Per la mia personale rubrica “Storie che non dovrebbero esistere, ma dato che esistono è opportuno conoscere”, oggi vi voglio parlare di un film uscito da pochi giorni nelle sale italiane.

Se Il caso Spotlight è candidato a 6 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior regia, è per un valido motivo: è un pugno nello stomaco!
Il film, scritto e diretto da Tom McCarthy, è ambientato a Boston, nei primi anni del 2000; racconta la storia della squadra di giornalisti “Spotlight” (“riflettori”) del Boston Globe, della sua indagine sugli abusi sessuali a danni di minori perpetrata da oltre 70 sacerdoti dell’arcidiocesi cattolica della città e di oltre 30 anni di casi insabbiati dalle autorità ecclesiastiche.
LA TRAMA
Tutto ha inizio con l’arrivo in redazione del nuovo capo editore Martin Baron, che si interessa ad un breve articolo sulle accuse di presunte molestie rivolte a un prete e sconfermate dall’arcivescovo Bernard Law.
Pur consapevole delle ripercussioni, la squadra comincia a scavare negli archivi e quello che trova è uno schema sistematico che si ripete da anni per casi come quello da cui sono partiti; le vittime denunciano il fatto, gli avvocati trovano accordi per mettere tutto a tacere in cambio di somme di denaro e le alte cariche della chiesa cattolica coprono i preti carnefici con trasferimenti, permessi per malattia, congedi…

L’inchiesta si divide quindi su due fronti, da un lato parlare con le vittime e con gli avvocati per ottenere i nomi di questi preti, dall’altro la ricerca di prove che inchiodino l’arcivescovo come colui che sapeva ma ha preferito tacere. Le indagini procedono a rilento, non prive di ostacoli e buchi nell’acqua, ma nel gennaio del 2002 l’articolo viene pubblicato e come è giusto aspettarsi riscuote un clamore tale da vederlo vincitore del premio Pulitzer nel 2003 nella categoria “Public Service” e una lunga serie di approfondimenti sullo scandalo che divenne noto al mondo come il “Massachussetts Catholic sex abuse scandal”.
L’indagine del team portò anche alle dimissioni dell’arcivescovo Law, accusato di aver tenuto segreti i casi di pedofilia e alla quasi bancarotta dell’arcidiocesi di Boston. Il caso Spotlight, grazie alla sua risonanza globale, ebbe un effetto domino che portò a numerose inchieste in altre parti del mondo.
PERCHÉ ANDARE AL CINEMA
“The dam burst. There were all these victims who thought they were alone, suffering in silence. All of a sudden, they realized they were not alone. All of a sudden, a lot of them wanted to talk about it.”
Il film si conclude, come afferma Rezendes, all’inizio vero e proprio dello scandalo, centinaia di persone contattarono il Boston Globe per dare la propria dichiarazione sui preti accusati, fino a stimare più di 1000 vittime in 30 anni di abusi e silenzi. Nel giro di un anno furono scritti più di 600 articoli che raccontavano le storie di vittime e carnefici coinvolti.
Il taglio sobrio del film è la cosa che più ho apprezzato; per quanto nulla venga omesso o descritto superficialmente, le tematiche delle molestie sessuali e delle conseguenze vengono trattate con quella delicatezza che, come affermavo all’inizio, è un pugno nello stomaco molto più forte di certe scene enfatiche da colossal hollywoodiano.
Questo film può e deve far riflettere il pubblico italiano più di altri, data la vicinanza fisica e non solo del Vaticano.
È un film che ci deve far pensare che, per quanto sia difficile da credere, ci sono persone tra i “buoni” che sono in realtà dei mostri; hanno un certo ruolo nella società e rappresentano una certa istituzione che in caso di reato non deve proteggerli, ma denunciarli e punirli come meritano, perché hanno, di fatto, rovinato la vita di intere famiglie.
Potrebbe esservi nata la domanda: “perché ne stiamo parlando su Bossy?”
Perché al netto del tema, c’è un messaggio al quale noi teniamo molto e che riteniamo la base del nostro lavoro: ci sono storie che vanno raccontate. Se accade un’ingiustizia e si ha il potere di parlarne per cambiare le cose, bisogna farlo. Ho voluto parlarvi di questo film perché sia sempre più chiara l’utilità di questo principio, anche applicata a situazioni che sembrano “distanti” da noi.
Proprio per questo, il mio consiglio è quello di andare al cinema, con la consapevolezza che non scoprirete nulla di nuovo sul fronte “Chiesa e pedofilia” ma che vi farete un’idea più precisa dei numeri allarmanti di questo fenomeno.
Ho pensato la stessa cosa quando sono uscita dal cinema.
Questo film mi ha attirata sin dal trailer!
Quando ho visto i titoli di coda, e proprio perché il film finisce all’inizio dello scandalo pubblico, ero carichissima e mi sono tenuta l’adrenalina addosso per un bel po’… dà un via a ragionamenti e infonde speranza.
Vivo un’esperienza lavorativa che finirà di sicuro sui giornali, devo solo trovare la decisione di denunciare la situazione e devo farlo senza rischiare grosso.
Un giorno, anche se saranno passati anni, otterrò giustizia e questo film, proprio perché lo scandalo avviene dopo tanto tempo dai fatti, ti mette addosso la fiducia che presto o tardi, tutto viene sempre a galla!
Se posso, cercherò di non far passare così tanto tempo.