Fra le molte storie raramente raccontate di questo paese ce n’è una che riguarda gli omosessuali durante il periodo fascista, la cui sorte era spesso destinata al confino, lontano da tutto e tutti.
A queste persone (tutti maschi, perché le lesbiche, durante lo stesso periodo, formalmente non esistevano e venivano catalogate come malate mentali), venne imposto, inoltre, il silenzio e l’oblio, i cui effetti sono tuttora inevitabilmente visibili nella filosofia del “basta non parlarne”, che ancora macchia di intolleranza interiorizzata la nostra società.
La graphic novel In Italia sono tutti maschi, edita KappaEdizioni, scritta da Luca de Santis e illustrata da Sara Colaone, si prefigge di colmare (sia a parole sia con i disegni), un vuoto che ancora pesa come un macigno nella mente di molte persone, soprattutto in quelle che hanno, direttamente o secondariamente attraverso terzi, vissuto una delle fette più buie e tristi dell’Italia.
«Fin dal 1928, le autorità fasciste destinavano gli omosessuali (quasi solo maschi, ma il discorso sulle donne lesbiche sarebbe lungo), al confino, cioè al soggiorno obbligato in piccoli centri o isole soprattutto del Meridione per un periodo che andava da uno a cinque anni. Non a caso si era deciso di ricorrere al confino, cioè a una semplice misura di polizia: in questo modo tutto accadeva con la massima discrezione. […] Ma alla fine degli anni ‘30, l’offensiva contro i “pederasti” (così li chiamavano) assunse dimensioni ben maggiori.»
Partendo da un avvenimento storico denso di emozioni, Luca de Santis e Sara Colaone sono partiti alla volta di un viaggio spazio-temporale, che li ha portati a disegnare una sorta di meta racconto-cornice di un reportage a sua volta realizzato da Rocco e Nico che, nel febbraio del 1987, si sono adoperati per realizzare un documentario sul confino degli omosessuali durante il ventennio fascista.
Riscopertisi loro stessi registi di una storia già girata, ma allo stesso tempo anche già dimenticata, Luca e Sara riportano quindi alla nostra memoria non solo il viaggio di Rocco e Nico, ma anche quello dell’unico testimone che quel duo di ricercatori è riuscito a scovare: Antonio Angelicola detto Ninella (e in realtà la storia è basata sui fatti reali vissuti da Giuseppe B. e raccontati negli anni Ottanta da Giovanni Dall’Orto sulla rivista Babilonia, il cui estratto è presente in appendice a questa graphic novel).
Antonio Angelicola è un sarto salernitano, ormai settantacinquenne quando Rocco e Nico lo contattano per un viaggio a ritroso nei ricordi, ed è inoltre uno di quegli omosessuali, di quei maschi, condannati per “pederastia passiva” nel 1983. Come molti suoi contemporanei, Antonio si è ritrovato ad espiare questa sua (non) colpa sull’isola di San Domino nell’arcipelago delle Tremiti, dove gli echi della guerra risulteranno poi, paradossalmente, più lontani di quelli dell’oblio.
Sempre paradossalmente, quella che sulla carta è una condanna per il Regno d’Italia, per molti suoi concittadini e parenti è solo una parte della vita di Antonio, che è sì sbeffeggiata attraverso il nomignolo “Ninella” ma che, al contempo, è tollerata come insita nella sua natura.
Questo miscuglio di accettazione, tolleranza e condanna è, purtroppo, un’eredità che l’Italia ancora si porta sulle spalle, e che è bene ricordare e analizzare affinché il senso di vergogna nato dall’essere omosessuale (o dall’essere un componente della comunità LGBQIA+), svanisca all’interno della volontà di parlarne chiaramente e senza freni.
Attraverso espedienti di flashback interrotti dal dolore, constatazioni storiche e anche colpi di scena, In Italia sono tutti maschi alterna momenti di humor nero alla fiera consapevolezza e accettazione di sé dell’ermetico Antonio, la cui vita al confino (da intendersi sia come fisico/geografico sia come metaforico), si intreccia con quella degli altri detenuti e persino dei militari incaricati di sorvegliarli, sebbene a questi ultimi sia relegato un ruolo secondario.
Grazie a un dialogo/confronto con diversi passati, In Italia sono tutti maschi ci offre tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno per analizzare non solo l’attitudine di un’Italia passata, presente e futura nei confronti dell’omosessualità, ma anche quella che è la necessità di ogni individuo di auto-affermarsi attraverso la memoria, l’individualità e i diritti (anche quando questi ultimi vengono a mancare).
Il viaggio di Sara, Luca, Rocco, Nico e Antonio lascia quindi a noi in mano un’eredità importante e sfaccettata, il cui compito è quello di mantenere viva la memoria di chi, nonostante abbia subito soprusi (di qualsiasi tipo) e visto le proprie liberà personali sparire da un giorno all’altro, non ha mai smesso di combattere affinché le generazioni successive non fossero condannate a subire le stesse sorti.
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Omosessualità e fascismo: una piccola contestualizzazione storica e qualche fonte:
- Nel progetto del Codice Rocco del 1927 era previsto un articolo (il 528) che puniva con la reclusione da uno a tre anni i colpevoli di relazioni omosessuali. Il regime fascista eliminò tale articolo, poiché condannare qualcuno per reato di omosessualità equivaleva ad ammettere che gli omosessuali esistessero, e un buon fascista virile e maschio italiano di certo non poteva essere omosessuale.
«La Commissione ne propose ad unanimità e senza alcuna esitazione la soppressione per questi due fondamentali riflessi. La previsione di questo reato non è affatto necessaria perché per fortuna e orgoglio dell’Italia il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l’intervento del legislatore.»
Dalla relazione redatta dalla Commissione Appiani.
- La repressione dell’omosessualità (con conseguente confino) veniva quindi affidata alla polizia che, sulla base del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (promulgato con Regio decreto n. 773 il 18-6-1931), poteva condannare chiunque “desse scandalo”.
- E le donne omosessuali? Se per la storia degli omosessuali durante il ventennio fascista c’è comunque molto da scrivere, per quella di lesbiche e bisessuali c’è ancor più da raccontare, poiché la tematica è stata affrontata ancora meno (ed è più difficile raccogliere testimonianze e dati, poiché l’omosessualità nelle donne non veniva contemplata in toto).
Uno dei pochi libri che ha trattato l’argomento è R/esistenze lesbiche nell’Europa nazifascista di P. Guazzo, I. Rieder, V. Scuderi edito Ombre Corte. QUI ne potete trovarne una recensione.
Per quanto riguarda la storia degli uomini omosessuali al confino, invece, in La città e l’isola: Omosessuali al confino nell’Italia fascista di Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio, edito Donzelli, potete trovare molteplici testimonianze.
- Sulla storia delle lesbiche durante il fascismo c’è anche L’altro ieri (2002), un documentario diretto da Gabriella Romano che raccoglie quattro testimonianze di donne sull’omosessualità femminile durante il fascismo.