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Festa della mamma: un augurio in nome della libertà e dell’inclusione
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Festa della mamma: un augurio in nome della libertà e dell’inclusione

Oggi è la Festa della Mamma e vogliamo approfittarne per celebrare le madri nella loro moltitudine e diversità e nelle sfide che, ancora oggi, devono affrontare.

Parleremo degli stereotipi associati alla maternità, delle aspettative che pesano sulle mamme e delle difficoltà che incontrano. Perché la festa di oggi possa andare oltre un semplice augurio, diventando una celebrazione della maternità in tutte le sue forme e un ricordo della strada che c’è ancora da fare per appianare il percorso per diventare madri nella nostra società.

Serve però una premessa importante: una madre è innanzitutto una donna, ma una donna non deve necessariamente essere madre per avere valore e dignità all’interno della società. Lo stereotipo per cui una donna ha la possibilità di realizzarsi soltanto portando un figlio o una figlia in grembo è nocivo per tutt*. Per questo motivo, la giornata di oggi non può prescindere dal pensiero che essere madri è – o meglio, dovrebbe essere – nient’altro che una possibilità.

Lo stereotipo che equipara l’essere una donna realizzata alla maternità non fa che portarci verso una singola visione di ciò che significa essere madre, riducendo così la sana e legittima moltitudine in cui è invece possibile condurre questo percorso. Essere madre non significa necessariamente far parte di un nucleo familiare tradizionale ed eteronormativo: ci possono essere famiglie con due madri e famiglie senza. Essere madre, inoltre, non dovrebbe voler dire assumere di default il ruolo di genitore di riferimento: la libera scelta dei ruoli genitoriali dovrebbe essere alla base della costruzione del nucleo familiare. E, ancora, non essere madre non rende nessuna donna meno donna, a prescindere dal fatto che si sia scelto o meno di non esserlo.

“Come la mamma non c’è nessuno”

Secondo una società che si fonda sul concetto di famiglia tradizionale, la mamma tende a essere il genitore principale su cui ricade la maggior parte del lavoro di cura, sia fisico che mentale. Questa separazione dei ruoli genitoriali, che vede il padre come capofamiglia incaricato del sostentamento dei familiari e la madre devota al lavoro di cura, ha creato nel tempo una cristallizzazione dei compiti e dei ruoli. Le aspettative che ne derivano hanno portato a pensare alla mamma come insostituibile, il che può intendersi in due modi: sia come un prezioso legame affettivo tra figli* e madre e sia come un’impossibilità di far ricoprire il lavoro di cura da qualcun altro. Non importa se è troppo lavoro: ci sono cose che solo una madre potrà fare. Questo pensiero, apparentemente innocuo e che anzi sembra dare alla figura materna ancora più valore e potere, può facilmente rivelarsi una trappola. La madre è relegata alla casa e alla famiglia e qualsiasi altra ambizione deve essere secondaria al bene dei/delle figli/e.

Tuttavia, analizzare con occhio critico questo aspetto della maternità risulta parecchio difficile, perché i ruoli di genere sono ormai interiorizzati e intessuti nella società. Spesso ci appaiono normali, ovvi o addirittura invisibili, come dimostra il carico mentale che si addossano tipicamente le donne, o ancora problematici, quando ci troviamo a giudicare le scelte di vita di una madre. Nessuno dovrebbe poter decidere se il comportamento di una donna che affronta una maternità sia corretto o meno: che una donna continui a lavorare o meno da madre, ad esempio, dovrebbe essere una scelta unicamente personale. Entrambe le strade sono ovviamente valide, l’importante è che non ci siano pressioni esterne che spingano la neo-mamma a rinunciare alla carriera o cedere sotto le aspettative che pesano su di lei.

Un’altra forzatura viene dallo stereotipo che ogni donna abbia in sé un istinto di maternità, che non solo genererebbe con l’età un innegabile desiderio di procreare, ma che fornirebbe anche alle madri come per magia tutte le informazioni necessarie a crescere un figlio o una figlia. “Col tempo capirai”, “vedrai che verrà da sé”, “una madre lo sa”. Per quanto ci siano innegabilmente donne con un incredibile istinto materno (così come molti uomini hanno un forte istinto paterno), presupporre in partenza che questo sia innato e appartenga a ogni donna è dannoso e può provocare conseguenze pericolose come la depressione post-parto.

Status quo?

Ma davvero siamo ancora qui nel 2020 a fare questi discorsi? Purtroppo sì.

Certo, il divario tra i ruoli genitoriali si sta appianando, i padri cucinano e le madri lavorano fino a tardi. Lo stesso concetto di famiglia si sta rivoluzionando e sappiamo che l’eteronormatività è un sistema da combattere. La società sta evolvendo, ma il retaggio culturale che ci portiamo dietro è forte e la maternità è ancora un percorso a ostacoli per moltissime donne. Un cambio di mentalità, per quanto necessario, non può bastare a buttare giù tutti gli ostacoli: deve andare di pari passo con l’implementazione di misure concrete, come i congedi di paternità equivalenti a quelli di maternità, gli asili nido e le agevolazioni per una migliore conciliazione della vita genitoriale e professionale. Basta guardare i dati sull’occupazione femminile e post-maternità, ad esempio, per accorgersi della situazione di stallo in cui viviamo e di quanto certe norme siano necessarie.

Il lavoro delle madri

Secondo una ricerca della Fondazione Openpolis, l’Italia è uno dei Paesi con maggiore disparità occupazionale di genere all’interno dell’Unione europea (occupazione femminile al 52,5%, penultimo posto dopo la Grecia). Questo divario aumenta ulteriormente andando a guardare solo il tasso di occupazione di padri e madri, dove l’Italia supera di 10 punti percentuali la media europea.

Le donne quindi lavorano meno degli uomini e, in particolare, le madri lavorano meno dei padri. Nonostante il cambiamento culturale a cui stiamo assistendo e che sta portando a riaffermare l’importanza della genitorialità di entrambe le parti, questa resta quindi la realtà dei fatti. Ad oggi il lavoro di cura resta esponenzialmente a carico delle donne e, come fa presente anche l’Istat, “essere impegnati in un’attività lavorativa e allo stesso tempo doversi occupare di figli piccoli o parenti non autosufficienti comporta una modulazione dei tempi da dedicare al lavoro e alla famiglia che può riflettersi sulla partecipazione degli individui al mercato del lavoro, soprattutto delle donne, le quali hanno un maggiore carico di tali responsabilità”.

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A questa problematica si associa quella della disparità salariale, in particolare come risulta dal numero di donne che scelgono di non lavorare o di passare al part-time per conciliare meglio il lavoro di cura con gli impegni professionali. Questa decisione non dovrebbe proprio presentarsi a monte, così come le donne, e in particolare le madri, non dovrebbero fare sacrifici per trovare un equilibrio tra vita familiare e professionale in un modo che non viene richiesto invece agli uomini.

È chiaro che il modello della “madre perfetta”, che riesce in qualche modo a fare tutto, a conciliare alla perfezione vita lavorativa e familiare, a condurre una vita sociale e a tenere tutto in ordine e sotto controllo, è irreale e nocivo.

Un augurio inclusivo

Per concludere, la giornata di oggi è per celebrare tutte le madri sottolineando l’importanza e la necessità di essere madri a modo proprio e in modo diverso, diversità che non fa che arricchirci tutti e tutte.

Auguri quindi alle madri che lavorano e alle madri che decidono di dedicarsi al lavoro di cura; alle madri sposate e a quelle non sposate, single o con una famiglia arcobaleno; alle madri biologiche, adottive o ospitanti; alle madri che sono state vittime di violenza e a quelle che hanno perso un figlio o una figlia. Tutte sono valide e meritano di essere celebrate, oggi e sempre.

Allo stesso modo, un pensiero va a tutti i figli e le figlie che oggi festeggiano le proprie mamme, sia in modo convenzionale che non, a chi oggi potrà incontrare la propria madre e ringraziarla, ma soprattutto a chi non potrà o non vorrà farlo, per qualunque motivo. E a quelle donne che non hanno potuto essere madri.

E auguri anche alla mia, che mi ha insegnato come bastarmi e come praticare la resilienza. Grazie.

Immagine di copertina: Eye for Ebony
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  • l’eterosessualità di per sè non è normativa, l’omofobia lo è e va combattuta. in famiglia uomo e donna devono collaborare anche nelle faccende domestiche e nella cura dei figli

  • Vorrei far notare che per come è scritto in questo articolo la sembra che la depressione post parto sia causata dall’assenza di desiderio/istinto di maternità. Non è assolutamente così. Esistono moltissimi casi di madri che hanno sofferto di depressione post parto pur avendo desiderato moltissimo un figlio. Esistono casi di donne che hanno voluto figli così tanto da ricorrere all’inseminazione artificiale e hanno comunque avuto la depressione. Esistono donne che l’hanno avuta alla seconda gravidanza mentre la prima era andata benissimo. Parlare di depressione post-parto come se fosse il risultato di una gravidanza non voluta è estremamente dannoso, perché non è vero e perché non fa che alimentare i pensieri di inadeguatezza di queste donne. Ma soprattutto, se fosse causata dall’assenza del desiderio di maternità sarebbe insormontabile e durerebbe tutta la vita, invece moltissime donne la superano.

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