In occasione della tappa berlinese del loro tour da headliner, abbiamo incontrato le Saint Sister, progetto musicale nato dall’unione di Morgan McIntyre e Gemma Doherty. La loro musica è un magico miscuglio che trae linfa da elementi sonori caratteristici della loro terra natìa – l’Irlanda – nell’ondata folk degli anni ’60, uniti a sintetizzatori e componenti elettronici nonché al fascino dell’arpa elettroacustica. Il tutto condito da due incantevoli voci in perfetta armonia e testi a dir poco suggestivi.
Saint Sister è un progetto relativamente giovane, siete sulla scena dal 2014. Qual è stato il vostro percorso, da dove venite e come vi siete incontrate?
M: Ci siamo incontrate subito dopo aver finito il college. Frequentavamo entrambe la stessa università, eppure non ci conoscevamo, ci incrociavamo semplicemente di tanto in tanto. Facevamo parte del coro universitario, dove mi sono innamorata della voce di Gemma. Una volta finito il college, ero in una sorta di stato confusionario e immagino anche lei lo fosse: non sapevo come fare musica, volevo fare musica ma non sapevo in che modo. Desideravo e avevo bisogno di un complice e mi venne in mente Gemma. Così le chiesi di incontrarci per un caffè e, per fortuna, lei accettò. Da allora abbiamo iniziato a suonare insieme, pubblicato un EP e poi alcuni singoli. Ci è voluto un po’ di tempo per arrivare all’album perché per un lungo periodo ci siamo concentrate sul suonare dal vivo e non abbiamo messo da parte abbastanza spazio da dedicare alla scrittura. Ogni volta saltava fuori qualcosa di “più importante”. Per esempio abbiamo fatto un tour in Europa con Lisa Hannigan, un’opportunità incredibile per noi. Dopo un po’ ci siamo rese conto che avevamo bisogno di scrivere l’album e registrarlo. L’abbiamo pubblicato e ora siamo qui.
Cosa significa il nome della vostra band? Da cosa nasce?
G: All’inizio ci chiamavamo Oh Sister, ma poi abbiamo scoperto che a Londra c’era un’altra band con lo stesso nome, per cui abbiamo dovuto cambiarlo. Non siamo sorelle ma abbiamo entrambe una sorella. Conosciamo perfettamente questo tipo rapporto, l’avere un’altra donna nella tua vita, sperimentare questo tipo di vicinanza e apprezzarne il significato. Penso che tutto ciò abbia richiamato alla nostra mente il concetto di sorellanza e volevamo che quest’idea ci rappresentasse. Nel cambiare il nome, abbiamo pensato all’idea di “santo” per dargli più peso. Per dimostrare quanto importante e speciale tale rapporto possa essere.
M: Come qualcosa di spirituale e sacro.
La diversità di genere nell’industria musicale è ancora un miraggio. In quanto duo completamente al femminile, avete riscontrato delle difficoltà nell’emergere in questo mondo dominato principalmente da uomini? È qualcosa che percepite nel vostro quotidiano?
M: Assolutamente sì. È una cosa che esiste dappertutto e in tutti gli aspetti della vita, ed è così imponente che a volte è difficile persino definirla. So che il settore musicale è molto negativo da questo punto di vista. Molti generi sono prettamente maschili e molti ruoli decisionali sono ricoperti da uomini.
G: E in particolare nel campo tecnologico della musica, in quella sfera di produzione e ingegneria, del lavoro in studio. È ancora qualcosa di molto maschile, quindi si nota senza dubbio.
M: Penso che sia buffo poter contare su una mano il numero di ingegneri donne con cui abbiamo lavorato. Eppure abbiamo fatto un sacco di concerti. Essere circondata solo da ragazzi condiziona il modo in cui vivi e lavori. Per fortuna noi ci siamo l’una per l’altra, non so se potrei farcela da sola. Ho letto un’intervista a Laura Marling in cui dichiarava che, da giovane donna, trascorreva mesi solo con ragazzi e uomini, e uomini molto più grandi, perché sono loro a dominare quest’ambiente. Si tratta di una situazione difficile sia se davvero diretta ed esplicita (perché ovvia causa di squilibri), sia se sottile e quasi impercettibile perché comunque esposti a questo problema ogni giorno. E penso che sia più difficile per le giovani donne. Credo fortemente nell’idea che non si può essere ciò che non si può vedere. È come se una persona non pensasse di appartenere a questo spazio perché non vede persone che la rappresentano, che le assomigliano, che parlano delle cose di cui vuole parlare. Noi siamo state davvero fortunate e abbiamo lavorato solo con persone davvero in gamba. Ci sono stati lanciati dei commenti di tanto in tanto, ma cerchiamo di non concentrarci su questi. Non riceviamo del sessismo diretto da parte delle persone con cui collaboriamo in maniera continuativa. Semplicemente non lo tollereremmo.
Qual è la vostra canzone preferita di Shape of Silence, il vostro album?
G: Ognuna di noi ne ha una diversa. La mia è Steady, un brano che abbiamo pubblicato un paio di settimane fa. Si tratta dell’ultima canzone che è stata scritta per l’album. Poiché è la più recente, è anche la più fresca e quindi divertente da suonare dal vivo.
M: La mia è The Mater, ovvero l’ultima canzone dell’album. Per me è la più emozionante e quella che mi piace di più cantare dal vivo. Mi commuove ogni volta.
Questo è stato sicuramente un anno intenso per l’Irlanda, soprattutto con il referendum sull’ottavo emendamento. Sembra che una vena di giovane attivismo stia finalmente cominciando a manifestarsi. Credete che questi temi turbolenti e queste atmosfere siano in qualche modo veicolate dalla vostra musica?
M: Per quanto riguarda i testi, non ho cercato di scrivere intenzionalmente qualcosa di politico. Solo perché, ogni volta che ci ho provato in passato, il risultato non mi è mai sembrato sincero anche se siamo entrambe delle persone molto dedite alla politica. Per qualche motivo, quando cerco di inserire questi temi in una canzone, il risultato non è mai soddisfacente e quindi ho persino smesso di provarci. In questo momento c’è un’energia incredibile a Dublino e in Irlanda, soprattutto tra i giovani, e in modo particolare tra le giovani donne. Sono le persone con cui esco e con cui parlo tutti i giorni e scrivo canzoni basate su queste persone e sulle loro esperienze. Che ciò traspaia dalle canzoni è stupefacente, ma non è fatto di proposito. Siamo due giovani in Irlanda che hanno appena vissuto rivoluzioni straordinarie ed è stato molto speciale e travolgente farne parte. Quindi non dovrebbe essere una sorpresa che tutto questo abbia un’eco nei nostri testi.