Sappiamo bene come il cinema di genere stia in questi ultimi anni finalmente prendendo atto della necessità di dare uno spazio sempre più marcato a ruoli femminili da protagonista, ottenendo anche un buon riscontro di pubblico.
Il mondo del fumetto, d’altro canto, si è sempre dimostrato decisamente più avanti sulla questione, pur al netto di quella quota di sessismo che tuttora permane in alcune produzioni.
A irrobustire la lunga e felice tradizione di eroine di carta arriva adesso Haxa, ambiziosa opera del veronese Nicolò Pellizzon, classe ‘85 – informazione anagrafica evidentemente sufficiente per connotarlo in Penisola come “giovane fumettista” sebbene il Nostro abbia già alle spalle una valida manciata di graphic novel e un immaginario autoriale ampiamente consolidato.
Dicevamo, Haxa: si tratta di una miniserie pensata come tetralogia, di cui è da poco in edicola il primo volume intitolato I confini del vento e i cui numeri successivi verranno pubblicati da Bao Publishing ogni nove mesi.
La premessa da fare è che ci troviamo deliberatamente nel filone del fantasy: in un futuro non troppo distante l’umanità ha scoperto l’esistenza della Magia e di due scuole – quella dell’Ars Alchemica e quella dell’Ars Goetiana – che nei secoli ne hanno determinato nell’ombra le sorti grazie alla capacità di controllare l’Haxa, che per non farvi venire il mal di testa vi descriverò un po’ come la Forza di Guerre Stellari, o il Tai Chi. Quella cosa lì insomma (sento già gli strali dell’autore, che evidentemente ci avrà ragionato su parecchio). Un altro dato di contesto da sapere è che solo il 6% della popolazione è in grado di controllare l’Haxa e che in questo 6% rientra Sophia, la giovane protagonista della storia nonché vera e propria guida per il lettore all’interno di questo complesso mondo distopico in un canovaccio che poggia le basi sul più classico dei topos dei racconti d’avventura quale è il Viaggio dell’Eroe (ma chiamiamolo Viaggio dell’Eroina, mi sembra più appropriato).

Leggendo questo primo volume ho trovato che l’aspetto più affascinante di Haxa stia nella volontà di Pellizzon di costruire una cosmogonia originale, esperimento più che lodevole in questo periodo di franchise e opere derivative. Per fare questo, l’autore ha lavorato sul piano del linguaggio (l’elenco di neologismi che troverete è da far perdere la brocca a un semiotico) e dell’estetica (una lisergica combinazione di echi cyberpunk, tipo roba come Tank Girl, con antiche suggestioni alchemiche medievali), un lavoro, per intenderci – e per richiamare sempre il cinema – simile a quello fatto da James Cameron per costruire il mondo di Avatar.
Non mancano poi ovviamente le strizzate d’occhio filosofiche più convenzionali. O almeno, non credo sia un caso che la protagonista si chiami “Sapienza” in greco e la sua compagna di stanza – la prima a riconoscerne i poteri – “Hume”, come un certo filosofo che ha rabbuiato i miei pomeriggi liceali.
Sì, è vero, poco sopra ho scritto “mondo distopico”. E tecnicamente lo è, perchè siamo in un futuro immaginario dagli equilibri incerti, sebbene questa proiezione nel tempo sembri essere solo un espediente narrativo dell’autore per togliere delle coordinate (o meglio, dei pregiudizi) al lettore e raccontare la sua storia in un “non luogo” che spogli il racconto di ideologia “novecentesca” per condurlo nel più libero terreno della fiaba. Per citare altre opere, più che dalle parti di V for Vendetta siamo dalle parti di Saga, il bellissimo fumetto di Brian K. Vaughan e Fiona Staple.

Ecco, proprio pensando a Saga mi viene da pensare che il punto debole di Haxa stia proprio, almeno a giudicare da questo primo numero, nell’assenza di quell’ambiguità morale e sessuale che caratterizzava i personaggi di Bendis & Staple. Abbiamo infatti un gruppo di “ribelli del sistema” che accoglie Sophia nelle sue fila, sicuramente a trazione femminile, ma che non si discostano di molto dall’immaginario del teenager odierno. Anche le storyline romantiche mi sono sembrate piuttosto convenzionali e assolutamente nel solco del canone Young Adult, pur con qualche variante multirazziale. Quello che voglio dire è che la società dipinta in Haxa mi sembra, per ruoli di genere e di classe, ancora troppo simile alla nostra o, ancora peggio, troppo simile a come adesso viene rappresentata nelle opere di finzione la nostra società. Certo, immagino che mantenere dei tratti di continuità con il nostro presente sia stata una scelta voluta, nell’ottica di concedere qualche appiglio al giovanissimo pubblico a cui si rivolge e non rendere tutto straniante, ma personalmente in un contesto così tenacemente psichedelico avrei apprezzato un po’ più di sovversività.
Questa, ribadisco, è ovviamente la mia visione, che nulla toglie alla prospettiva narrativa posta dalle basi di questo numero e al dirompente impatto grafico delle coloratissime tavole, in cui personaggi, oggetti e luoghi paiono venire proiettati dalla carta verso gli occhi del lettore come festosi ologrammi di un trip allucinato.

Per concludere, Haxa è un esperimento ancora in fase di warm-up da seguire sia per le potenzialità della storia in sé che per quelle editoriali, con l’augurio che faccia da apripista ad un nuovo ricco filone di narrativa seriale a fumetti Made in Italy non derivativa capace di spostare sempre un po’ di più la tacca dell’immaginario collettivo giovanile verso una società in cui il tema del “diverso” sia diventato anacronistico e il senso di responsabilità confluisca in un proficuo approccio critico dell’individuo verso le leggi che regolano la sua comunità.
Come dice la stessa Sophia:
«Altri come noi hanno trovato una casa. Al di fuori dei confini della guerra. Ma chi può davvero chiamarsi fuori dalle cose che accadono nel mondo?»