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Intervista a Elia, ragazzo transgender

Intervista a Elia, ragazzo transgender

Articolo di Virginia Sofia Cerrone di Pureeros

Elia è un ragazzo tanto giovane quanto preparato che sta raccontando una storia di diversità importante. L’ho conosciuto su Instagram, perché il suo profilo mi aveva positivamente colpita, e l’ho incontrato dal vivo per la prima volta a Latina, in una giornata iper ventosa e con il mare in tempesta.

Elia ha 24 anni e da circa un anno ha iniziato a condividere con il mondo la sua storia e il suo processo di transizione: da donna a uomo. Da qualche mese ha iniziato una terapia ormonale a base di testosterone, che fa parte del percorso di transizione che ha deciso di intraprendere; mi spiega che è una sua scelta, perché ancora non si sente sicuro e vuole riuscire a sentirsi bene al 100% con se stesso, ma che è uno step di un percorso innanzitutto psicologico molto importante.

Ho scelto di riportarvi la mia chiacchierata con Elia perché è importante parlare della sua vita e di quella di tutte le persone transgender, per raccontare delle storie vere, vissute sulla pelle. È importante farlo per scontrarsi con la discriminazione a ogni livello, per educare alla diversità, per dare voce a chi non ne ha, per supportare persone lontane dalla normatività.

Durante questa chiacchierata, Elia mi ha raccontato che un giorno, al mare, una mamma coprì gli occhi al figlio che stava sorridendo a Elia, quando lui le disse di essere trans. Queste cose non dovrebbero succedere: dobbiamo, tutt* insieme, educare perché non accadano più.

Quando hai sentito che eri diverso?

Più o meno da sempre, fin da bambino. Non tanto il fatto di essere diverso, quanto il fatto che gli altri mi ingabbiassero in qualcosa che io non sentivo di essere. Io mi sono sempre sentito Elia, ma di fatto per gli altri non lo ero. Mi rendevo conto che le persone mi attribuivano e si aspettavano da me comportamenti, un modo di essere, un aspetto che io non sentivo assolutamente essere il mio. Ho finito da adolescente per odiare il mio corpo, non lo sentivo mio e pensavo fosse sbagliato; lo martoriavo, non me ne prendevo cura. Sapevo di essere diverso ma perché mi rendevo conto di non comportarmi come i miei amici e non ne capivo il motivo. Loro andavano al mare senza alcun problema, io invece mi sentivo molto a disagio a indossare il costume e non sapevo perché. Con gli anni ho capito che questa idea di avere un corpo sbagliato non è vera: il mio corpo non è sbagliato, non è privo di valore perché è comunque mio. Ho capito cosa vuol dire soffrire di disforia. A 17 anni ho iniziato a prendere in mano questa “sensazione” e ho di fatto scoperto chi sono le persone trans: non ne avevo idea.

Molto tristemente pensavo che una donna (o persona) trans fosse una persona che si prostituisce. Come molti, ho cercato informazioni su Internet. Ricordo di aver digitato “Come essere una persona transessuale?”. Ovviamente ho trovato di tutto, sono stato anche molto male, perché su Internet si trova ogni cosa, incluse tantissime falsità, offese e teorie transfobiche di vario tipo. Non sapendo nulla sull’argomento non è stato facile.

Quando la tua identità biologica non concorda con la tua identità di genere si soffre di disforia; ma non tutte le persone disforiche vogliono necessariamente cambiare il loro corpo. Penso che anche questa idea sia frutto della società, che in qualche modo impone alle persone disforiche di dover voler cambiare il proprio corpo per poter essere valide o transgender. Io invece credo che se una persona si sente transgender, questa sia una condizione sufficiente per essere un/a transgender valido/a. Ho capito che non c’è un modo per essere persone trans. Adesso che sono più consapevole di chi sono, riesco a fare delle scelte che sono giuste per me nei confronti di come voglio che il mio corpo sia. Mi piacciono i capelli lunghi e me li tengo. Mi metto lo smalto. Non per questo sono meno trans o meno uomo.

Mi hai detto che il percorso di una persona trans è molto lungo e che prevede diversi step: una valutazione psicologica, una certificazione, una valutazione medica, la terapia ormonale e la fase chirurgica. Non sono tutte obbligatorie e ognuno può scegliere fin dove arrivare. Qual è la tua esperienza e opinione in merito?

È fondamentale rivolgersi a dei centri specializzati e rinomati in disforia di genere. Il primo passo è iniziare un percorso psicologico che serve principalmente per accertarsi che la persona soffra di disforia di genere. Per questo lo dico sempre: siate sicuri di rivolgervi a un centro che è specializzato in questo. Il percorso di transizione è una cosa dalla quale non si torna indietro: è importante quindi essere sicuri di soffrire di disforia di genere. Il percorso psicologico dura minimo sei mesi, può essere fatto in strutture convenzionate e una o più volte a settimana, dipende. A Roma io ho pagato 30€ a seduta.

Quando questa prima fase è finita, si riceve un certificato che attesta che soffri di disforia di genere. Dovrebbe essere una formalità e invece la burocrazia prende il sopravvento. Ho aspettato 4 mesi per averlo, quattro lunghissimi mesi – e nessuno sa il perché. Ma so di non essere stato un caso isolato o sfortunato. Non vedevo l’ora di poter iniziare a prendere il testosterone, a livello psicologico queste attese sono devastanti.

Finalmente ottengo il certificato e assieme a questo un altro stop – che non avevo previsto. Questo sempre perché c’è poca chiarezza rispetto a quale sia davvero l’iter di transizione. Dovevo fare una valutazione medica, un day hospital. Ho capito quanto sia un passaggio fondamentale, perché è d’obbligo accertarsi dello stato di salute della persona, e soprattutto è fondamentale una valutazione di un endocrinologo, in quanto bisogna assumere ormoni che vanno ad avere un impatto importante sul corpo. Saperlo prima sarebbe stato meglio. Ho aspettato altri mesi, tra prendere l’appuntamento e attendere che ci fosse un posto disponibile.

Ho scoperto che molti ragazzi affrontano tutto questo da soli. Io sono stato fortunato, avevo il supporto della mia famiglia. È bruttissimo essere soli in un momento comunque così delicato, infatti spesso mi offro di accompagnare i ragazzi che mi scrivono a fare queste visite. Dopo un anno, finalmente ottengo l’impegnativa per il testosterone. Per me in gel cutaneo. Vado in farmacia, felice finalmente di iniziare questa fase, e anche qui mi scontro con un qualcosa che ancora non so nominare. Il mio farmaco non c’è. Giro tante farmacie di Latina e provincia. Pare sia impossibile da reperire. Eppure l’Agenzia italiana del farmaco lo dà come disponibile nelle farmacie.

Quindi secondo te c’è di fatto un problema relativo al reperire il testosterone?

Al centro-sud sì. Io ho finalmente trovato un farmacista che me lo ha procurato, ma non è stato facile. Ho dovuto anche sospendere per qualche giorno la cura (cosa che può avere effetti comunque importanti perché parliamo di ormoni e potrei “tornare indietro” nel processo) perché non si riusciva a reperire il mio farmaco. Ci tengo a precisare che non è come con altri medicinali dove si può passare al generico senza problemi. Nelle terapie ormonali, il farmaco e il dosaggio non possono essere variati. C’è una ricetta specifica che deve essere fatta dall’endocrinologo e una tempistica di somministrazione che deve essere rispettata.

Ho ricevuto tanti messaggi dai miei followers quando ho sollevato la questione di scarsità del farmaco; moltissimi ragazzi trans del nord mi hanno detto di non aver avuto mai problemi. Molti invece del centro-sud si sono trovati nella mia situazione. Qualche motivo ci sarà e non è legato alla distribuzione: secondo me è purtroppo economico e sociale.

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Tra le tante discriminazioni che purtroppo affronti tutti i giorni, quali ti pesano di più?

Non poter trovare il farmaco di cui ho bisogno è senza dubbio una di quelle. Farmaco che tra l’altro costa tra i 45 e i 100€ a confezione! Quello che mi pesa più di tutto è l’essere “nessuno” per molti anni. In Italia per richiedere il cambio di nome e quindi di identità, perché finalmente a tutti gli effetti io possa legalmente essere Elia, è un processo che dura anni. Oggi io sono Elia. Ho un aspetto che non è più quello di quando avevo 18 anni che però ho sulla mia patente, sul passaporto, sulla carta di identità. Come vado a votare? Se voglio viaggiare, i controlli come li passo? Sono sempre costretto a spiegare di essere una persona trans e spesso non è sufficiente – oltre che psicologicamente pesante. Noi persone trans di fatto siamo imprigionate in un limbo per anni, come se non bastasse già il percorso che affrontiamo fin da adolescenti scoprendo di soffrire di disforia. All’estero il cambio nome non è così complesso.

Anche a livello lavorativo, di fatto, le persone trans sono discriminate. Perché sui documenti sei una persona ma di fatto non lo sei più, e questo viene spesso utilizzato come scusa per non fare contratti o non assumere. Ai colloqui di lavoro, io mi presento come Elia, ma legalmente non lo sono e questo mi mette ogni volta di fronte a una realtà che fa male.

Sei diventato un punto di riferimento per moltissimi adolescenti. Cosa ti chiedono?

Non so nemmeno come sia successo! Ho iniziato a parlare del mio percorso, ho scritto un libro e da quel momento ho iniziato ad avere molti followers – tutti giovanissimi sotto i 20 anni. Mi chiedono di tutto, ma molto ovviamente legato al mondo trans, al percorso, alla mia esperienza. Consigli, se una cosa che hanno sentito è vera o no. Mi chiedono di sesso e di identità. Mi fanno tutte quelle domande che di fatto secondo me non sanno a chi rivolgere senza essere giudicati. C’è bisogno di parlare di identità di genere, di sessualità, di orientamento sessuale, di diversità nelle scuole. Gli adolescenti oggi crescono senza sapere come sia davvero il mondo, le persone diverse, e ce ne sono tante e ce ne saranno sempre e sempre ci sono state, non trovano il loro spazio, si sentiranno sempre diverse o sbagliate.

Quanto conta il linguaggio secondo te?

È fondamentale. Il linguaggio definisce chi siamo ma soprattutto ci aiuta a fare educazione. Non siamo culturalmente abituati a utilizzare un linguaggio neutro. Diamo per scontato che se una persona fisicamente sembra una donna, allora lo è e viceversa. Non se ne può fare una colpa a nessuno: semplicemente, non siamo abituati. Non posso incolpare qualcuno che per strada senza sapere nulla di me si rivolge a me al femminile; posso reputarlo ingiusto, può darmi fastidio. Diverso è, e mi è capitato diverse volte, se mi presento e ti dico “Ciao, sono Elia”, e tu mi parli utilizzando il femminile. Questa è una forma di non rispetto; non sei in grado di darmi l’attenzione che merito. Se ti dico che il mio nome è Elia, dovresti essere in grado di capire che, al di là del mio aspetto fisico, io voglio che si utilizzi il maschile per rivolgersi a me. Per questo penso che sia fondamentale educare le nuove generazioni, ma anche le vecchie, a imparare a essere attenti alla diversità, a non dare per scontate determinate cose, a utilizzare un linguaggio che sia inclusivo.

Elia si sta attivando per trovare un modo per aiutare i ragazzi della sua zona a reperire i farmaci, se ne avete bisogno, contattatelo!

Immagine di copertina: RFSL