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Il semplice superiore a tutto: il lesbismo nell’Arte dell’Ottocento.
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Il semplice superiore a tutto: il lesbismo nell’Arte dell’Ottocento.

Articolo di Rossella Ciciarelli

Vi siete mai trovati ad interrogarvi sulla presenza dell’omosessualità nell’arte? A chiedervi se e come nel passato si sia voluto rappresentare questo tema attraverso la pittura ed i testi letterari?
Io, non solo da appassionata e studentessa di storia dell’arte, ma anche da donna queer, sì; sono sempre alla ricerca di rappresentazioni di identità simili alla mia, e che si tratti di ritrovarle nell’arte e nella letteratura, piuttosto che nella cultura pop o nei media fa poca differenza.
La ricerca che è nata da queste domande mi ha portata a raccogliere i dati necessari per condurvi oggi, insieme a me, in un viaggio volto a scoprire come l’arte e la letteratura ottocentesca abbiano trattato il tema del lesbismo.
Impostate dunque le coordinate corrette – Parigi, 1866 – e partiamo da Il Sonno, un dipinto di uno dei miei ‘ribelli’ preferiti, Gustave Courbet.
Pronti? Allons-y!
(Disclaimer: ogni riferimento a Doctor Who presente in quanto scritto fin qui è puramente casuale.)

Courbet, in quanto padre del realismo, mirava a mostrare la realtà il più obiettivamente possibile, e nel farlo sceglieva accuratamente i soggetti da rappresentare, ponendo la propria attenzione proprio su quelli che solitamente venivano ignorati o idealizzati dall’arte ‘alta’.
Con le sue raffigurazioni del “gradino più basso” della società, di persone della classe operaia, prostitute e contadini, il realismo portava con sé importanti implicazioni socio-politiche che non lasciavano indifferenti molti borghesi benpensanti.
Consapevole di ciò, Courbet amava scioccare il suo pubblico e viveva di controversie: se avete in mente L’origine del mondo, un’opera in cui l’artista rendeva i genitali femminili, con tanto di peli pubici, il centro focale del dipinto, potete facilmente capire di cosa io stia parlando.
Nel 1866 l’artista portava a termine due tele: questa e Il Sonno, che venne esposta pubblicamente solo nel 1988.


A dispetto del titolo vago, l’opera lascia pochi dubbi sulla natura dell’abbraccio esausto delle donne (enfatizzata anche dal nastro di perle rotto e dal fermaglio sparso sul letto). Courbet si concentra sulle due figure avvolte in una languida carezza e c’è poco a distrarre dall’immagine dei due nudi. Coerente con la sua estetica realista, l’artista non oscura il suo soggetto con sottigliezze decorative o ambiguità convenienti, ma al contrario intensifica l’impatto dell’immagine raffigurando con grande chiarezza la carne e il sonno affaticato dopo un intenso incontro romantico.
Le linee e le curve intrecciate delle figure sono accentuate dal contrasto fra le diverse carnagioni delle donne, un motivo che Courbet riprende dalle popolari immagini erotiche ottocentesche, dove questo tipo di raffigurazioni erano più frequenti. Ad ogni modo, un aspetto assai più importante del realismo dell’artista è la sua manipolazione di immagini tradizionali e, su questa scia di studi, si è evidenziato come Il sonno (o Le dormienti che dir si voglia) possa essere visto come un’interpretazione realista del tema lesbico implicito nel mito di Diana, che presenta un episodio in cui Giove per sedurre la ninfa Callisto prende le sembianze della Dea della Caccia.
Questo soggetto era stato raffigurato frequentemente nel secolo precedente ed è possibile che Courbet avesse in testa una qualsiasi di queste rappresentazioni settecentesche, da quella di Fragonard a molte altre.
All’interno dell’opera dell’artista, la sua trattazione del lesbismo è legata alla trasformazione del mito, da cui sembrava partire per poi togliere ogni cornice allegorica che possa allontanare dalla realtà.
Osserviamo un’altra tela ultimata solo due anni prima, Il Risveglio .
Le protagoniste questa volta dovrebbero essere Venere e Psiche e il soggetto la gelosia provata dalla prima per la bellezza della seconda, ma, ancora una volta, Courbet sommerge la storia mitologica, tentando di presentarci più concretamente un conflitto d’amore.

Immagini come queste, rappresentanti l’amore fra donne, possono essere lette sia come indici di un’attitudine personale dell’artista nei confronti della sessualità che come riflesso di un programma ideologico o estetico.

Giunti a questo punto del viaggio infatti, è utile ricordare che, sebbene nel diciannovesimo secolo categorie come “omosessuale” e “eterosessuale”  non esistessero –  almeno non con questi nomi – l’omosessualità è sempre stata una realtà concreta verso la quale, anche sotto la spinta del naturalismo, si iniziava a provare un certo interesse: c’era un crescente desiderio di categorizzare ed etichettare queste sessualità.
Il tema lesbico diventò presto, dunque, un elemento iconografico diffuso nel realismo, tanto fra artisti, che vennero influenzati da Courbet, quanto fra scrittori e poeti: andiamo a far visita ad alcuni di loro.

Se per esempio decidessimo di fare un salto di qualche anno in avanti e di entrare nel celebre Moulin Rouge, sarebbe facile per noi imbatterci in Henri Toulouse-Lautrec, il personaggio bizzarro che compare anche nel  musical che porta il nome del locale parigino.
E’ in questo genere di posti – bordelli, cabaret – che il pittore sceglieva di passare le sue serate, cercando di catturare il fascino che provava per la vita  “dietro le quinte” delle prostitute che rappresentava, con empatia e schiettezza, in pose naturali: riposando, parlando insieme, aspettando i clienti, scambiandosi sguardi e gesti d’amore, svegliandosi dopo aver dormito l’una accanto all’altra alle prime luci dell’alba.

Nelle tele della serie di Au lit, le baiser, la suggestione è resa esplicita in quanto queste ritraggono donne a letto che si scambiano baci o carezze.
Lautrec, che una volta commentò la scelta di due prostitute distese su un divano come soggetto affermando che “Ciò è superiore a tutto. Niente può essere paragonato a qualcosa di così semplice“, è stato capace di restituirci, nelle sue opere, l’affetto e l’amore nella loro naturalezza, eliminando qualsiasi pregiudizio che potesse infangarli.


Negli stessi luoghi urbani si muoveva anche Degas.
In contrasto con l’empatico atteggiamento di Lautrec, il realismo di quest’ultimo era però in qualche modo più duro, soprattutto nel momento in cui dall’allusione passava ad affrontare la tematica in maniera più esplicita.
Ci rimangono due monotipi, l’uno rappresentante una figura stesa nella posa della classica Odalisca e baciata sulla bocca dalla sua compagna, l’altro una scena di sesso orale.

Se Courbet è il padre della pittura realista, Zola lo è della sua controparte letteraria e nel 1880 dava vita a Nana, il romanzo che fra quelli presenti nel ciclo Les Rougon Macquarte – con cui lo scrittore si proponeva di raccontare ogni pezzo della società francese – dà maggiore importanza ad una storia d’amore al femminile per portare avanti la narrativa. La protagonista è per l’appunto Nana, un’attrice che nel corso della storia cambia il proprio atteggiamento nei confronti del lesbismo; inizialmente ne è repulsa, specialmente dalla relazione fra la sua amica Satin e Madame Robert, ma, in un secondo momento, buttata fuori da un attore con cui stava vivendo, Nana trova conforto proprio fra le braccia dell’amica, con cui inizierà e porterà avanti un’intensa relazione. Verso la fine della storia, la sua ricerca insaziabile per il piacere inizia tuttavia a corrompere la sua vita e quelli accanto a lei, e anche la sua relazione con Satin ne cade vittima. Il romanzo è un’allegoria della dissolutezza e dell’inevitabile autodistruzione della società del tempo e anche se la relazione di Nana con Satin è più amorevole e onesta di qualsiasi suo coinvolgimento eterosessuale, Zola tratta l’amore lesbico come solo un’altra espressione della sua profonda corruzione e immoralità.

La rigida distinzione fra ciò che veniva considerato morale e cosa invece non lo era, insita nella cultura del tempo, si insinuava anche nelle menti di quanti cercavano di porsi in contrasto con essa, dandosi come obiettivo la rappresentazione della realtà o predicando un’arte fine a se stessa, libera da condizionamenti esterni, anch’essa espressione di una lotta volta a liberarsi dalle convenzioni borghesi.
E’ il caso di Baudelaire, un ‘outsider’ non del tutto libero dai vincoli morali della società, che nelle sue poesie raccontava l’ attrazione e il desiderio, ma li caricava di rimorso e senso di colpa; ciò è particolarmente evidente in due poesie de I Fiori del Male – il cui titolo in origine era, ricordiamolo, ‘Les Lesbiennes’ – entrambe intitolate Femmes damnées, che presentano le donne come vittime di un amore tormentato e angosciato, lacerato da passioni insaziabili e sterili.

“Abbiam dunque commesso un’azione strana?
Spiega se puoi il mio tormento e spavento:
Tremo di paura quando mi dici: ‘Mio angelo!’
E, tuttavia, sento la mia bocca andar verso te.
Non guardarmi così, tu, mio pensiero!
Te che amerò per sempre, mia sorella d’elezione,
Anche se tu fossi un’insidia tesa
E l’inizio della mia perdizione!”
Delfina, scuotendo la tragica chioma,
E come scalpitando sul treppiede di ferro,
L’occhio fatal, rispose con voce dispotica:
“Chi dunque, davanti all’amore, osa parlar d’inferno?”

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Al contrario, i sei poemi a tema lesbico di Verlaine, pubblicati con il titolo Les Amies, sono liberi da questo conflitto morale: l’amore è presentato come sereno e soddisfacente, è idealizzato nella sua bellezza ma è al contempo reale e fisico.
Collegando l’amore al progresso sociale nel suo Le Nouveau Monde Amoureux Fourier si sbilanciava ancor più affermando che “le lesbiche parigine difendono la libertà più di chiunque altro”.
Di questa corrente liberatrice fecero attivamente parte anche donne, come George Sand (pseudonimo di Aurore Dupin) che fu la prima scrittrice a parlare di piacere e desiderio fra donne nel suo romanzo Lelia, o la pittrice Rosa Bonheur che ruppe a sua volta numerosi tabù: visse apertamente con la compagna in una relazione pseudo matrimoniale durata circa 40 anni e usava spesso abiti maschili che meglio le consentivano di svolgere il suo lavoro. Artista onorata con la legione d’onore, la Bonheur dimostrò che il suo orientamento non doveva essere un ostacolo al successo professionale, e che la libertà sessuale era inestricabilmente legata a quella culturale e sociale.

Insomma, viaggiando nel tempo si potrebbe decidere di rimandare all’infinito il momento del ritorno, ma credo sia il caso, per ora, di tirare le somme.
Il punto è che, nel secolo visitato, per quanto queste rappresentazioni non fossero tutte ugualmente positive, è attraverso l’arte in senso lato che la società iniziava ad aprirsi a tali tematiche, a costruire narrazioni che spingevano ad andare oltre i tabù e vedere che ciò che si considerava inesistente o deviante, era in realtà qualcosa di semplice ma superiore a tutto, per parafrasare Lautrec: Amore.

 

Fonti:
Dorothy M. Kosinski, Gustave Courbet’s “The Sleepers”: The Lesbian Image in Nineteenth-Century French Art and Literature, 1988.
George Haggerty e Bonnie Zimmerman, Encyclopedia of lesbian and gay histories and cultures, 2000.

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