Articolo di Margherita Brambilla
Quando ho aperto il fumetto di Jem and the Holograms ho riconosciuto subito lo stile; qualche anno fa mi ero innamorata di un graphic novel online, Shadoweyes, un piccolo capolavoro alternativo nel genere dei supereroi: inclusivo, diverso e, soprattutto, scritto molto bene.
Il cognome dell’autrice di Jem and the Holograms corrispondeva a quello di Shadoweyes, ma non il nome né il genere; mi sono immaginata che fossero una coppia sposata, o un fratello e una sorella che lavorassero insieme: e invece è la stessa persona, prima e dopo il coming out.
Dopo l’epifania di aver ritrovato Sophie Campbell, una delle fumettiste che più aveva attirato la mia attenzione negli ultimi cinque anni, mi sono tuffata a testa bassa in Jem and the Holograms, e posso dirvi con tutta onestà “leggeteli tutti e due”.
Probabilmente la cosa più bella della serie originale era il glitter, e quello è rimasto abbondantemente. Il restyling artistico è pazzesco, e non fa altro che migliorare il concept originale; non sono nata negli anni ’80 e ne subisco solo lontanamente il fascino a causa di una mia propensione per il trash, quindi questo “svecchiamento” che s’ispira molto di più agli anni 2000 e oltre mi fa amare la storia molto di più.
Per farla breve, ho già prenotato il parrucchiere.
Oltre allo stile ci sono alcune altre cose che rendono il fumetto una bella evoluzione della serie originale: per esempio, i personaggi sono visivamente più diversificati, cosa che sicuramente è dovuta anche alla differenza tra un cartone animato e un fumetto, ma che è una caratteristica dello stile della Campbell; nella serie animata le ragazze protagoniste, fatta eccezione per i colori dei capelli e degli occhi, erano sostanzialmente identiche per poter riciclare le animazioni e guadagnare sulle tempistiche; nel fumetto questo problema non esiste, e ci ritroviamo con una Jerrica/Jem che non solo cambia colore di capelli ma ha dei connotati diversi e almeno venti centimetri in altezza in più (se qualcuno sta pensando alle WITCH, ci sto pensando anch’io). La stessa Jerrica è un personaggio che suscita più empatia: è sempre pragmatica e affidabile come nella serie originale, ma molto meno sicura di sé; anzi, l’espediente dell’“ologramma Jem” nasce proprio dalla paura del palcoscenico di Jerrica.
Guadagniamo anche più di un personaggio plus-size – e il fatto che ce ne sia più di uno ci salva dal doverlo eleggere come rappresentante di tutta la categoria, cosa che apprezziamo sempre. La meravigliosa Kimber e i suoi sogni romantici cambiano sponda e l’amicizia con Stormer, la tastierista della band rivale, diventa una storia d’amore, oltretutto dolcissima e varrebbe la pena leggere il fumetto solo per quella.
Cosa non è cambiato (oltre al glitter)? Probabilmente la cosa migliore: la sorellanza tra le quattro musiciste e il loro rapporto, che qui, più che nella serie, è sviluppato in maniera più giocosa, allegra e realistica. Nei primi sei episodi del fumetto non c’è traccia dell’orfanotrofio della famiglia né alcun accenno al fatto che Aja e Shana siano sorelle adottive; forse più avanti la questione verrà esplorata, ma per ora si parla solo di sorelle, sorelle, sorelle. E questo ci piace.
ignoravo totalmente questo fumetto e mi è venuta voglia di leggerlo, lo cercherò! 😉