Come probabilmente già sappiamo, non esiste un solo femminismo e non può esistere, perché le circostanze sociali sono in continuo cambiamento e, di conseguenza, emergono sempre nuove problematiche che mettono in discussione i concetti da noi definiti e l’immagine che abbiamo di noi stess*. Nonostante ciò, ci sono delle esponenti del movimento femminista nelle sue diverse forme che non possiamo non conoscere.
Tutti noi abbiamo delle icone femministe di riferimento, che variano in funzione di dove e quando siamo nati e della fase della vita in cui ci troviamo. Queste sono le mie, o quantomeno queste sono le figure che, tra quelle che sono accomunate dal credo del superamento dell’ovvio e della messa in discussione dei rapporti di potere, più mi ispirano.
Audre Lorde
“Black, lesbian, feminist, mother, warrior, poet”, ovvero “nera, lesbica, femminista, madre, guerriera, poetessa”, questa l’auto-descrizione di Audre Lorde. Nata a New York nel 1934, i suoi genitori provengono dalle Grenadine, un arcipelago tra il Mar dei Caraibi e l’Oceano Atlantico. Impegnata inizialmente nel suo mestiere di bibliotecaria, pubblica poesie ed è attiva in movimenti queer. Tra il 1984 e il 1992 lavora e insegna a Berlino, città nella quale fa la conoscenza di scrittori afro-tedeschi e con May Ayim, Katharina Oguntoye e Dagmar Schultz nel 1992 scriverà “Farbe bekennen” (“Mostrando i nostri colori”), considerato come uno dei contributi più importanti per il movimento di emancipazione femminile afro-tedesco in Germania. Audre Lorde muore nel 1992.
Trịnh Thị Minh Hà
Una teorica che combina studi postcoloniali e femministi è Trịnh Thị Thị Minh Hà. Nata nel 1952 nella capitale vietnamita, Hanoi, è compositrice di musica e regista cinematografica. Insegna entrambe le discipline in varie università ma è anche docente di Women’s Studies presso l’Università della California. Ciò che l’ha resa particolarmente famosa è il suo libro “Women, Native, Other” del 1989. Si tratta di un esame critico dell’interpretazione maschile occidentale della cultura, della società e del sapere. Qui l’autrice si chiede in che modo i rapporti di potere influenzino la comprensione di noi stessi. Trịnh Thị Thị Minh Hà constata che la nostra comprensione occidentale e maschile della cultura e dell’identità si basa su una dicotomia – Io contro Te o Noi contro gli Altri – per cui viene data maggiore rilevanza alle differenze tra individui e non alle caratteristiche personali. Da qui nasce la linea di demarcazione tra categorie e la difficoltà a empatizzare. Questa binarietà è ciò che va spezzato.
Simone de Beauvoir
“On ne naît pas femme : on le devient”, ovvero “Donne non si nasce, si diventa”. Questa frase, citata milioni di volte, è della filosofa esistenzialista Simone De Beauvoir, morta a Parigi nel 1986. Nel 1949 viene pubblicata la sua opera che ancora riesce a nutrire e influenzare il pensiero femminista odierno: “Il secondo sesso”. Secondo Simone De Beauvoir, le donne rappresentano il secondo sesso poiché sono sempre considerate come divergenze rispetto agli uomini, come negazioni degli standard maschili. Un esempio pratico è il generico maschile utilizzato nel linguaggio e non solo nella lingua italiana: in altre parole, un linguaggio che scaturisce di prassi dal maschile e, con esso, la conseguente conferma della visione maschile del mondo. Nel suo libro, Simone De Beauvoir de-costruisce presunte caratteristiche biologiche, presumibilmente femminili, attribuendole invece a pratiche sociali e storico-culturali: sono gli uomini che, in quanto sesso dominante, plasmano la nostra società in modo tale, afferma Simone De Beauvoir, che un certo ruolo sia attribuito alle donne con lo scopo di ribadire continuamente il ruolo dell’uomo.
Sojourner Truth
Nonostante Kimberlé Crenshaw sia considerata la fondatrice del femminismo accademico intersezionale, negli Stati Uniti del diciannovesimo secolo si trova già una pioniera in Sojourner Truth. Figlia di genitori schiavizzati, dopo la fuga dalla prigionia nel 1827, viaggia attraverso gli USA e diventa un’attivista per i diritti delle donne e degli schiavi. Nel 1867 viene concesso, in alcune parti del Paese, un diritto di voto limitato agli uomini neri e ai nativi americani, cosa che provoca l’indignazione di numerose femministe bianche che si battono per il diritto di voto. Sojourner Truth si oppone a entrambi gli schieramenti: sia agli uomini neri che non vogliono dare il diritto di voto alle donne che alle donne bianche che non vogliono che gli ex schiavi possano votare. Nel 1851 Sojourner Truth partecipa alla “Convenzione sui Diritti delle Donne” ad Akron, Ohio. Nel momento in cui i partecipanti, quasi esclusivamente bianchi, le negano il palco in qualità di rappresentante dei neri, prende comunque la parola e pronuncia il suo discorso più famoso. Anche se esistono svariate versioni sulle quali tuttora si discute, la sua frase “Ain’t I a woman?” ha assunto un posto di rilievo nella storia del femminismo.
“Quell’uomo laggiù dice che le donne hanno bisogno di essere aiutate a salire sulle carrozze, sollevate sopra i fossi, e di avere ovunque il miglior posto. Nessuno mi aiuta mai a salire sulle carrozze o a evitare pozzanghere o mi dà il miglior posto! E io non sono forse una donna?”
Dalla Germania al Vietnam, passando per Francia e USA impariamo dal passato per il nostro presente. Apprendiamo che sono esistite ed esistono ancora donne che hanno creduto di poter fare la differenza e ci sono riuscite. Questi sono solo alcuni esempi di femminismo da diverse parti del mondo; sono dei modelli, tutti diversi tra loro, atti a rappresentare differenti facce del movimento. E sono soprattutto il ritratto di un obiettivo comune, perseguito pur provenendo da realtà e situazioni del tutto dissimili: la parità.