Nel mondo della battuta a qualunque costo, dell’umana decenza dimenticata e della gara a chi la spara più grossa, non sorprende che a qualcuno venga negato un diritto tanto fondamentale quanto prezioso: il diritto di non ridere.
Mi trovavo in quella selva oscura che risponde al nome di Facebook ed ho trovato l’ennesimo esempio del problema di cui voglio parlare oggi (anzi, ringrazio Andrea che lo ha segnalato nel gruppo Parità in Pillole):
Che succede qui? Succede una cosa molto semplice: vale tutto.
Sei stata l’oggetto di una battuta sessista? Beh, la parola chiave è “battuta”, quindi fattela una risata.
Ti hanno molestata verbalmente in mezzo alla strada? Si vede che piaci, e comunque dai, quello era un cretino, fattela una risata.
(Versione “fiducia nell’umanità non pervenuta”: Ti hanno molestata verbalmente in mezzo alla strada? Non mi dire che non ti ha fatto piacere, prenditi il complimento e fattela una risata.)
Ti hanno stuprata nel parterre ad un festival musicale? Beh ma anche tu finché ti vesti così… E poi se ci sei stata vuol dire che alla fine t’è piaciuto. Hai rimediato del sesso, fattela una risata.
Ti hanno ammazzata perché sei donna e ti sei permessa di far valere i tuoi diritti? Fattela una ris… Ah, no.
Sapete una cosa? Io sono stanca di sentirmi dire che dovrei ridere di cose agghiaccianti.
Sentirmi umiliata, sfruttata, in colpa, inutile… Non mi fa ridere. Neanche un po’.
Sono stanca di sentirmi dire come dovrei reagire alle cose, come se gli altri sapessero meglio di me come ci si senta ad essere me e ad essere me in alcune situazioni.
Smettiamola di dire alle persone come dovrebbero sentirsi, è una violenza psicologica enorme.
Per di più, se non sto ridendo, non comincerò a farlo solo perché me lo suggerisci tu.
Dire “fatti una risata” a qualcuno che non sta ridendo è come dire “non piangere” a qualcuno che soffre o “non preoccuparti” ad una persona in ansia. Di che utilità potrà mai essere?
Quale messaggio passa se non un chiaro e limpido “così non vai bene, cambia perché sei inadeguat*”?
Ho passato tutta la vita a sentire gente che in modi diversi mi diceva di non essere come sono, di essere diversa. Ma io non conosco un altro modo di essere me. Io non posso che essere me. La mia alternativa non è essere altro, è non essere.
So che molte persone usano il “fattela una risata” in buona fede, per minimizzare e provare anche a rassicurare in qualche caso. Mi vi assicuro, non è utile. Pensate a quando qualcuno minimizza un vostro problema o vi liquida con un “vedrai che si sistema tutto”. Vi sentite ascoltati, compresi? O solo “sbolognati”?
Ecco, le questioni di genere hanno bisogno di ascolto vero, di tempo, di fiducia.
Non ci serve ridere, ci serve comprendere e combattere.
Combattere anche chi la buona fede non sa neanche dove stia di casa e usa certe frasi soltanto per perpetrare comportamenti maschilisti, sessisti e in ultima istanza rivoltanti.
Ridi, così nessuno si accorgerà della meschinità di ciò che ho appena detto.
Ridi, così potrò continuare a trattarti come un oggetto.
Ridi, così quando arriverò a stuprarti tutti diranno che è stata una goliardata.
Ridi, così non dovrò sentire il senso di colpa.
Insomma, fattela una risata, troia.
Io odio quelli che nei commenti scrivono “amen” però sravolta devo dirlo: AMEN. E se sapessi rendere l’idea in altri 100.000 modi lo farei. Io sono stufa di sentirmi dire “oh, stavo solo shcerzando” quando prendo le difese di qualcuno che viene deriso (a prescindere che sia uomo/donna/cane/gatto/o qualunque altro essere vivente). Ci sono persone che non hanno la battuta pronta, che non ti sanno rispondere “una risata me la farò quando qualcuno ti spaccherà il muso” per il semplice fatto che non sono meschini a questi livelli. Ci sono persone che non farebbero male neanche al loro nemico. Sono tra quelle persone e ho subito per molto tempo. Ho anche iniziato ad abbassarmi a quel livello ad un certo punto, ma poi mi facevo schifo da sola. Ci vogliono più articoli che spieghino il punto di vista di noi “sfigati”, perché è così che ci chiamano i re della battuta (stronza) pronta.
Grazie. Finalmente qualcunA che è consapevole e reagisce.
Quante volte: “Sorridi che sei così bella” o “E fammelo un sorriso!”… “Dai, sto scherzando, si fa per ridere” etc…
NO.
Non si fa per ridere se io mi sento offesa.
Non si fa per ridere se la vittima è uno di noi.
Non si fa per ridere se uno di noi non ride.
Gli uomini passano il tempo a dirci come ci vogliono. Fisicamente ed emotivamente.
“Non te la prendere”, “Non fare la pallosa”, “Non ti metterai a piangere?”, etc…
E quando lo fai loro notare, diventi ancor meno attraente e son ancor più pronti ad giudicarti “fica di legno”, “pallosa”, “femminista”,…
Ma sai cosa? Se ognuna di noi cominciasse a rispondere loro.
Se ognuna di noi mettesse dei limiti e rispondesse, come faccio io ogni giorno, prendendomi le mie offese, “Io posso sentirmi come mi pare, tanto quanto te, quindi smettila di voler controllare le mie emozioni”.
Controllano già come dobbiamo vestirci, che taglia abbiamo, ma i sentimenti no, non dobbiamo permetterglielo, sono una parte troppo profonda di noi.
Grazie di nuovo.
podcast del 12 luglio, da -69:00 in poi, molto istruttivo http://www.radioglobo.it/podcast_archivio.asp?idpodcast=9#
Grazie, come sempre. Non avrei saputo dirlo meglio: hai dato voce al nostro pensiero.
Questo articolo è agghiacciante. Sembra di leggere le parole di un avvocato senza lavoro che insegue un’ambulanza, con la necessità di calcare la mano. Non voglio dire che i concetti espressi sono sbagliati: se ci fosse stata un’altra immagine iniziale, un altro punto di partenza, magari avrei condiviso di più i concetti espressi.
Purtroppo, tutto quello che mi è arrivato è il riecheggiare di un “ci vediamo in tribunale, riceverà notizie dal mio avvocato” della piazza di paese, dopo un litigio su questioni inutili.
stupendo articolo!! complimenti!!
per lo stesso motivo, quando qualcuno ci chiede “come stai?”, nessuno vuole davvero ascoltare alcuna verità nella nostra risposta. quel “fattela ‘na risata” serve a spostare il “come ti senti” sul “come dovresti sentirti per non diventare un mio problema”. nessuno vuole confrontarsi con qualcuno che sta male, che ha qualcosa davvero da dire, qualcuno che, invece che dirti “tutto ok, e tu?”, sente magari il desiderio di raccontare il perché “no, non ha proprio voglia di ridere”. ci si aspetta da tutti un sorriso, leggerezza, positività, ottimismo. tutto il resto è scomodo, mette a disagio, spinge giù come una zavorra, è scorretto, inaccettato. e questo succede anche senza che nella conversazione siano in ballo offese e considerazioni sessiste.