Articolo di Davide Manfredo
Sue V. Rosser è una scienziata e professoressa universitaria statunitense, che vanta diversi titoli accademici, tra cui un dottorato di ricerca in Zoologia. Oltre al proprio lavoro in varie Università negli USA, si occupa da sempre del problema della disparità di genere nel mondo scientifico, in particolare del cosiddetto glass ceiling (= soffitto di cristallo), ovvero una metafora che indica una situazione in cui l’avanzamento di carriera di una persona viene impedito per discriminazioni, prevalentemente di carattere razziale o di genere.
Una delle sue opere più conosciute è un saggio pubblicato nel 2004 dal titolo “The Science Glass Ceiling. Academic women scientists and the struggle to succeed” (“Il Glass Ceiling della Scienza. Le donne scienziate nelle Università e la difficoltà di avere successo”), in cui la scienziata riporta una ricerca da lei effettuata per cercare di comprendere ed esaminare a fondo il ruolo che le donne hanno all’inizio del XXI secolo nelle università statunitensi.
La sua ricerca si è basata su un’intervista fatta a 450 scienziate americane vincitrici del premio POWRE (Professional Opportunities for Women in Research and Education).
Le domande poste riguardavano principalmente:
- Il percorso di studio e la carriera intrapresi dalle intervistate
- Quanto l’aver vinto il premio abbia influenzato la loro carriera accademica
- Quanto l’esistenza tale premio possa invogliare sempre più donne ad intraprendere una carriera nelle STEM (‘’Science, Technology, Engineering and Mathematics’’)
- Quali siano le barriere principali incontrate dalle scienziate
Da tutte le risposte, la Rosser ha estratto moltissime informazioni ed ha tratto altrettante conclusioni, vediamone ora alcuni tratti principali.
Chi sono le scienziate?
Sono presentate brevemente le storie di 11 delle 450 donne per sottolineare alcuni punti fondamentali che emergono da una prima lettura delle interviste.
Innanzitutto provengono da ambienti famigliari e percorsi di studio diversi, e ciò rende unico il cammino educativo e formativo di ogni scienziata. Questo rivela che nessuno stereotipo definisce queste donne e che non c’è una “formula magica” che possa rivelare ciò che le abbia portate al successo professionale.
Ciò che si può sottolineare è che la quasi totalità delle intervistate ha avuto un uomo come guida accademica (tutor, mentore, relatore), dovuto al fatto che soltanto da pochi anni le donne hanno davvero cominciato a scalare le ‘gerarchie’ universitarie. Inoltre le scienziate intervistate sono unite dall’abilità di combinare decisioni in campo famigliare e professionale.
La vita in laboratorio.
Le domande poste dalla Rosser alle ricercatrici avevano anche lo scopo di esplorare come vivono le donne all’interno del proprio ambiente di lavoro.
A tal proposito l’autrice riporta due studi (Britton, 1997; Wright & Sailor, 1992), in cui si sottolinea statisticamente una diversa percezione del proprio ambiente di lavoro a seconda del genere: le donne reputano buona una realtà di lavoro in cui ci sia un capo o un superiore qualificato e capace, mentre gli uomini apprezzano maggiormente un ambiente in cui siano presenti colleghi che reputano simili a sé. Questo non dovrebbe stupirci, dal momento che gli uomini sono culturalmente abituati a “fare branco”, e le donne vengono considerate più apprezzabili se si presentano umili.
Sue V. Rosser categorizza le risposte in 5 famiglie a seconda del livello di inclusione delle donne nell’ambiente del laboratorio.
- L’assenza delle donne non viene percepita: si tratta del laboratorio tradizionale in cui ci sono esclusivamente uomini. Originariamente occupato da uomini bianchi, non viene neanche percepito il fatto che il genere possa essere un fattore che influenzi l’ingresso nel mondo accademico.
- Le donne sono un fattore aggiuntivo: alcune donne hanno fatto il loro ingresso nel laboratorio “tradizionale”. La loro presenza ha avuto un impatto trascurabile nell’ambiente di lavoro, e le scienziate sono accettate o tollerate se assumono atteggiamenti e approcci tipicamente maschili.
- La presenza delle donne è percepita come un problema o una deviazione dalla norma: a questo livello le scienziate in laboratorio sono percepite quasi come un affronto, soprattutto in seguito alla richiesta di congedi per maternità. Le donne, con la loro presenza, impongono la necessità di interazione tra stili di vita diversi.
- Focus sulle donne: sia gli uomini che le donne cominciano a considerare positiva la presenza di diversità nel laboratorio.
- L’ambiente del laboratorio è ridefinito e volto all’inclusione di ogni individuo.
Sebbene quest’ultimo sia lo scenario ideale, la Rosser fa notare come nessuna risposta rientri in tale famiglia, e sottolinea anche come la maggior parte si collochi nella terza categoria.
La differenza che fa l’Università.
Vengono in seguito riportate le testimonianze di circa una decina di ricercatrici per spiegare se e quanto sia difficile fare carriera accademica per una donna, a seconda dell’Università in cui questa si trovi ad operare.
Ciò che emerge è una netta differenza tra quelle che vengono definite “grandi” e “piccole” realtà.
Nelle Università di dimensione relativamente ridotta, i ricercatori si trovano a dover svolgere l’attività di insegnante sia curricolare che di laboratorio, relatore o mentore per studenti e dottorandi e a dover dirigere il proprio laboratorio. Questo può causare difficoltà alle ricercatrici, poiché sebbene l’attività di professoressa si concili bene con l’attività di madre, alcuni impegni da ricercatrice, come trasferte e studi sul campo, possono richiedere un impegno più gravoso che non permette un incastro con gli impegni famigliari.
Inoltre, è stato riscontrato come in certi ambienti sia molto più difficile per le donne che per gli uomini costruire un “network” di conoscenze che permetta la fondamentale collaborazione con altri scienziati.
Cambiamo le istituzioni, non le donne!
La Rosser termina il proprio saggio focalizzando l’attenzione su quelli che lei reputa essere i 4 problemi principali che sono emersi dalla ricerca, proponendone alcune soluzioni.
- Trovare un equilibrio tra carriera e famiglia
La questione più urgente che deve essere affrontata è la difficoltà incontrata dalle donne nel riuscire a trovare un accordo tra vita famigliare e professionale. Nonostante sia un problema generale, in campi competitivi come le scienze e l’ingegneria questo aspetto diventa determinante nelle decisioni di molte donne riguardo alla propria vita personale. Inoltre, siccome molte donne che lavorano nel campo delle STEM (circa il 62%) ha scelto come partner un collega, il problema è spesso di portata doppia, poiché le carriere in ballo in questo caso sono due.
Fortunatamente diverse politiche volte ad incrementare la flessibilità sono state introdotte negli USA negli ultimi anni, in modo tale che gli individui possano disporre di maggior libertà decisionale per la propria attività di insegnamento e ricerca.
- Basso numero di scienziate e numerosi stereotipi
I problemi che si incontrano in questo caso sono principalmente legati all’emarginazione in laboratorio e in università e ai preconcetti negativi sulle capacità delle scienziate.
Il basso numero di donne nell’ambiente scientifico le rende molto visibili; questo oltre a farne risaltare i successi, rende anche molto visibili gli errori che queste possono commettere.
Il fatto che le percentuali di donne che operano in discipline distinte siano diverse porta l’autrice a formulare l’ipotesi che sia necessaria, da parte delle istituzioni, l’adozione di politiche che tendano a sbilanciare, in un primo periodo, le priorità tra scienziate e scienziati.
- Evidenti discriminazioni e molestie
La Rosser sostiene che si debbano rinforzare le politiche contro molestie e discriminazioni di genere e che uno dei mezzi migliori per raggiungere tale scopo sia sicuramente quello di aumentare flessibilità e comprensione all’interno del mondo accademico e scientifico, portando di conseguenza ad una maggiore collaborazione e creatività.
- Questioni finanziarie
L’ultima riflessione è incentrata sul fatto che le donne ricevano meno finanziamenti per la ricerca rispetto agli uomini. Questo, secondo la Rosser, accade perché le donne sono socialmente condizionate ad essere meno competitive dei propri colleghi, ed inevitabilmente ciò diminuisce le possibilità di ottenere successo in ambienti più prestigiosi.
Per concludere dobbiamo quindi renderci conto che il problema è, come accade sempre, molto più complesso di quello che potrebbe sembrare: le variabili e le cause da prendere in considerazione sono molte, e soltanto con la cultura possiamo, un passettino alla volta, migliorare il mondo in cui viviamo.