“Basta stupri”. “Non sei solə”. “Amare ≠ morire”. “Diamo la strada alle puttane”, tanti slogan che probabilmente avete già visto affissi sui muri della vostra città e che seguono codici estetici ormai riconoscibili: grandi lettere nere, dipinte su fogli bianchi e incollate su muri di uno spazio pubblico. Retrospettiva su un movimento unico che esiste da ormai due anni.
È l’inizio del 2019. Marguerite Stern, ex Femen (dal 2012 al 2015) realizza i suoi primi collages a Marsiglia, in un primo momento da sola, in particolare in ricordo a Julie Douib, una giovane donna corsa assassinata nel marzo 2019 dal suo ex marito. In seguito si sono aggiunti altrə collagistə. Tuttavia, le sue posizioni transfobiche e islamofobiche hanno finito per provocare la sua esclusione dal movimento prima della fine del 2019. La controversia riguardante la figura di Marguerite Stern continua oggi a dividere il movimento dei collages femministi.
Nonostante questa nascita burrascosa, i collages femministi si sono diffusi in tutta la Francia e vengono realizzati anche all’estero. Nonostante la loro natura effimera (i fogli vengono spesso strappati, scarabocchiati o semplicemente spariscono a causa del tempo), se ne trovano ancora molti dalle nostre pareti.
L’account Instagram “collages_feminicides_paris” ricorda che il movimento è nato “per sensibilizzare sulle questioni legate alla violenza intrafamiliare, al femminicidio (interno [che avviene all’interno della struttura familiare e vicino ad essa] ed esterno [fuori da questa struttura]), alla violenza di genere in generale e alla pedocriminalità. Attualmente si contano tra i 500 e gli 800 membri (solo a Parigi). Operiamo in “mixité choisie” (letteralmente, “diversità selezionata”, NdT), il che significa che accettiamo tutti tranne gli uomini cisgender. Ci sono diverse ragioni dietro alla scelta della diversità selezionata: in primo luogo, permette la riappropriazione dello spazio pubblico da minoranze di genere. Lo spazio pubblico è effettivamente un luogo di oppressione, a causa delle molestie o delle aggressioni fisiche e verbali. Di conseguenza, le minoranze di genere sono spesso costrette a farsi discrete e a mettersi in una posizione di sottomissione. Mettere per iscritto i loro pensieri, soprattutto di notte, quando il pericolo è maggiore, permette loro di (ri)appropriarsi dei loro luoghi, di occupare lo spazio, letteralmente e metaforicamente.
Il collettivo trae ispirazione da fatti di attualità: per esempio, il gruppo parigino ha organizzato la chiusura del cinema Le Champo per la première del film di Roman Polanski, un’azione contro Uber in seguito alle accuse di stupro, dei collages a seguito dei César 2020, una manifestazione di fronte al Ministero dell’Interno in seguito alla nomina di Gérald Darmanin, e un collage per il primo anniversario del collettivo in cui sono stati raggruppati i nomi di tutte le vittime di femminicidio.
Per capire meglio le dinamiche del collettivo, abbiamo intervistato Sarah, Flore, Juliette e Coco, quattro collagistə, per farci raccontare le loro esperienze.
Puoi presentarti velocemente? Come ti sei avvicinatə al mondo dei collages?
Sarah: Mi chiamo Sarah, ho 25 anni, vivo a Parigi da 3 anni e sono una giornalista che lavora in un’agenzia di stampa. Ho iniziato a incollare i collages nel novembre 2019, poco dopo la creazione del collettivo. Ho seguito una sessione di formazione con persone che non conoscevo tramite un gruppo Whatsapp nel 13° arrondissement di Parigi. Avevo seguito la nascita del collettivo sui social, ed essere un’attivista in strada è stata una vera svolta nel mio impegno in quanto attivista femminista e che aspettavo da tempo. Prima facevo parte di un’associazione femminista, abbiamo fatto un sacco di formazione, di conferenze, ecc. ed era interessante, ma volevo passare al livello successivo e intervenire realmente con azioni concrete.
Juliette: Ho 26 anni, sono un’insegnante e incollo i collages da un anno e mezzo. Ho iniziato a incollare grazie a un’amica. Mi ha chiesto di accompagnarla a incollare a Montreuil. Abbiamo incollato alcune volte insieme. Ho anche incollato con mia sorella e altre ragazze di Montreuil. Ho poi creato un account Instagram a Blanc Mesnil dove ho incollato un po’ di volte.
Coco : Mi chiamo Coco (non-binary) e ho 19 anni. Sono studente d’arte al secondo anno di un corso di costumi da spettacolo. Sono biancə, pansessuale e non-binary. E vivo a Lione.
Flore: Mi chiamo Flore, ho 23 anni e sto facendo un master in studi di genere all’EHESS, vivo a Parigi, sono femminista. Ho iniziato a incollare nel 2019-2020 durante il mio scambio Erasmus a Madrid. Quando si vive all’estero penso che a volte si senta un po’ di nostalgia per il proprio Paese e una certa frustrazione di non poter essere ovunque allo stesso tempo. Così, quando all’inizio dell’anno scolastico, arrivata a Madrid, sono venuta a conoscenza dell’esistenza dei collages che si stavano sviluppando molto rapidamente a Parigi e poi ovunque in Francia, mi sono ritrovata a essere felice che questa azione esistesse perché l’ho trovata subito molto potente e super accessibile a tuttə, ma anche un po’ triste di non potervi partecipare. E poi un giorno ho incontrato un’altra ragazza francese a Madrid che faceva parte della mia classe di teatro, e il femminismo ci ha unite immediatamente. Così abbiamo iniziato a parlare molto dei collages a Parigi, e un giorno ci siamo dette “ma invece di lamentarci che questo stia accadendo là senza che possiamo partecipare, iniziamo a farlo qui!” Penso che il vero impulso sia derivato da un articolo che abbiamo letto un giorno su un caso di violenza sessuale in Spagna, e, come al solito quando leggiamo questo tipo di cose, ho provato un dolore dentro di me per la rabbia che non possiamo esternare, così abbiamo detto “ok, questo è il momento, reagiremo in questo modo”. In due giorni abbiamo comprato un secchio, tre pennelli e un barattolo di vernice e abbiamo iniziato. A poco a poco l’abbiamo comunicato a qualche amica, poi abbiamo creato un account Instagram, postato i primi collages con hashtag, e poi siamo state contattate da diverse persone spagnole e francesi che avevano visto le nostre foto e volevano unirsi a noi.
Cosa ti lascia questa esperienza?
Juliette: Mi dà la sensazione di contribuire nel mio piccolo. Mi permette anche di incontrare altre persone motivate a difendere le stesse cause. Senza i collages probabilmente non le avrei mai incontrate. Ho anche l’impressione di educare la gente sulle nostre cause. Questa forma di attivismo fa riflettere in modo diverso. La gente passa e si fa per forza delle domande, in un modo o nell’altro, sul significato dei collages e sul messaggio che vogliono trasmettere. E questo può innescare delle riflessioni sui temi trattati dai nostri slogan. Per esempio, una mia amica mi ha detto che alcunə deə suə allievə sono passatə davanti a un collage che denunciava un femminicidio realizzato a colpi di coltello. ə allievə si sono chiesti come fosse possibile uccidere con così tanti colpi di coltello e hanno pensato che fosse un atto molto violento. Penso che grazie ai collages sia possibile raggiungere un pubblico che non è assolutamente coinvolto in queste cause, un pubblico che non possiamo raggiungere partecipando alle manifestazioni o firmando delle petizioni per esempio. I collages ci permettono di far arrivare dei messaggi a persone che non sono necessariamente interessate.
Sarah: Un vero senso di potere. Incolliamo con un gruppo in “diversità selezionata”, e oltre alla fiducia che c’è tra di noi, ho sempre percepito un’energia molto potente e unificante tra collagistə. Quando incolliamo, ci sentiamo indistruttibili e questo è un bene perché di solito la strada e più in generale lo spazio pubblico sono luoghi dove le persone percepite come donne non si sentono spesso (mai?) al sicuro.
Grazie ai collages ho davvero sperimentato la possibilità di “riappropriarmi della strada”. Quando incolliamo i nostri messaggi di notte sappiamo che verranno letti il giorno dopo, e che alcune persone si sentiranno meno sole, che si sentiranno potenti tramite la nostra rappresentazione, e che al contrario alcuni messaggi infastidiscono e questa è una cosa piacevole. Tutto sommato, è un’azione attivista che mi dà molta adrenalina e soprattutto una grande sensazione di sorellanza.
Coco: Mi ha permesso di incontrare nuove persone e di sperimentare la natura non mista di uno spazio attivista. Essere solə è davvero potente e mi fa sentire più sicurə, soprattutto per quanto riguarda la mia identità di genere. Ho anche imparato molto da persone che sono affette da discriminazioni diverse da quelle che affronto con altri membri del collettivo.
Flore : Incollare mi ha insegnato molto. A livello più personale, ho dovuto lasciare Madrid in fretta e furia il giorno in cui è stato annunciato il lockdown in Spagna, lasciandomi alle spalle gran parte dei miei averi, e soprattutto molte persone che amo e che non ho potuto salutare. Il fatto di vedere ancora oggi che i collages continuano a diffondersi sui muri di questa città (che amo tanto), che l’account Instagram è ancora attivo, che sulla conversazione in cui vengono organizzati i collages (che ancora non riesco ad abbandonare) le persone che conoscevo continuano a incontrarsi per fare i collages, mescolate a una moltitudine di nomi nuovi che non conosco, mi scalda il cuore.
Ma soprattutto, e in relazione a questo primo punto, è la sorellanza ciò che mi rimane. È il ricordo del casino nella cucina del mio appartamento nel centro di Madrid, gremito di 20 ragazze, la maggior parte delle quali sconosciute, e di frasi che nascono in francese, spagnolo, inglese, tedesco e italiano, ma soprattutto di una comprensione davvero incredibile.
Come scegli gli slogan da incollare?
Sarah: Li scelgo soprattutto sulla base di dove incollo o del contesto. Quando incollo a Parigi so che la città è impregnata dello spirito dei collages e che possiamo permetterci di incollare slogan come “non unə di più”, perché la gente sa di cosa stiamo parlando. Non è il caso di quando incollo dei collages in campagna. Ho creato il gruppo “Collages a Morteau” e lì è necessario incollare collages molto più didattici e chiari. Per esempio, abbiamo incollato slogan più “elementari” come: “Tua moglie non ti appartiene”, perché il collettivo dei collages era completamente sconosciuto in questa città.
Altrimenti, più in generale, scelgo slogan il più possibile inclusivi, su temi che mi riguardano. A volte dipende dall’evento: ad esempio, sceglieremo slogan legati alla manifestazione a cui stiamo partecipando.
Juliette: Gli slogan sono scelti da diversi collagistə su suggerimento di unə di loro. Sono spesso slogan che abbiamo visto su altri collages. Cerchiamo di variare la lunghezza degli slogan per adattarli alle pareti disponibili. Gli slogan sono spesso legati a fatti di attualità (omaggio alle vittime, riferimenti all’attualità politica e sociale).
Flore: A Madrid avevamo uno stile più libero. Avevamo fatto un documento condiviso in cui chiunque poteva proporre degli slogan, ma alla fine ognunə ha scritto un po’ di ciò che lə ispirava. All’inizio ci siamo concentratə sul numero di femminicidi in Spagna, poi sui nomi delle vittime, sulla data della loro morte, etc., e poi ci siamo rapidamente lasciatə trasportare dalle nostre idee. Facciamo anche sessioni di collage in relazione a giorni o eventi particolari. In questo caso, adattiamo i messaggi. Possiamo anche adattarci al luogo in cui incolliamo, se incolliamo vicino a una scuola per esempio. Alcuni collages non sono collocati in modo casuale, in questi casi i messaggi sono indirizzati in modo specifico a un gruppo di persone che sappiamo che probabilmente passerà di lì.
Coco: Abbiamo un lungo elenco di slogan e cerco di dipingere slogan su diverse tematiche, che esse mi riguardino o meno. Possono anche riguardare temi specifici che sono particolarmente rilevanti per me.
Come si spiegano le ostilità (insulti nei confronti dellə collagistə mentre si incolla, colleges strappati) o addirittura la violenza fisica nei confronti dellə collagistə?
Flore: Fatico veramente a capirlo, talmente mi risulta difficile concepire che si possa non essere d’accordo con messaggi che denunciano la pedocriminalità, o che si possa tenere di più al diritto di proprietà di un muro di fronte a ciò che succede alla vita di una donna. Credo che alcuni uomini siano talmente poco abituati a essere urtati, contraddetti, interpellati, messi in discussione che la loro reazione a una situazione che gli sembra ostile può essere molto violenta. Avevo visto uno slogan scritto su uno striscione di una manifestazione a Madrid che recitava giustamente “que ganas de ser pared para que te indignes cuando me tocan sin permiso” :“come mi piacerebbe essere un muro perché tu ti indigni quando vengo toccata senza consenso”. Ritengo che sia in grado di riassumere bene questa questione, l’assurdità delle persone che si preoccupano più per un muro che per le donne o le minoranze.
Coco: Spesso, le violenze che subiamo incollando provengono da persone che non leggono neanche lo slogan, ma che dicono “smettetela di rovinare i muri” pensando solo che è un’azione illegale, senza interessarsi minimamente alle questioni sollevate.
Juliette: Nella nostra città i collages vengono sistematicamente tolti dall’amministrazione comunale, tra le 24 e le 48 ore successive all’affissione. Nel nostro caso, credo che sia perché il Comune considera questo atto come affissione selvaggia e non vuole vedere smentita la sua reputazione di città pulita. Quando sono delle persone che strappano i collages, invece, non me ne capacito. In che modo potrebbe infastidire uno slogan che promuove la parità dei generi e i diritti delle minoranze oppresse, al punto da spingere qualcuno a spendere delle energie per strapparlo? Alcune persone forse si sentono attaccate dai nostri slogan ma in questi casi è perché hanno la coscienza sporca.
Sarah: I nostri collages infastidiscono molte persone, spesso degli uomini ma non solo, ci sono anche molte donne che hanno interiorizzato la misoginia e che la riproducono. Credo che ci siano diverse ragioni che sottintendono queste ostilità ma ritengo che, in fondo, si tratti di persone che hanno paura nel vedere che le cose cambiano. Io sono convinta che la paura è la prima motivazione che anima le persone che sono ostili ai collages: la paura di perdere i propri privilegi, la paura di rimettersi in discussione e di fare un lavoro di decostruzione perché sanno molto bene di non essersi sempre comportatə nel modo giusto e hanno paura, un giorno, di leggere il loro nome sul muro di fronte a casa.
Fonte
Magazine: Les Ourses à plumes
Articolo: LE MOUVEMENT DES COLLAGES FÉMINISTES : DEUX ANS DE RÉAPPROPRIATION DE L’ESPACE PUBLIC
Scritto da: Clara Joubert
Data: 23 Novembre 2021
Traduzione a cura di: Charlotte Puget
Immagine di copertina: Collages Féminicides Paris
Immagine in anteprima: Collages Féminicides Paris