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Forever Young: perché la mamma è sempre la mamma
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Forever Young: perché la mamma è sempre la mamma

Articolo di Giulia Tamborrino

Lo stereotipo riguardante il maschio adulto italiano che tristemente vive ancora attaccato alla gonnella della mamma non ci è purtroppo nuovo.

Anche volendosi staccare dallo stereotipo per cercare di relativizzare i fatti, le statistiche parlano chiaro: secondo le fonti Eurostat del 2014 e 2015, un ragazzo su due tra i 25 e i 34 anni rimane sotto il tetto dei genitori. Tutto il contrario accade nella maggior parte dei paesi europei, come per esempio in Danimarca, dove solamente una piccola parte dei giovani rimane ancorato al nido.
Non si può negare che il caso italiano vada purtroppo analizzato con la consapevolezza della forte crisi economica che non ha colpito altri paesi europei nell’ultimo decennio – molte famiglie purtroppo non riescono a sostenere i costi necessari ad aiutare il figlio nei primi passi verso l’indipendenza – ma i dati parlano chiaro anche riguardo a questo: una buona percentuale di coloro che vivono ancora con i genitori – il 27,2% per la fascia dei più giovani, e il 43% per gli adulti – ha dichiarato di avere un contratto per un lavoro a tempo pieno e, nonostante ciò, non si mobilita per creare un proprio nucleo al di fuori di quello familiare.

 

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Ovviamente non bisogna generalizzare: un ragazzo indeciso sul proprio futuro, che rimane vincolato a casa dei propri genitori durante un periodo di riflessione, non è certo considerabile come un mammone; non lo è nemmeno colui che decide di condurre il suo percorso universitario nella propria città di origine e rinuncia all’esperienza da fuori sede – tutti coloro che purtroppo sono stati colpiti dalla crisi o un figlio in difficoltà che ha bisogno di aiuto.
Eppure, esiste una fetta della popolazione giovane italiana che non esita a rinunciare a qualunque responsabilità, certa che comunque ci sia la mamma a risolvere qualunque problema.

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L’esempio di cui voglio parlare oggi è certamente uno spot pubblicitario norvegese che ho scoperto recentemente, considerato da molti stereotipato e ingiusto, e che, invece, contiene in sé una triste verità quasi sempre ignorata, seppure sia sempre sotto gli occhi di tutti.

L’obiettivo della pubblicità è quello di promuovere una società immobiliare del posto, proponendo ai giovani norvegesi un anti-modello da non seguire assolutamente: indovinate? Quello italiano.
Il breve girato è un susseguirsi di classici stereotipi dell’uomo italiano attaccato alla figura materna, che si fa lavare, pulire, vestire e persino imboccare dalla suddetta, schiava dell’amore e totalmente convinta che senza di lei il figlio non potrebbe mai sopravvivere al mondo.
Seppure gonfiato di cliché al fine di fare audience, esiste un fondo di verità in questo spot? Probabilmente sì.
Sempre secondo i dati citati prima, risultano più spesso essere i maschi a rimanere a casa con i genitori (una spaventosa percentuale del 56,8%); le femmine sono di meno (il 41,2%), ma comunque numerose.

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L’opinione comune volge a credere che esista un problema radicato nell’educazione del maschio italiano: mentre alle bambine e alle ragazze viene insegnato a sparecchiare o a pulire quando si rovescia qualcosa sul pavimento, un maschio quasi mai subisce lo stesso trattamento.
“Stai seduto, bello mio, non è successo niente! Ora rilassati e aspetta che tua sorella finisca di preparare la tavola, che poi mangiamo” è solo una delle poche frasi che nella mia vita ho personalmente sentito dire da una madre rivolta al figlio.
Seppure la realtà sia dura da accettare, la forte radicalizzazione di questa cultura patriarcale e maschilista è ancora presente nella vita italiana di tutti i giorni, e ancora troppe poche famiglie si sono opposte a questo regime che vede l’uomo beato sulla sua poltrona e la donna lieta e felice di lavorare per lui.
Ancora oggi non è strano sentirsi adocchiate se si decide di allontanarsi dalla realtà genitoriale per costruirsi da sole un proprio futuro.

Come risolvere questo grave problema che ci fa sentire derisi dal mondo intero (ricordiamo che l’allora premier Berlusconi rispose alla provocazione dello spot con un vergognoso «che si facciano gli affari loro»: che charmant!)
e ci rende decisamente svantaggiati rispetto alla gioventù straniera che diventa indipendente a diciotto anni?
Lottiamo contro lo stereotipo.
Come si combatte per emanciparsi, bisogna farlo anche per uscire dal cliché in cui si è stati rinchiusi troppo a lungo. Bisogna uscire dal nido materno e dalla tentazione data dalla pigrizia mentale e fisica, che suggerisce di non concludere alcun percorso, per librare le proprie ali e volare.
Al giorno d’oggi, esistono troppi mezzi e sussidi da sfruttare – borse di studio, sussidi universitari, affitti stracciati, internet per catturare offerte vantaggiose – per cedere alla scusa con cui si giustifica sempre tutto, ovvero che la mamma è pur sempre la mamma.
Cari giovani del 2016, spero che converrete che la mamma rimane pur sempre la mamma anche se non rimane al vostro fianco ad imboccarvi.

 

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