i Lidi era probabilmente suggerita dalla mollezza dei costumi e dei piaceri che si immaginava si godessero in Oriente.
Venendo privato anche della sua pelle di leone, Eracle, colui che in precedenza aveva utilizzato la propria forza per difendere gli oppressi e per compiere imprese utili agli uomini, ora viene privato non solo della libertà, ma anche dei simboli che caratterizzano la sua virilità.
Tuttavia, la parte femminile di Eracle – anche se marginale nel quadro generale della sua rappresentazione – rimane pur sempre un aspetto della sua figura eroica, dal momento che contribuisce largamente a mantenere una sorta di limite umano della virilità. Dunque Eracle, pur vestito da donna e sottomesso ad un regime femminile, non fa altro che rimarcare ancora meglio la sua caratteristica principale: la virilità.
● Eracle nelle Trachinie di Sofocle
In un articolo precedente avevo già trattato in parte la trama di questa tragedia sofoclea analizzando la figura della moglie di Eracle, Deianira. Ora, invece, vorrei appunto soffermarmi sul personaggio principale, l’eroe.
Nelle Trachinie, Eracle viene menzionato dagli altri personaggi come esempio di virilità e mascolinità, descrizione che verrà decisamente ribaltata nel finale della tragedia. Anche l’arrivo di Iole e delle altre prigioniere sottolinea l’aspetto virile dell’eroe, che può permettersi non solo di radere al suolo un’intera città per amore di una donna, ma addirittura si permette di portarla in casa sua, dove Deianira lo attende ormai da quindici mesi.
Inizialmente Eracle, benché sofferente a causa della tunica avvelenata che ha aderito alla pelle (e anche qui rimando al precedente articolo), tenta comunque di comportarsi “da uomo”, uccidendo in modo alquanto barbaro l’araldo Lica, colpevole solo di avergli consegnato la veste. Deianira, non appena viene a conoscenza dell’accaduto, si precipita in casa e si suicida trafiggendosi il fianco con un pugnale: questo tipo di morte nell’antichità era considerato come molto virile.
Così come Deainaira assume un comportamento da uomo dandosi la morte con un pugnale, Eracle si comporta come mai ci si aspetterebbe da un uomo, soprattutto un eroe della sua fama:
«Fatti coraggio, figlio, e abbi pietà di me, che faccio pena a tutti, e gemo piagnucolando come una fanciulla. Non c’è nessuno che possa affermare d’avermi visto prima d’ora piangere; ho seguito la strada dei miei mali senza una lacrima, e ora mi ritrovo ad essere ridotto così, come una donna!»
(Soph. Tr. 1067-1075)
L’eroe piange e si lamenta, non tanto della morte in sé, quanto del fatto di essere stato – lui, il valoroso Eracle – ucciso da una donna, per di più non in battaglia e senza una vera arma. E ciò che lo rende ancora più furioso è proprio il fatto di comportarsi lui stesso come una donna.
Si potrebbe confrontare il testo di Sofocle con una testimonianza più tarda appartenente al mondo romano: nelle Metamorfosi, Ovidio descrive un Eracle che affronta il dolore e la morte in modo assolutamente virile, conformemente alla tradizione, non c’è spazio per lamenti femminei né per pianti da fanciulla.
Non solo: nelle Metamorfosi, Eracle appare quasi sicuro di sé anche mentre affronta le fiamme della pira che lui stesso si è costruito, indossa addirittura la caratteristica pelle di leone, il simbolo più eclatante della sua virilità.
«E già vigorosa, divampando da ogni parte, la fiamma rombava e saliva verso le membra di Ercole che, placido, la attendeva senza paura. Gli dei si sgomentarono per il difensore del mondo.»
(Ov. Metamorph. IX 238-241)
Confrontando i due testi proposti, risulta evidente, dunque, la femminilizzazione che Sofocle fa del personaggio di Eracle all’interno delle Trachinie, in discontinuità con la tradizione precedente e posteriore.
In conclusione, scusandomi per l’articolo forse un po’ troppo accademico, mi sta a cuore sottolineare il fatto che, sebbene in una società antropocentrica come quella greca antica, anche un personaggio universalmente riconosciuto come esempio di mascolinità sia stato talvolta trattato con caratteristiche femminili, addirittura vestito con abiti e accessori femminili, segno di una fluidità di genere che, quindi, non è solo propria dei nostri giorni.
molti eroi omerici piangono, e non sono certo meno uomini. Anche il fatto che un eroe come Ercole possa vestirsi da donna in determinate occasioni o assumere atteggiamenti tradizionalmente ritenuti “femminili” (tra cui non c’è il piangere: anche achille piange la morte di Patroclo) non lo rende meno uomo. L’identità di genere non dipende dai vestiti e neanche dall’essere o meno vanitosi e amanti degli ornamenti