Articolo di Manuel Carminati
Le foto di Teheran degli anni ’70 mi lasciano spaesato: mi ricordano quelle scattate da mia madre nel parco di Monza, nel ’79, mentre gioca con gli amici maturandi.
Incredibile come oggi quella città di ragazzi abbracciati liberamente nei prati sia nota per l’armamento nucleare e la ferrea dottrina degli Ayatollah. Anche Kabul, prima della guerra, dell’occupazione e dei talebani, era una città frequentata da studenti universitari coi pantaloni a zampa. Ma di regressioni ne vediamo anche oggi: il Venezuela, finito in una spirale di repressione e violenze di piazza, qualche anno fa godeva di una situazione economica e sociale in grandissima espansione; il dramma della Siria e gli altri fronti di guerra nel medio oriente; l’escalation di proteste anche violente negli Stati Uniti e così via.
Nel mondo pochi sono i luoghi dove trova spazio una discussione sui diritti. Eppure in un passato recente avevamo pensato che il progresso culturale fosse un treno che corre su binari dritti: pensavamo che il treno potesse andare avanti oppure stare fermo. Invece i treni tornano persino indietro.
Il nostro paese è caratterizzato da una situazione sociale delicata: questo nostro treno ha tante locomotive comandate da macchinisti diversi, si arricchisce di contraddizioni e contrasti che serpeggiano tra i vagoni, dividendo i passeggeri.
Un treno che torna indietro confonde chi guarda da fuori, che non sa come intervenire, ma ancora di più crea scompiglio tra i suoi passeggeri.
Quando si parla della “locomotiva” italiana ci si riferisce solitamente all’economia, a un’area geografica fortunata e a un’industria particolarmente florida. Se si tratta di “trainare” il Paese, in Italia si è soliti parlare di occupazione, consumi, mutui. Da qualche tempo gli indicatori economici sono tornati positivi, perciò la locomotiva sarebbe tornata a trainare la nazione.
Qualcuno sta bene; forse qualcuno sta persino meglio oggi di ieri.
Questa visione sembra però limitata (e anche i dati economici sono molto peggio di ciò che si racconta, in particolare per la nostra generazione – come delineato qui e qui): quasi tutti tra noi potremmo affermare che questo sia un treno che va all’indietro per quanto riguarda i temi della nostra comunità. A volte pensiamo che la cultura e il pensiero comuni stiano regredendo invece di evolversi positivamente. Quanti stanno male; quanti stanno persino peggio oggi di ieri!
In questi mesi hanno dominato le cronache le forti polemiche sui flussi migratori e sullo ius soli. Migranti e minorenni sono stati raccontati come un pericolo senza dati a sostegno, anzi contro dati demografici che sostengono proprio il contrario.
Un tema caldo oggi è quello della violenza sulle donne: la discussione è divampata dopo gli eventi di Rimini e di Firenze e si è sviluppato molto dopo le denunce nel mondo dello spettacolo e i grandi nomi che sono stati fatti. Qui abbiamo visto criminali valutati per età, lavoro e provenienza, mentre le vittime sono state giudicate in base ai loro supposti intenti. Prima ancora di conoscere i fatti, avevamo in mano assoluzione o condanna, e di tutto questo vi abbiamo ovviamente parlato in molte occasioni.
Abbiamo registrato l’incredibile vuoto culturale che piaga questo paese trattando i temi dell’integrazione, delle minoranze, della violenza di genere. Critici e giornalisti hanno commesso tutti gli errori immaginabili: doppio standard, victim blaming, pregiudizi e stereotipi sugli stranieri, sulle donne, sulle forze dell’ordine… E ora il silenzio.
C’è molta rabbia e intolleranza, tutti urlano e nessuno sa cosa sta dicendo. (A tal proposito, vi rimando a questo articolo particolarmente esaustivo sul consenso e la legge italiana).
Insistiamo ad approfondire le nostre tematiche e a trovare nella società ragione di quello che affermiamo, creando un luogo di informazione variegato; continuiamo a scoprire nuovi spunti, cose da imparare e da diffondere; in casa, in aula o in ufficio, discutiamo con chi non la pensa come noi, anche quando vorremmo soltanto sbattere la porta e uscire; se necessario, troviamo il coraggio di correggere chi dice qualcosa di inesatto: questo è il nostro compito da osservatori privilegiati, perché sappiamo di cosa stiamo parlando.
Parliamone, affinché il prossimo macchinista sia una persona informata e nel vagone si ristabilisca un clima migliore.