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I corpi delle modelle e la Fashion Week: campo di battaglia o discarica di insulti?
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I corpi delle modelle e la Fashion Week: campo di battaglia o discarica di insulti?

Articolo di Francesca Anelli

Con la sua ormai famosissima opera, realizzata per la Women’s March del 1989, l’artista Barbara Kruger ha espresso in maniera chiara e diretta un concetto che è ancora attualissimo: il corpo delle donne è un campo di battaglia. Da esso passano lotte sociali, culturali e identitarie e dunque la sua presenza nello spazio è, volente o nolente, sempre politica o comunque politicizzata.

Le polemiche che colpiscono di volta in volta le passerelle della Fashion Week (sia essa a Milano, Parigi o New York), sono quindi fisiologiche. Il mondo della moda gira intorno al corpo – suo soggetto e oggetto – in maniera non sempre sana; e quello delle sfilate, nello specifico, ha creato negli anni un’estetica che continua senza dubbio a plasmare i canoni di bellezza, con conseguenze dirette e spesso deleterie sulla vita delle donne “comuni”. Sono inoltre numerose le testimonianze di un ambiente di lavoro tossico, votato alla magrezza estrema, tanto che in Francia si è deciso di intervenire con una legge per limitare il fenomeno delle modelle affette da disturbi alimentari, vietando certe taglie ritenute troppo piccole e imponendo alle giovani donne del settore di superare un esame di idoneità fisica prima di essere ingaggiate.

Per quanto una sempre maggiore consapevolezza su questi temi e un po’ di sana indignazione siano benvenuti, non possiamo però non far presente che un certo discorso pubblico e anche misure come quella francese possono farsi a loro volta portatrici di un approccio estremamente problematico all’argomento, a prescindere dalle loro migliori intenzioni.

Dobbiamo, infatti ricordarci che:

  • Le persone non sono taglie: ridurre una donna alle proprie misure o, ancora peggio, a una misura standard che in realtà rappresenta una grande varietà di corpi è disumanizzante, sempre. L’urgenza di proteggere la società dal diffondersi di canoni di bellezza dannosi, nonché di tutelare chi viene sfruttato da un’industria tossica, non può passare dall’esclusione di una categoria che si basa sulle stesse logiche di oggettificazione dei corpi e semplificazione del rapporto tra immagine e salute che hanno portato alla stessa situazione che si intende combattere.
  • I disturbi alimentari non colpiscono soltanto un certo tipo di corpo: i DCA possono interessare donne, uomini e persone non binarie di qualsiasi età e forma. Soprattutto nella settimana dedicata alla consapevolezza su queste patologie è fondamentale avere chiaro che l’anoressia non ha soltanto la faccia e il corpo di un’adolescente molto magra, né è l’unica forma di disturbo che può colpire il comportamento alimentare. È evidente, quindi, che non si possano diagnosticare dei DCA attraverso una foto, e spesso neanche con delle semplici analisi mediche.
  • L’onere di certi cambiamenti ricade comunque soltanto sulle modelle: loro sono già vittime del sistema, questo le lascia ancora più sole. Se devono essere queste ultime a dimostrare la propria idoneità e buona salute, alle case di moda basta non ingaggiarle più e passare oltre, senza prendersi alcuna responsabilità nell’eventuale sviluppo, da parte di queste donne, di disturbi alimentari. Spostare di qualche taglia il limite accettabile non necessariamente mette fine allo sfruttamento, ne cambia più che altro i contorni.

Se la nostra preoccupazione è la salute fisica e psicologica delle donne, dunque, è importante innanzitutto rendersi conto che, in qualunque parte dello spettro magro-grasso esse si trovino (sia anche in quelli che sono considerati gli estremi) e qualunque sia il modo in cui si mostrano al mondo (come si vestono, che lavoro fanno, chi o cosa rappresentano), sono prima di ogni altra cosa persone.

Al di là dei provvedimenti governativi o delle scelte dei singoli brand, il discorso pubblico che circonda l’utilizzo di modelle molto magre durante le varie settimane della moda non può e non deve degenerare nella denigrazione e oggettificazione dei corpi che vediamo sfilare: non sono questi “i nemici” da combattere (al massimo le loro vittime), ma la cultura della dieta, il sessismo, e, per l’appunto, l’idea che il corpo di una donna non sia suo ma di proprietà pubblica.

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Your body is a battleground, dicevamo, ma questa lotta va condotta da e per la persona interessata, non il contrario. Altrimenti questo corpo si trasforma, più che in un campo di battaglia, in una discarica dei peggiori istinti umani. Insulti anche molto pesanti, ipotesi sul peso delle modelle (come se fosse possibile stabilirlo con una foto), paragoni tra donne e oggetti non aiutano la causa di una maggiore inclusività nel mondo della moda e nella società in generale, anzi nascono dalla stessa matrice oppressiva che crea e/o alimenta fenomeni come la grassofobia e il dilagare di disturbi alimentari.

Per combattere standard di bellezza e rappresentazione tossici, insomma, non è soltanto ingiusto ma anche controproducente ricorrere agli stessi meccanismi che li hanno resi così pervasivi e dannosi  – ovvero giudicare e classificare i corpi come fossero di proprietà pubblica, creare gerarchie di accettabilità e allontanare (più che aiutare) chi non è ritenuto conforme.

Questo non toglie nulla alla lotta sacrosanta per un ripensamento dei canoni di bellezza occidentali, né vuole equiparare la condizione di oppressione sistemica subita dalle persone grasse allo shaming di giovani donne magre che, per quanto vergognoso, ha tutt’altra portata sociale. Piuttosto è un invito ad affrontare la questione nella sua complessità e nel rispetto della dignità di tutte le parti coinvolte; anche quelle che ci sembrano più che altro dei simboli ma, a differenza dei brand (che restano dietro le quinte e lasciano le modelle a prendersi tutti gli insulti), rimangono prima di ogni altra cosa persone.

Per approfondimenti e informazioni sui disturbi alimentari (a tutte le taglie), potete leggere questo articolo della psichiatra Serena Saraceni
View Comments (3)
  • nessuno va offeso, però non si tratta di “canoni di bellezza”, si tratta del fatto che eistono uomoini e donne fisicamente più belli e attraenti di altri, un corpo eccessivamente sottopeso o obeso non è bello fisicamente nè sano, poi è ovvio che chi ha questi corpi non va offeso ma aiutato a stare meglio fisicamente e non solo.

    in francia hanno tentato di ovviare a una situazione estrema

  • Ciao Ned, non è la prima volta che ci incontriamo sia qui che in altri spazi del web. Google è tuo amico, ma non solo Google: ci sono tantissime risorse, se si vuole, per scoprire che diet culture non vuol dire mangiar sano. Ma a parte questo, sarebbe sempre corretto argomentare, quando si commenta. Scrivere “questa cosa non è questo” non è un argomento, è un’opinione non articolata. Quindi, per il futuro, ti consiglio di sforzarti un po’ di più, intanto a leggere accuratamente ciò che commenti ed eventualmente se qualcosa non è chiara fare ulteriori ricerche o domande, e poi (a questo dovrebbe servire leggere e ascoltare) eventualmente mettere in discussione le tue opinioni pregresse. Se restano le stesse senza alcuna via di scampo, beh, almeno provare ad argomentarle. Certo, se l’opinione è “un corpo grasso non è bello”, in effetti c’è poco da argomentare.
    Ciao.

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