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Fare network e rompere gli schemi in base ai quali non può essere una donna a mixare un disco: al telefono con le I’m Not A Blonde (But I’d Love To Be Blondie)
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Fare network e rompere gli schemi in base ai quali non può essere una donna a mixare un disco: al telefono con le I’m Not A Blonde (But I’d Love To Be Blondie)

I’m Not A Blonde (But I’d Love To Be Blondie) sono Camilla Matley e Chiara Castello, polistrumentiste e compositrici milanesi molto ironiche. A partire dal nome, che gioca con la sciocca supposizione della stupidità delle bionde e con la diceria che se sei donna puoi solo essere un’interprete dalla bella voce.
Loro sono un duo di stampo electro-pop dai gusti poliedrici che richiama ritmi e synth degli anni Ottanta e le chitarre punk anni Novanta.
Dal 2014 ad oggi hanno pubblicato una trilogia di EP di tre pezzi ciascuno, e un disco, Introducing I’m Not A Blonde, che include i nove brani estratti dagli EP e tre remix realizzati da Yakamoto Kotzuga, Green CableKole Laca de Il Teatro Degli Orrori.
Qualche tempo fa mi sono sentita con Camilla: mi ha raccontato chi sono, come lavorano e come la pensano.

Quando vi siete incontrate tu e Chiara? Come ha avuto origine il progetto I’m Not A Blonde?
Io e Chiara ci conoscevamo di vista perché frequentavamo la stessa scuola di musica e l’ho chiamata mentre ero intenta a cercare la cantante per un gruppo in cui suonavo; poi il gruppo non è andato avanti e ci siamo trovate io e lei in sala prove a cazzeggiare e a vedere cosa succedeva.
Ci siamo prese una grande libertà di provare, sperimentare e ci siamo rese conto che le cose che venivano fuori ci piacevano.
Abbiamo così scritto qualche brano e ci siamo trovate nella situazione in cui dovevamo capire cosa farne, in che forma e come farli uscire.
Facendo un po’ di ricerca ci siamo trovate tra le mani un libro che dava dei consigli ai musicisti, sul come districarsi in questo mondo cattivone e difficile, e abbiamo seguito il consiglio di fare uscire un EP e legarci un’idea, l’ironia.
Di fatto è nato tutto per provare, giocare, sperimentare.

Cosa ne pensate dell’utilizzo dell’aggettivo “femminile” nella descrizione di un genere suonato da musiciste o di un gruppo di sole donne?
Non so dirti se mi piaccia o no ma penso sia un plus.
Mi baso sul preconcetto che c’è una differenza: è il mondo esterno che ci dice che siamo diversi, basti pensare a come non vengano accolti allo stesso modo, e non vendano in egual numero di copie, un gruppo maschile e uno femminile, oppure un cantante maschio e una cantante femmina.
La differenza esiste, c’è nella società ed è evidente.
Se a me viene detto che quel gruppo è femminile per me quindi è un plus, lo vedo come un punto di forza, un dare valore.

Non ti sembra enfatizzi negativamente una diversità rimarcandola e, contestualmente, alimenti il suo essere trattato differentemente?
Se c’è una differenza, secondo me è positiva.
Fino a quando non si arriverà – e sì arriverà – a una parità non mi darà fastidio venga sottolineato il fatto che un determinato brano/album sia stato pubblicato da un’artista donna.
Fino a che non si arriverà alla parità è utile evidenziarlo, farlo notare.
Del resto fino a fine Ottocento le donne non potevano suonare in concerti cento anni fa, se tralasciamo le lezioni prese a casa. La conquista della donna di poter farsi sentire nell’ambiente musicale non è proprio così recente.
Consideriamo poi che i termini di paragone femminili ci sono, ma non sono quanti quelli maschili.

… I modelli maschili del resto – e purtroppo – sono sempre stati di più in ogni settore. Quali sono i vostri punti di riferimento, i vostri modelli, nella sfera musicale femminile?
Ce ne sono tanti! I miei ascolti passano da diversi generi e ascolti: Tori Amos, PJ Harvey, Patti Smith, Diane Krall, e molte altre.
Debbie Harry – per quanto noi ci scherziamo perché lei è una donna super sexy – come musicista, e parlo personalmente, non mi ha cambiato la vita o fatta emozionare come le altre, non è stato un riferimento: lo è stato più come icona, come simbolo.

Qual è stata la persona o l’ascolto che ti ha spinta ad iniziare a suonare e studiare musica?
La cosa sembra patetica ma è vera: è iniziato tutto da mia nonna! Se dobbiamo partire dagli albori, li prendiamo veri! (Ride, N.d.R.)
È stata una mancata cantante lirica all’epoca in cui le donne non potevano liberamente lasciare la famiglia. Infatti, nonostante avesse grosse doti, suo padre le ha impedito di uscire di casa fino all’arrivo “dell’uomo da marito”.
Ma la sua passione per la musica non l’ha mai persa.
Ed io ho passato tanto tempo con lei, in una casa in cui la musica non mancava mai.
Pensa che da piccola, a Mantova, c’era l’UPIM con la sezione tastiere, e io, quando mi ci portava, volevo suonarle tutte. Mi teneva tutto il tempo che volevo per provarle!
Quindi lei è stato l’archetipo.

In cosa è differente (se ci sono differenze) il presente come I’m Not A Blonde dalle vostre precedenti esperienze musicali in termine di approccio, composizione e di creazione dei brani?
Una cosa molto bella e diversa dai nostri progetti precedenti è sicuramente il fatto di poter usare programmi che ti permettono di produrre in casa, il che rende tutto più veloce.
C’è poi un continuo rimando tra me e Chiara: io parto da un’idea che magari è una chitarra o un loop di batteria, la mando a lei che ci canta sopra una melodia e mi rimanda il file.
È una scrittura continuamente fatta a quattro mani e per quanto possibile cerchiamo di non darci limiti nel genere che facciamo nonostante sia difficile. Ti rendi conto che se non ti riesci a far inquadrare, il pubblico fa fatica a collocarti. Ma quello che vorremmo fare noi è continuare ad essere il più slegate possibile da questi canoni.
Bisogna anche dire che io e Chiara abbiamo una formazione ed ascolti diversi e che questo influisce sui nostri brani: io sono più per gli anni Ottanta ed il rock, lo strumento col quale scrivo è la chitarra. Lei ha una modalità di composizione differente.
Qualcuno, quello che ne facciamo venire fuori, l’ha definito un calderone ma non è così…

…è uno scambio continuo di background, ispirazioni, influenze e gusti, e ne viene fuori un prodotto che è speciale.
Esatto, sì.

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La musica per voi è uno strumento per sensibilizzare o è un mezzo di introspezione ed espressione del vostro mondo interiore?
Penso che per noi sia principalmente un momento di introspezione e ricerca personale.
Sicuramente non nasciamo come un gruppo di protesta.
I nostri testi li scrive Chiara, tendenzialmente parlano di un immaginario privato, esperienze personali o riflessioni legate alla propria vita.
Quel che posso dire è che per noi è una forma di protesta cercare, per quanto possibile, di fregarcene dei canoni musicali di genere, e cercare di non farci spaventare troppo dal dover fare un genere unico.
Cerchiamo di essere indipendenti; per noi in questo momento la musica non è uno strumento di denuncia, però col tempo le cose, le persone e le necessità cambiano. Non sappiamo come andrà in futuro.
Ad ora la necessità è quella di esprimere ciò che abbiamo dentro e vogliamo fare.

In un mercato come quello musicale in cui sessismo e stereotipi dilagano, in che modo le donne possono sentirsi inserite e non discriminate?
Secondo me si può e si deve solo fare. Non tirarsi indietro e non spaventarsi.
Un cambiamento sta arrivando, e sono sicura arriverà presto.
L’unica cosa che si può fare è fare, fare, fare. Farsi vedere.
Peraltro, anche grazie ai cambiamenti che sono in atto da anni, le nuove generazioni sentono meno le differenze e gli stereotipi.
Piano piano le nuove generazioni inizieranno a vedere modelli diversi, autonomi, che non per forza equivalgono al sognare di “essere la moglie di”.
Una cosa in cui non siamo tanto brave rispetto agli uomini e sul quale dobbiamo ancora lavorare è l’aiutarci a vicenda, fare network. Gli uomini, per quanto riguarda il sostentamento del gruppo, sono più forti.

Il numero tre, che molto ricorre nella vostra produzione discografica, lo farà anche nelle prossime uscite? Quali progetti avete per il futuro?
La ricorrenza del numero tre non c’è più, c’è un altro tema!
Abbiamo registrato l’album nuovo la scorsa primavera, a metà maggio 2017 è uscito il nuovo singolo che si intitola A reason, un brano che abbiamo scritto assieme a Gian Maria Accusani (Sick Tamburo e Prozac+) e che ha prodotto Daniel Hunt, uno dei membri della band inglese Ladytron.
Questo singolo ha anticipato il secondo singolo Daughter e l’album uscito in autunno che si è inserito perfettamente nel tema del fare network tra donne di cui parlavamo poco fa: il video di A Reason è girato dalla videomaker Erika Errante e sarà mixato da Matilde Davoli.
Abbiamo voluto rompere gli schemi in base ai quali, per esempio, un tecnico, come chi fa il mix, non può essere una donna.
In linea alle nostre produzioni precedenti, il disco, a partire dalla copertina, è comunque molto ironico.

Tre brani di tre gruppi e/o musicisti/e (Blondie a parte!) ai quali siete legate e che ci consigliate di ascoltare?
Ti consigliamo gruppi e musicisti, poi qualsiasi pezzo dei loro album ci piace!
Partendo dal tema donna consigliamo Matilde Davoli, che è la persona che ci mixerà l’album, ed un’altra musicista che è una nostra carissima amica, Sarah Stride.
In ultimo, come band, suggeriamo un gruppo misto con quota rosa forte e personalità belle strong: La rappresentante di lista.

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