Le donne musulmane si trovano spesso davanti a un bivio: cercare di risolvere i problemi in forma privata, o denunciarli correndo il rischio che contribuiscano a rafforzare l’islamofobia.
La lotta per la parità e contro la discriminazione che molte donne musulmane stanno portando avanti negli ultimi anni nel contesto spagnolo è ostacolata dall’idea che femminismo e islam siano incompatibili. Da un lato perché viene messa in dubbio la compatibilità di qualsiasi progetto femminista con la religione, ma soprattutto con l’Islam, considerato l’epitome per eccellenza della misoginia e del patriarcato. D’altra parte perché il femminismo si identifica senza distinzione con un movimento che ha le sue radici nel mondo coloniale, e che quindi contribuisce a imporre una modernità occidentale estranea ai contesti musulmani. Tuttavia, tra le due posizioni c’è la militanza di molte donne che non rientrano in nessuno dei due estremi. Si tratta di donne musulmane, credenti e impegnate nella lotta per la parità, che sono parte di un movimento noto con il nome di femminismo islamico.
Cosa si intende per femminismo islamico? Sebbene rispondere a questa domanda implichi necessariamente una semplificazione, poiché individua militanze molto eterogenee in diverse parti del pianeta, il termine si riferisce solitamente a collettivi di donne che propongono una rilettura delle scritture islamiche in un’ottica di genere, per ripristinare da questa prospettiva la parità tra uomini e donne che le suddette scritture legittimerebbero. I primi esempi di questo lavoro ermeneutico furono pubblicati sulla rivista femminile iraniana Zanan (Donne) all’inizio degli anni Novanta. Da allora, organizzazioni internazionali come Musawah (Parità), o studiose influenti come Asma Barlas, in Pakistan, o Asma Lamrabet in Marocco, continuano a portare avanti il pensiero che, nella logica di un paradigma islamico, l’Islam in sostanza sia una religione egualitaria.
Ma come collocare questo tipo di lotta per la parità in contesti come quello della società spagnola? Non esiste un’unica risposta. Per una parte del movimento femminista non c’è alcuna possibilità di conciliare l’islam e il femminismo, sarebbe semplicemente un ossimoro. È il caso del femminismo illuminato e di alcuni femminismi laici di origine maghrebina, le cui attiviste, socializzate in ambienti musulmani, ritengono che la causa della loro oppressione ricada sull’Islam e sul dominio esercitato dagli uomini musulmani. Tuttavia, altre donne musulmane, non necessariamente militanti del femminismo islamico, segnalano oppressioni quotidiane di natura diversa, legate al razzismo anti-musulmano o un’islamofobia che, ad esempio, limitano i loro diritti di cittadinanza per il fatto che indossano un velo o le identificano come potenziali terroriste per la loro apparenza.
Ci sono donne che abbracciano il femminismo islamico, perché le proposte di cambiamento che avanzano per una società più paritaria si muovono all’interno di un quadro islamico a cui non vogliono rinunciare. È proprio la loro fede nell’Islam come sistema integrale e perfetto di origine divina, precursore di una struttura sociale giusta ed equa nei confronti delle donne, che serve loro come motivazione. In linea con questa idea, le femministe islamiche difendono il riconoscimento dei principi dell’Islam che garantiscono la libertà delle donne musulmane e rifiutano ogni tipo di interpretazione maschilista delle scritture, sostenendo che, come ogni interpretazione, è soggetta all’influenza del diversi contesti temporali e politico-culturali.
Le prime donne musulmane che si sono identificate con il femminismo islamico in Spagna hanno iniziato il loro viaggio all’inizio degli anni 2000. Natalia Andújar e Laure Rodríguez Quiroga, individualmente o in diverse organizzazioni, sono state molto coinvolte sin dall’inizio in eventi come i quattro congressi internazionali sul femminismo islamico tenutisi a Barcellona e Madrid nel 2005, 2006, 2008 e 2010.
Nonostante questo inizio molto promettente, da allora tutto ciò che riguarda il femminismo islamico è stato oggetto di grandi controversie a causa dell’esistenza di posizioni diverse riguardo alla sua definizione, la sua portata e i suoi obiettivi. Ad esempio, autrici musulmane come Sirin Adlbi prendono le distanze dal femminismo islamico, non solo per la questione coloniale di cui abbiamo parlato, ma anche perché l’Islam in sé nei suoi princìpi è già una garanzia sufficiente per raggiungere la parità di genere; per loro parlare di femminismo islamico sarebbe quindi ridondante. Inoltre, alcune militanti che potrebbero riconoscersi come femministe islamiche hanno comunque deciso di continuare a portare avanti le loro richieste da una posizione indipendente, come nel caso di Wadia N-Daghestani. Altre come Ramia, una nota youtuber catalana, o Miriam Hatibi, attivista e consulente di comunicazione, si allineano con un femminismo intersezionale, che considerano più diversificato e inclusivo.
C’è anche chi prende le distanze dal femminismo islamico per la percezione che tale identificazione può suscitare all’interno della comunità musulmana. Da un lato, in profondo disaccordo con un femminismo che ritiene che i suoi valori siano sempre opposti a quelli dell’Islam; dall’altro, e probabilmente di maggior peso, nella critica mossa da questa posizione all’appropriazione egoistica delle rivendicazioni femministe da parte di un discorso islamofobo che cerca di giustificare il rifiuto nei confronti dell’Islam, caratterizzandolo come una religione misogina e sostenendo che, quindi, ogni femminista dovrebbe automaticamente escluderlo. Il fatto che moltə di coloro che portano avanti il discorso dell’islamofobia siano apertamente antifemministə non è del tutto paradossale se pensiamo che l’islamofobia di genere implica proprio questo: usare il discorso della presunta situazione di subordinazione che l’Islam impone alle donne con il solo scopo di legittimare norme chiaramente islamofobiche. Questa islamofobia di genere è ciò che consente al razzismo contro i musulmani di essere apertamente tollerato.
Nonostante le difficoltà che molte donne musulmane incontrano nella questione del femminismo islamico, alcune femministe rivendicano l’applicazione dei principi teorici di giustizia e parità di genere dell’Islam, e propongono una revisione delle varie interpretazioni sessiste, senza per questo vedersi costrette a compromettere o rinunciare alle proprie convinzioni religiose. È il caso, ad esempio, di donne come Hajar Hniti in Spagna o Maryam Amirebrahimi negli USA, entrambe con una formazione riconosciuta nelle scienze islamiche, e in particolare nello studio del Corano. Dalla posizione di autorità che questa conoscenza conferisce loro, il loro lavoro è cruciale, poiché non solo sfidano molti stereotipi sessisti, ma rivendicano anche il loro diritto di occupare un posto come musulmane e come donne nella società. Questo significa che la loro militanza religiosa include anche la lotta al monopolio maschile, poiché riconoscono che le sfere religiose sono ancora per lo più occupate da uomini.
Queste donne, che si identifichino o meno con il femminismo islamico, rivendicano i diritti da una prospettiva musulmana che, tuttavia, viene rifiutata in modi diversi. Da un lato, da una parte del femminismo che non solo le esclude, ma in molti casi le accusa di perpetrare il patriarcato; dall’altro, da alcuni membri delle comunità musulmane che non accettano o non prendono abbastanza sul serio le richieste di alcune donne che, da posizioni di autorità, sfidano quotidianamente la tradizione.
Questo si traduce nel fatto che spesso non vengono ascoltate. Certo è che il loro lavoro è decisivo per combattere la pericolosa legittimazione del razzismo anti-musulmano e per promuovere la normalizzazione dell’islamofobia di genere.
Fonte
Magazine: CTXT
Articolo: La emergencia del feminismo islámico en España
Scritto da: Laura Mijares e Noha El-Haddad
Data: 29 marzo 2021
Traduzione a cura di: Michela Perversi
Immagine di copertina: Ifrah Akhter
Immagine di anteprima: freepik