Il femminismo non è ancora un tema che viene affrontato a scuola, sebbene sia senza dubbio uno dei movimenti sociali più importanti del mondo moderno. La lotta che le donne hanno portato avanti per secoli e secoli a tutela dei loro diritti ha cambiato il mondo e continua a cambiarlo ogni giorno sempre di più. Questo movimento, che si palesava e si palesa tuttora in un contesto di sconvolgimenti politici e sociali decisivi, in costante parallelismo con lo sviluppo della democrazia moderna, può essere diviso in tre fasi + una: la quarta è infatti un work in progress.
La prima ondata del movimento femminista iniziò con la Rivoluzione Francese e può dirsi conclusa con la Prima Guerra Mondiale, quando la maggioranza delle donne in Europa e negli Stati Uniti raggiunse uno degli obiettivi più importanti: il diritto di voto. Questa fase è stata segnata dalla lotta per i diritti civili delle donne, l’uguaglianza giuridica, il diritto all’istruzione, il diritto a un’occupazione retribuita e la libera scelta dell’occupazione. Si trattava di un movimento di classe medio-alta in cui predominava un approccio di differenziazione, secondo il quale i sessi si completavano a vicenda e le donne dovevano pertanto assumere il ruolo di guida culturale.
Come fenomeno europeo e statunitense, il primo movimento femminista è strettamente legato allo sviluppo sociale ed economico del mondo occidentale. Le sue origini risiedono in un’epoca in cui le donne erano considerate come persone di seconda classe: senza diritti e senza difese. La legislazione rispecchiava e affermava l’oppressione delle donne, in particolare delle donne sposate, il cui status giuridico era simile a quello di un figlio minorenne.
L’uomo era il rappresentante legale di una donna legalmente inesistente, la cosiddetta femme couverte. L’eteronomia femminile prevedeva la netta subordinazione della donna e la consegnava dalle mani del padre direttamente a quelle del marito o di un eventuale parente maschio. Le mogli erano obbligate all’obbedienza, non avevano alcun potere di disporre dei loro beni e dei loro figli. Non avevano alcun diritto di proprietà, non potevano gestire autonomamente quanto ereditato o guadagnato. Nell’improbabile eventualità di un divorzio, persino la più ricca delle donne rimaneva in realtà senza un soldo. Le donne riscontravano dei limiti anche in materia di libertà personale, la società e i mariti negavano loro un’attività professionale indipendente e potevano comparire in tribunale purché accompagnate da un tutore di sesso maschile.
In alcuni Paesi europei, fino alla fine del XIX secolo, i mariti potevano imprigionare le loro mogli se si rifiutavano di avere dei rapporti sessuali. Allorché a metà del XIX secolo furono approvate le prime leggi sul divorzio, si privilegiava in particolare la parte maschile. Le poche donne che divorziavano nonostante le inesorabili difficoltà che avrebbero dovuto affrontare in seguito ricevevano la custodia dei figli in casi del tutto eccezionali. Ciò era nondimeno una conseguenza diretta del fatto che i padri erano già gli unici rappresentanti legali dei figli all’interno del matrimonio. Uno status giuridico per madri monoparentali e figli illegittimi restava fuori discussione e li abbandonava del tutto soli nella loro miseria.
Dei deficit ancora maggiori si registravano per quanto attiene all’istruzione superiore. L’accesso alla consacrazione accademica era riservato unicamente agli uomini. Il mondo scientifico si opponeva con veemenza all’ammissione delle donne. Alcune università mutarono le loro condizioni di accesso al punto tale che alle donne non era più nemmeno concesso frequentare le lezioni come ospiti. Se, tuttavia, riuscivano a ottenere la posizione di partecipanti, un’aggressione da parte dei colleghi di sesso maschile non era infrequente. Per anni e anni le donne hanno lottato per ottenere un equo accesso all’università.
Le fondamenta di questa disparità poggiavano sulla cosiddetta querelle des femmes, un dibattito avviato nel XV secolo sulla natura delle donne e sulla gerarchia dei sessi, al quale presero parte anche diverse donne. Uno dei temi di discussione era, insieme ad altre questioni, quello di chiarire se le donne, in linea di principio, avessero il diritto e le competenze per l’acquisizione di un’istruzione, per lo più scientifica. Scienziati ed esperti autoproclamati insistevano sull’ipotesi che voleva che le donne disponessero per loro stessa natura di un’intelligenza inferiore a quella degli uomini poiché possedevano un cervello di dimensioni minori. A causa delle loro condizioni fisiche e psicologiche inadeguate, le donne non erano capaci di conquiste intellettuali o politiche, sostenevano. La natura aveva chiaramente assegnato loro i ruoli di moglie e madre e, per questo motivo, la loro istruzione non risultava necessaria. Le donne avrebbero perso la loro femminilità e sarebbero state mascolinizzate nel momento in cui avessero seriamente avuto a che fare con l’istruzione. Fino al XX secolo, quindi, le donne colte erano un’eccezione che suscitava stupore e disprezzo.
L’emblema della prima ondata femminista è sicuramente il Regno Unito che, grazie al movimento delle suffragette, nel 1918 estese il diritto di voto alle donne. La conquista era ancora parziale, dal momento che solo le donne che avessero compiuto 30 anni di età e che rispettassero determinati prerequisiti erano ammesse in cabina elettorale, ma rappresentava comunque un momento fondamentale. Volto della lotta per la parità, contro la discriminazione e per la giustizia sociale in Inghilterra fu l’attivista britannica Emmeline Pankhurst, di cui ancora oggi si celebra il coraggio. L’Italia arriverà al traguardo del voto molto più tardi, alla fine del secondo conflitto mondiale: è il 1945 quando il Regno d’Italia istituisce il suffragio femminile e l’anno dopo le prime matite copiative sono in mano a donne all’interno della cabina elettorale in occasione del referendum che decreterà la nascita della Repubblica italiana. Tuttavia, l’influenza britannica si era fatta sentire nel Regno d’Italia già nel 1919: in quest’anno, infatti, le donne conseguirono diritti di proprietà maggiori, tra cui il controllo dei loro guadagni e persino l’accesso a determinati ruoli giuridici.
Il femminismo della prima ondata si è concentrato sul suffragio femminile e sull’eliminazione degli ostacoli giuridici alla parità di genere e ha posto le basi della lotta per l’emancipazione femminile. È grazie alle femministe della prima ondata che oggi possiamo dirci donne più libere.