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Helene Kröller-Müller e la scoperta di Vincent Van Gogh
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Helene Kröller-Müller
e la scoperta di Vincent Van Gogh

Articolo di Rossella Ciciarelli

Quanti mi conoscono sanno del profondo amore che nutro nei confronti di Vincent Van Gogh.
Nelle sue opere – dalla tragica bellezza di un cielo stellato, al campo di grano dipinto con una forza inaudita – nelle parole delle bellissime lettere scritte al fratello Theo e nel suo animo tormentato ho trovato conforto più di una volta.
Ma qui su Bossy non voglio parlare di lui – o meglio, non solo – né dare vita ad un sentimentale monologo su ciò che Van Gogh significhi per me: credetemi, rischieremmo di non uscirne più!
Vorrei piuttosto spostare l’attenzione su un’altra figura e dare spazio alla donna che ha contribuito a renderlo eterno, la prima e più grande collezionista delle sue opere: Helene Kröller-Müller.  
Se infatti, oggi, tutti hanno nel proprio bagaglio visivo l’immagine della Notte Stellata e conoscono, anche solo per sentito dire, il nome di Van Gogh, davvero poco si sa di colei che ha iniziato a crearne il mito.
Quindi, in occasione dell’uscita del documentario “Van Gogh – Tra il grano e il cielo”, nei cinema il 9, 10 e 11 Aprile, che tenterà di darle voce, ho deciso di raccontarvi qualcosa su di lei.

Helene Kröller-Müller è stata una delle principali sostenitrici dell’arte in Europa dell’inizio del Novecento, nonché una delle prime donne europee ad acquisire una grande collezione di opere d’arte.
Nata in Germania nel 1869, è cresciuta in una famiglia in cui il lavoro veniva al primo posto, ed è proprio per salvare l’azienda paterna che accettò di sposare nel 1888 un giovane socio in affari di suo padre, l’olandese Anton Kröller.
Sotto la guida del marito la Müller & Co diventò una società molto redditizia, e la coppia si trasferì in Olanda, a Rotterdam, dove mise su famiglia.
È solo intorno al 1908, ovvero nel bel mezzo della sua vita, che Helene decise di collezionare arte; verrebbe da chiedersi come mai, perché apparentemente all’improvviso pensò: “Mettiamo insieme un’enorme collezione d’arte contemporanea!”.
La risposta è nei suoi scritti.
Proprio come Van Gogh, infatti, Helene scrisse moltissime lettere e diari, ininterrottamente da quando aveva 12 anni, e, proprio come lui, in queste pagine riversò tutto ciò che le passava per la testa, mettendo a nudo il suo animo, confessando paure, desideri, parlando di dubbi e d’affari di famiglia.
Se Van Gogh ebbe come confidente e sostenitore il fratello Theo, la maggior parte delle lettere di Helene sono indirizzate a Sam Van Deventer, un uomo molto più giovane di lei che conobbe proprio negli anni in cui iniziò a collezionare opere d’arte, e con cui instaurò un legame che durò sino alla sua morte.
Sam frequentava la stessa scuola della figlia maggiore di Helene, che si allontanò dalla madre proprio a causa del rapporto nato fra i due; era un ragazzo promettente cui Anton Kröller offrì anche un ruolo nella società di famiglia, sebbene in una filiale lontana da Rotterdam.
È facile cadere nella congettura e nel romanzato, parlando del tipo di relazione che doveva esserci fra Helene e Sam: ciò che la loro corrispondenza ci presenta chiaramente sono due menti affini, due persone che si scelsero a vicenda come confidenti, riversando i propri pensieri in lunghissime lettere che continuarono a scambiarsi per 30 anni.
Vi è poi da capire come si ponesse Anton nei confronti di questo rapporto: pare che i tre avessero trovato, nonostante le dinamiche poco convenzionali, una sorta di equilibrio.

Sam, Helene e Anton

Ad ogni modo, dicevamo, è fra queste pagine che si trova spiegato perché Helene decise di dedicare la sua vita all’arte, e perché proprio Van Gogh, artista venuto a mancare nel 1890 e ancora non molto conosciuto, dovesse essere al centro della sua collezione.
La risposta è di carattere spirituale.
Già a quindici anni, una giovane Helene appuntava nel suo diario la sua necessità di aver fede in qualcosa, ma il suo non riuscirci a pieno.

“No, io devo credere. Aiutami, Dio, nel riuscirci.”

Con Van Gogh, la sua collezionista, condivise per tutta la vita l’anelito al divino, l’esigenza di credere in modo assoluto.
Questa ricerca di significato e di un posto nel mondo in cui sentirsi utili, li condusse nello stesso punto di arrivo: entrambi trovarono nell’arte la spiritualità che non riuscivano a trovare nella religione.
Helene iniziò dunque ad andare alla ricerca di opere di Vincent, anche grazie all’aiuto del critico Bremmer, il quale era convinto del fatto che l’arte fosse tale solo se capace di esprimere emozioni, di regalare un’esperienza spirituale, e che Van Gogh fosse all’apice di questa evoluzione.
Questa ricerca la portò più volte a Parigi.

Parigi è un vortice che mi attrae. Bremmer mi sta introducendo nell’ambiente dei collezionisti, in cui mi sento a casa. Guardandomi intorno, ovunque vedo ciò che ha ispirato grandi artisti, ma rimaniamo concentrati sul nostro vero obiettivo: Van Gogh.
 
Così, entro il 1922 Helene e il marito avevano riunito un’impressionante raccolta di quasi 12.000 opere, creando una delle collezioni d’arte private più vaste del Novecento. Il fiore all’occhiello di tale collezione era costituito, grazie alla tenacia di Helene, da circa 300 lavori di Van Gogh, fra dipinti e disegni.

Il suo valore non sta solo nei suoi mezzi espressivi, nella sua tecnica, ma piuttosto nella sua grande e nuova umanità.”

Anche il primo conflitto mondiale, durante il quale Helene aiutò come volontaria presso un ospedale che si occupava di risanare i soldati feriti in battaglia, la portò a riflettere su grandi temi, quali la sofferenza e il male, sempre ponendosi in dialogo con quello che ormai era il suo punto di riferimento. Per lei Van Gogh era l’artista che, più di tutti, dipingendo il dolore come fece, è stato capace di trascenderlo, creando un’arte capace di fornire consolazione.

“Ha dipinto la sofferenza, ha compreso intensamente la sofferenza delle persone. Questo è ciò che è totalmente moderno di lui. Ha fatto sì che le persone provassero empatia e capissero le une i dolori delle altre.”

“Sto imparando a comprendere che alla fine, visto da una prospettiva più lontana, tutto il bene ed il male sono parte di una stessa entità: connessioni necessarie fra tutte le cose.”

Helene era molto resiliente; in tutto, anche nella guerra e nelle brutture, voleva vedere il buono e la spiritualità, e per tutta la vita cercò di riuscirci.

Sam, l’arte è lo specchio dell’anima; per questo la amo così tanto. Mi conduce a quanto c’è di bello e di vero nelle persone.”

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La sua resilienza venne fuori nell’atto pratico soprattutto in seguito ai problemi finanziari che portarono all’interruzione dei lavori al museo che Helene aveva deciso di far costruire per ospitare la collezione.
Vedendosi impossibilitata a proseguire in quello che aveva elevato a scopo della sua vita, si ritirò per un breve periodo a Baden Baden.

“Sento che non posso più nuotare contro la corrente che fa affondare la mia vita. Ma devo andare avanti, il museo non è finito. […] A Baden Baden sono circondata dalle mie riproduzioni di Van Gogh. Non puoi immaginare come sia conversare in isolamento e nel profondo silenzio, con questi dipinti.”

Determinata a portare a termine il museo che avrebbe dovuto conservare per sempre le opere raccolte e renderle accessibili, seppur non potendolo più finanziare da sé, chiese udienza al Ministro dell’Educazione, delle Arti e della Scienza olandese, Henri Marchant; gli rivolse un discorso appassionato sul perché questo museo dovesse essere costruito, lo invitò a visitarne il sito, sino a convincerlo a fornire l’aiuto dello Stato.
In cambio di ciò, Helene e suo marito donarono l’intera collezione al popolo olandese.
Helene continuò a recarsi spesso sul cantiere per supervisionare i lavori e poi, una volta costruito, curare l’allestimento; l’edificio venne inaugurato nel 1938 , e lei divenne la prima direttrice del museo.
Diciotto mesi dopo, morì all’età di 70 anni, non prima di aver stipulato che la collezione non fosse divisa e che rimanesse esattamente come l’aveva lasciata.

Ad oggi, il Museo Kröller-Müller è come una capsula del tempo delle convinzioni e della visione che dell’arte europea e della vita aveva questa donna e la collezione di Van Gogh esposta al suo interno, è la seconda più grande al mondo.

 

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  • Bellissimo articolo da cui emerge in modo esplicito l’ammirazione sia per questa donna sia per Van Gogh. Io, se posso, vorrei aggiungere un’altra donna che ha permesso di farci conoscere il pittore. Sua cognata, Johanna van Gogh Bonger, la vedova di Theo. Vedova e con un figlio decise di aprire una pensione/locanda nella campagna olandese, dove fece arrivare gran parte dei quadri di Vincent che letteralmente tappezzarono l’edificio. C’è un bellissimo libro che narra questa storia e si chiama appunto “La vedova Van Gogh” di Camilo Sánchez.

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