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I media italiani, gli uomini e i capelli brizzolati
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I media italiani, gli uomini e i capelli brizzolati

Articolo di Giulia Sosio

Si parla tanto di quote rosa, di donne assunte e poste ai vertici di partiti politici, uffici istituzionali, aziende quotate e quant’altro.

In Italia le donne rappresentano il 52% della popolazione, eppure perpetua il trend di non avere donne in ruoli di una certa rilevanza e responsabilità agli alti vertici.

Un settore in cui è interessante capire come la presenza femminile incida sulla nostra vita è sicuramente quello dei media.

I media sono i “cattivoni”, che ci plagiano e manipolano. Sono come degli avatar con la testa a forma di televisore. I media italiani molto spesso riducono l’attualità a facili stereotipi, macchiette e semplicismi, e il tipo di comunicazione che stanno portando avanti sta diventando molto spesso anacronistico, quasi da sorriderci su. È anche per questo che ci stiamo riversando sul digital, sull’informazione on demand, e sulle testate straniere.

Seguendo un ideale utopico ma corretto di comunicazione neutrale – soprattutto rappresentativa – ci sarebbe da aspettarsi che le persone che producono informazioni siano, di riflesso, rappresentativi della realtà italiana per età, sesso e interessi. Peccato che ci siano percentuali irrisorie di donne nei loro consigli di amministrazione.

I media, se non hanno identità, possono a pieno diritto essere additati come detentori di colpa. Tanto, mica sai chi vai ad accusare. È come quando gli adulti di mezz’età o gli anziani intervistati per strada dal TG avvisano di stare lontani e di diffidare dai social, come se fossero una catastrofe che nemmeno l’uragano Katrina. I media e i social stanno arrivando, tutti sotto al lenzuolo prima che ci attacchino!

Ragazzi, gli avatar con la testa a forma di televisione non esistono. Esistono i direttori creativi, gli amministratori delegati, i presidenti. Tutto quello che vediamo facendo zapping sfogliando riviste e periodici è deciso da delle persone, e si dà il caso che per la maggior parte dei casi queste persone siano uomini.

Consiglio di vedere il documentario Miss Representation, in cui viene denunciato il gender gap presente nei canali televisivi americani. In tutti questi gruppi il CEO (amministratore delegato) è un uomo, e in media per ogni consiglio di amministrazione solo il 18% delle voci è femminile.

Certo, è facile dire che gli USA rappresentino un altro mondo, siano un’altra forza e non siano postmoderni e liberali come gli europei. Qui da noi si respirerà un’altra aria, ho pensato. Sono andata a cercarli, questi consigli di amministrazione italiani, sito per sito. Questi i risultati.

Il gruppo che ha al suo interno i canali televisivi LA7 e LA7d ha il controllo editoriale su riviste che vanno dal giornalismo boulevard (DiPiù, Diva e Donna, F, Natural Style) a periodici con tematiche dedicate (For Men Magazine, Bell’Italia, Gardenia). Il presidente è Urbano Cairo e l’amministratore delegato è Uberto Fornara: due ometti. Nel consiglio si contano solo 2 donne su 10. E no, Daria Bignardi è il direttore di canale, non tratta di decisioni amministrative.

Se dobbiamo parlare di chi in Italia detiene l’editoria, specialmente quella legata al fashion, dobbiamo guardare direttamente a Condé Nast – il gruppo societario che sta dietro a Glamour, Vanity Fair, VOGUE e GQ. Gianpaolo Grandi è il presidente, Fedele Usai il direttore generale. Guarda un po’, due ometti. C’è però da dire che le donne in consiglio di amministrazione sono in 6 su 14, un dato se non fantastico almeno ottimistico.

Il gruppo editoriale L’Espresso ha al suo interno il quotidiano laRepubblica, tre radio nazionali (Radio Deejay, Radio Capital e Radio m2o), riviste e 12 quotidiani locali. Il presidente è il giovane Carlo Di Benedetti e in consiglio di amministrazione si contano 3 donne su 11.

La finanza è sempre stata un gioco da uomini, e lo sa bene il Gruppo 24 Ore. Il presidente è Giorgio Fossa, e tra gli 11 membri del consiglio c’è solo una donna. 

Il più grande gruppo editoriale italiano è Re delle letture considerate per antonomasia “femminili”: Chi, Pianeta Donna, Cucina Moderna, Donna Moderna, Grazia, TuStyle e il più gender-neutral Focus. Indovinate chi è l’amministratore delegato? Un uomo, Ernesto Mauri, che detiene le redini del gruppo presieduto da Barbara Berlusconi. Le donne in consiglio sono in 3 su 14, figlia del Cavaliere inclusa.

Endemol e Magnolia, due tra le più grandi società di produzione televisiva, sono gestite dai fratelli Paolo e Marco Bassetti. In Endemol nell’amministrazione si contano 2 donne su 8, mentre in Magnolia ben 6 su 14. Nel secondo caso, la rappresentanza sale a quasi la metà. Buone nuove in arrivo?

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Sembrerebbe proprio di sì. L’amministratore delegato di Discovery Italia (RealTime, Dmax, Giallo) è la giovane Marinella Soldi. Marinella, ohibò, avere solo un’altra donna in un consiglio di 12 persone è un po’ pochino.

Monica Maggioni è la presidentessa del gruppo RAI, madre della televisione e della radio pubblica italiana – nonché storico pilastro della nostra comunicazione nazionale. Il consiglio di amministrazione conta 2 donne su 9. La Maggioni storicamente rappresenta una bella novità, dal lontano 1945 ad oggi di presidenti di rete donne ce ne sono state solo 4 su 23: Letizia Moratti, Lucia Annunziata, Anna Maria Tarantola e appunto la Maggioni.

Sergio Confalonieri è il presidente di Mediaset, mentre Pier Silvio Berlusconi è l’amministratore delegato. Le donne in consiglio di amministrazione sono in 4 su 17, e la potenza del gruppo, per quanto riguarda il livello comunicativo dei suoi canali tv mi sembra quasi indisputabile, peccato che non brilli certo per innovazione e contenuti diretti ai giovani. Scorrendo i volti facenti parte dell’amministrazione della società si vedono un sacco di ragazzi aitanti e belli. Proprio come in un trono Over di Uomini e Donne.

Alla luce di queste percentuali voglio aggiungere che il consiglio di amministrazione non corrisponde a tutto l’apparato. Il mio è un esempio statistico da cui far partire una denuncia generale. So benissimo che ci sono i direttori creativi, i produttori, i registi, gli autori, i direttori di rete, i giornalisti e tutto l’entourage che crea il contenuto.

Quello che voglio sottolineare è che l’ultima parola sulle proposte e su tutto ciò che poi queste aziende fanno realizzare e trasmettere in casa nostra ce l’hanno loro, gli uomini. Perché è bello fare i direttori creativi o i presentatori, ma se dal consiglio le idee vengono bocciate o i budget si stringono per far mandare più manager già strapagati in vacanza ai Caraibi, allora il contenuto ne risente.

L’esempio delle quote rosa nei media ci coinvolge molto più personalmente di quelle in parlamento, il contenuto dei media nella nostra vita è ancora più permeato nella nostra quotidianità – molto più che un decreto legge.

I vertici del mondo della comunicazione italiana sono fatti per il 78% da uomini brizzolati. Che le decisioni siano giuste o sbagliate non so, sono brizzolata anch’io e di decisioni sbagliate ne prendo tante, e poi ovvio che per fare un buon lavoro mica è necessario essere un uomo o una donna.

Qui però c’è palesemente un problema di gender gap e di parziale rappresentazione della società: se i media vogliono rappresentare l’Italia, devono farlo inserendo delle donne anche all’interno dei loro consigli di amministrazione.

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