Articolo di Elena Russo
Venticinque anni fa l’Italia celebrava il suo primo Pride (ufficiale).
Era il 2 luglio 1994 e a Roma, per la prima volta, una moltitudine di persone proveniente da tutta Italia scendeva in strada per rivendicare la propria esistenza e i propri diritti. A 25 anni dai moti di Stonewall, si organizzò una parata che partiva da piazza Santi Apostoli e arrivava a Campo de’ Fiori, nel pieno centro della Capitale. Si contarono più di diecimila presenze, un successo oltre ogni aspettativa. Una sola macchina era in testa al corteo, si udiva qualche slogan proveniente dai megafoni, fischietti e tamburi scandivano il tempo dei cori e poi, immancabili, gli striscioni e i cartelloni tenuti in alto con grande orgoglio.
Il primo Pride italiano venne organizzato dal Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli dopo un difficile accordo con Arcigay. Una decisione maturata durante il VI Congresso Nazionale Arcigay, tenutosi dal 30 aprile al 2 maggio 1994 a Riccione. A quel tempo la sigla LGBT non era diffusa, per questo il titolo del congresso era: “Visibilità Gay e Lesbica delle Libertà e dei Diritti Civili”. L’assemblea poneva l’esigenza di organizzare un’iniziativa europea a Roma, in occasione della giornata dell’orgoglio. Il Congresso si svolse tra le storiche elezioni del 1994 e l’avvio del primo governo Berlusconi, anno in cui la politica italiana avrebbe subito un rapido cambiamento verso il bipolarismo e l’abbandono dei vecchi partiti della Prima Repubblica. Prima di allora c’erano state altre sporadiche iniziative, ma nella discussione precongressuale si sottolineava soprattutto la “difficoltà di realizzare grosse manifestazioni pubbliche”. Erano anni in cui l’omosessualità non era visibile e, se lo era, veniva associata soprattutto allo stigma dell’AIDS. Inoltre, non c’era apertura né confronto tra i circoli e i localy gay e la realtà esterna. Altra problematica sottolineata dal Congresso era infatti una totale mancanza di visibilità: si dichiarava che il 99% di gay e lesbiche fosse invisibile. A partire dal giugno 1994 la rivista “Babilonia”, per ovviare al problema, lanciò un’iniziativa e cominciò a pubblicare foto di donne e uomini che decisero di dichiararsi pubblicamente omosessuali.
La manifestazione del 2 luglio 1994 fu perciò una rivoluzione per l’Italia: si manifestò contro l’odio e la violenza, per i diritti e per le differenze, ma soprattutto si manifestò per rivendicare la propria esistenza. Per la prima volta, si ebbe la consapevolezza di essere un gruppo, una comunità forte e presente, pronta a lottare per i propri diritti. “Una battaglia per la visibilità”: è così infatti che Franco Grillini, ex Presidente Arcigay, parlò dell’evento.
Tra i partecipanti al primo Gay Pride italiano spiccano i nomi di Vladimir Luxuria e Imma Battaglia, e i primi testimonial Simona Izzo e Ricky Tognazzi, reclutati per caso mentre cenavano in un ristorante della zona. E ancora l’allora Primo Cittadino Francesco Rutelli e la parlamentare europea tedesca Claudia Roth, promotrice della risoluzione europea per i diritti degli omosessuali. Da piazza Farnese, su di un palco improvvisato su assi traballanti, vennero pronunciate a gran voce le prime parole di rivendicazione.
Il giorno dopo La Repubblica scriveva:
«Come nella grandi manifestazioni operaie degli anni ’70, anni di tensione e di dure battaglie sindacali, sono stati distribuiti fischietti e tamburelli. La rabbia mista alla gioia di poter uscire finalmente allo scoperto, di poter manifestare tranquillamente la propria tendenza sessuale, spinge uomini e donne, giovani e anche anziani a soffiare con forza in quei fischietti il proprio desiderio di libertà e di rispetto.
Ci sono tutti e c’è un po’ di tutto. Timidi e estroversi, incazzati e gentili, separatisti e pluralisti. Destri e sinistri. Quelli che hanno votato Forza Italia e i fedelissimi dell’Arci gay e dei vari circoli culturali omosessuali. Moltissime anche le lesbiche che in alcuni momenti prevalgono persino sugli amici omosex. Ma c’è soprattutto una felicità che sembra trasudare da ogni lato».

Prima del ’94
Ma come si è arrivati al primo Gay Pride di Roma del 1994? Qual era la posizione delle associazioni, la presenza della comunità nelle piazze, quali erano le lotte?
La prima rivolta della comunità LGBT+ italiana risale al 5 aprile 1972. In quell’occasione le associazioni e gli attivisti si mobilitarono per interrompere un convegno sulla sessualità organizzato dal Centro Italiano di Sessuologia a Sanremo. Tra i vari temi, il convegno proponeva “terapie per curare l’omosessualità”. Trattamenti ipnotici, incontri con “donne belle e compiacenti”, elettrochoc mirati a produrre lesioni al cervello: queste erano solo alcune delle assurde proposte dei relatori. Lontani dal 1990 (anno in cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità depennò l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali), gruppi di militanti come il F.U.O.R.I. (“Fronte omosessuale rivoluzionario italiano”) e alcune associazioni straniere provenienti dalla Francia, dal Belgio e dal Regno Unito, si posizionarono all’ingresso del Casinò dove si svolgeva il convegno per manifestare pacificamente.
Successivamente, dal 19 al 25 giugno 1978, a Torino si svolsero due importanti iniziative: il sesto congresso del F.U.O.R.I. e la prima “Settimana del film omosessuale”.
Bisogna arrivare al 1979, e più precisamente al 24 novembre, per vedere la prima marcia del Movimento omosessuale italiano, che si svolse a Pisa ed è conosciuta come Pisa79. Fu la prima manifestazione omosessuale patrocinata da un Comune e autorizzata dalla Questura e per questo motivo è considerata spesso come il primo Gay Pride italiano, sebbene non “ufficiale”. La marcia fu organizzata dal Collettivo Omosessuale Orfeo come reazione all’omicidio di Dario Taddei, un uomo omosessuale di 48 anni, ucciso a Livorno da un gruppo di ragazzi che gli spararono a causa del suo orientamento sessuale. In Italia d’altronde non erano rari i casi di violenza contro la comunità omosessuale e transessuale. Il 24 novembre 1979 a Pisa scesero in strada circa 500 persone e, anche se non mancarono episodi di protesta, la manifestazione venne accolta in maniera positiva dalla cittadinanza.
Negli anni successivi furono molti i tentativi della comunità LGBT di organizzare incontri, spettacoli e iniziative culturali. A Roma nel 1983, anno del Giubileo, si tennero ad esempio tre giornate dedicate alla comunità e culminate con un’esibizione teatrale in Piazza Farnese. A seguito di quello che fu un vero esperimento carico di tensioni, la stampa gay italiana incitò a scendere in piazza e imitare le grandi manifestazioni americane, ma diversi erano i problemi organizzativi.
Qualche anno più tardi e precisamente il 28 giugno 1988, 102 omosessuali firmarono con nome e cognome sulle pagine di La Repubblica Milano un augurio a tutta la comunità in occasione della giornata dell’orgoglio. Nel 1989, più di cento persone scesero in piazza a Milano, per raddoppiare di numero l’anno successivo. Sempre Milano ospitò (rispettivamente nel 1991 e nel 1992) una grande festa per i diritti gay nella discoteca Rolling Stones con mille partecipanti e un evento durante il quale una coppia di donne e nove di uomini si unirono civilmente e simbolicamente, con tanto di lancio di riso e bouquet. Arriviamo così al 1993, anno precedente il Gay Pride di Roma del 1994. Mentre al Gay Pride di Washington si contavano un milione di presenze, in Italia ci si muoveva ancora lentamente tra eventi piccoli e grandi, come il simbolico matrimonio gay a Palermo.
Dopo il ’94
Lo dicevamo, il Pride di Roma del 1994 fu una rivoluzione e il successo di quell’evento si replicò a Bologna un anno dopo: nel 1995, diecimila persone sfilarono infatti tra le strade bolognesi. Quello stesso anno, dal palco del Verona Pride, Franco Grillini propose di fare una grande manifestazione a Roma nel 2000, anno del Giubileo. Si decise così per un “World Pride”. Nel 1996 l’onda dei Pride travolse anche il sud, arrivando a Napoli. Quegli anni di vittorie però precedevano l’arrivo di una crisi all’interno del movimento: Mario Mieli propose di rompere il monopolio politico esistente all’interno del movimento omosessuale e quindi smantellare l’organizzazione di Arcigay Nazionale. Si organizzarono Pride separati, guidati da Mieli e Arcigay. Si registrò un calo di presenze drastico: nel 1998 a Roma c’erano circa quattromila persone a manifestare. Furono anni di riorganizzazione e di preparazione a ciò che sarebbe venuto dopo.
Nel 2000 il World Pride a Roma alla fine si fece, ma organizzarlo fu tutt’altro che semplice. Alcuni gruppi anti-Arcigay chiesero che le decisioni venissero prese con il principio “una organizzazione – un voto”: in questo modo Arcigay avrebbe avuto a disposizione un unico voto, ma avrebbe pagato la maggior parte delle spese, poiché si era deciso che queste venissero ripartite tra le associazioni in base al numero di soci. Arcigay lasciò l’organizzazione e pian piano anche altri gruppi abbandonarono. A tentare di ostacolare la buona riuscita del Pride, ci provò anche il Vaticano che, non accettando che la manifestazione si svolgesse proprio nell’anno del Giubileo a Roma, chiese al Governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema che l’evento venisse spostato in un’altra città o quantomeno che fosse rinviato. La risposta fu però negativa: per quanto “comprendesse le ragioni”, il Premier disse che non poteva comunque assecondarle. A supportare invece le istanze della Chiesa ci fu Francesco Storace, all’epoca candidato di Alleanza Nazionale alla Regione Lazio. Immediato perciò fu il sostegno del Cardinale Camillo Ruini, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, alla candidatura del politico: un sostegno che prese le forme di una campagna elettorale per fare cadere il governo D’Alema.
Furono giorni di intense polemiche ai danni della comunità LGBT+. Il sindaco Francesco Rutelli negò il patrocinio al World Pride ma questo portò le associazioni a unirsi nuovamente, questa volta con una nuova forza e un obiettivo comune. L’8 luglio 2000 infatti in Italia il World Pride si fece e fu un successo: inizialmente si parlò di un milione di presenze e, anche se probabilmente erano la metà, ciò che è certo è che fu un evento senza precedenti. Donne, uomini, bambini, omosessuali, transessuali, etero: le cronache narrano di “una marea di gente multicolore”. Si manifestava contro l’atteggiamento omofobo della Chiesa cattolica e dei politici italiani che si erano schierati contro l’evento. I giorni che seguirono non placarono le tensioni scaturite da questa straordinaria manifestazione e Giovanni Paolo II definì il World Pride “un’offesa ai valori cristiani”.
Nel 2007 un’enorme affluenza si registrò ancora una volta al Pride di Roma, organizzato in risposta al “Family Day”. Dal 2014, di comune accordo, le associazioni LGBT+ hanno deciso di abolire la forma del “Pride nazionale” e riunire idealmente sotto un unico movimento le varie iniziative sparse sulla Penisola con il nome di “Onda Pride”.
A che punto siamo?
Sono passati 25 anni dal primo Pride italiano e viene perciò spontaneo chiedersi a che punto della strada siamo. La cosa certa è che non ci siamo mai fermati. Di anno in anno i Pride in Italia, gli eventi e la sensibilità intorno alle tematiche LGBT+ sono aumentati, così come il dibattito all’interno della Chiesa e della politica. Quest’anno i Pride organizzati in Italia sono 40: da maggio a settembre, da nord a sud, l’onda arcobaleno travolge la Penisola con forza e voglia di lottare. E se c’è una cosa che i militanti delle varie realtà LGBT+ hanno capito è che solo unendo le forze si possono cambiare le cose.
Di passi avanti, dal 1994 a oggi, se ne sono fatti: la visibilità della comunità si è estesa fino a comprendere sempre più sfumature dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere e nel 2016 sono arrivate le Unioni Civili, primo grande segnale di cambiamento. Di contro viviamo in un contesto storico in cui giornalmente la comunità LGBT+ subisce attacchi pubblici da parte di media, politici e figure religiose ed è ancora oggi vittima di discriminazioni e aggressioni. E, come se non bastasse, secondo la Classifica Rainbow Europe redatta da ILGA – Europe, l’Italia si posiziona al 32esimo posto su 49 Stati per quanto riguarda i diritti e la qualità della vita della comunità LGBT+. Tanto insomma c’è ancora da fare, tanto ancora da ottenere ed è anche per questo che i Pride hanno un ruolo fondamentale in questa battaglia. Partecipare ai Pride infatti è un primo importante passo per affermare esistenza e diritti, per lottare insieme, proteggere e continuare a conquistare spazi e visibilità.
Ieri come oggi, il Pride in tutte le sue forme è un atto politico e civile necessario.