Articolo di Alessandra Vescio
La vita di ciascuno di noi, in linea di massima, potrebbe essere divisa in due fasi: la prima, quella della certezza, in cui tutto ciò che ci è stato insegnato è ciò in cui crediamo; e una seconda, quella dell’esplorazione, in cui mettiamo in discussione le nostre idee e andiamo alla ricerca della nostra voce e della nostra individualità. A fare da spartiacque e da stimolo è il momento in cui iniziamo a rapportarci col mondo esterno, a instaurare relazioni, a leggere, studiare e ascoltare storie diverse da quelle con cui siamo cresciuti; ad assumere nuovi punti di vista per guardare alla stessa realtà. Ma cosa succede se la distanza tra il prima e il dopo è talmente profonda da risultare straniante? Se il confronto con gli altri arriva tardi ed è pregno di idee che sembrano dogmi, di giudizi e pregiudizi, di chiusure e paure che non lasciano respirare?
A questi quesiti, con durezza e intensità, risponde “Educated”, memoir e libro d’esordio di Tara Westover. Edito in Italia da Feltrinelli con il titolo “L’educazione”, vincitore di numerosi premi e riconoscimenti e consigliato anche da Barack Obama e da Bill Gates, “L’educazione” racconta una storia vera, assolutamente unica e a tratti paradossale, che riesce comunque a veicolare messaggi universali.
Tara Westover nasce nel 1986 nell’Idaho, ai piedi della montagna di Buck Peak. Lì vive con la sua famiglia, non ha amici e non va a scuola; non è mai stata visitata da un medico, non è vaccinata e non è neppure stata registrata all’anagrafe. Trascorre la sua infanzia e gran parte dell’adolescenza in una discarica, a lavorare con il padre e i fratelli, o in casa, a inscatolare pesche, per avere scorte di cibo a sufficienza nel caso in cui si verificassero quegli eventi di cui il padre non fa che parlare: il Giorno dell’Abominio, ovvero l’Apocalisse, la fine del mondo; e un’eventuale irruzione nella loro casa da parte dello Stato, per costringerli a seguire le regole pubbliche.
La sua famiglia è mormona fondamentalista, ma – come spesso ha dichiarato l’autrice – qui la religione c’entra ben poco. Il padre ha disegnato una netta linea di demarcazione tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, tra i fedeli e i peccatori, tra chi rispetta e asseconda il volere di Dio e chi si lascia tentare dal demonio. Nell’ottica paterna, lo Stato, la scuola pubblica e la medicina hanno come unico scopo il controllo e la manipolazione del popolo e per questo è fondamentale diventare autosufficienti, indipendenti da un governo corrotto da quelli che lui chiama gli “Illuminati”, i peccatori.
Così, la madre di Tara diventa erborista e levatrice (senza licenza), non solo per accumulare denaro ma anche per potersi prendere cura della salute della famiglia, gravidanze e parti compresi, senza dover ricorrere agli ospedali. Ai figli viene impartita un’istruzione domestica, che consiste nell’imparare a leggere sulla Bibbia e poco altro. Tutti in famiglia lavorano e iniziano anche molto presto: raccolgono rottami, lavorano nell’edilizia o aiutano la mamma con i suoi preparati di erbe. I contatti con l’esterno sono rari: persino una nonna, che ha scelto di farsi curare da un medico per un tumore al midollo, è malvista dalla famiglia. La vita dei Westover poi è costellata da numerosi incidenti gravi, tendenzialmente provocati dal padre; non si tratta di cattiveria, spiegherà in seguito l’autrice, ma piuttosto dell’incapacità di riconoscere il rischio mista a un totale abbandono alla fede: se le cose succedono, ripete continuamente il padre, è perché è Dio a volerle.
Fino a quando Tara vive con i suoi genitori, tutto però rientra nella normalità. È l’unica realtà che lei abbia mai visto e con cui sia mai entrata in contatto: non può che essere quella giusta. Per lei, la madre è una sorta di maga, capace di guarire tutto e tutti con quell’energia che si porta dentro. Il padre è un profeta e un saggio, una voce autorevole e portatrice di verità. Il mondo fuori, quello che non conosce o che incontra durante le messe della domenica, è invece ormai perso, vittima del lavaggio del cervello da parte dello Stato. Tara si sente fortunata, in fondo: la sua famiglia si sta preparando alla fine del mondo con astuzia e dalla loro parte hanno Dio.
È solo quando la protagonista inizia a confrontarsi direttamente con l’esterno, quando stringe le prime amicizie, quando decide di iscriversi all’università su suggerimento del fratello Tyler che si accorge dell’attrito tra la sua prospettiva e quella degli altri. A 17 anni infatti, nonostante sapesse a malapena leggere, Westover decide di preparsi per un test di accesso all’università e, grazie alla costanza e al duro impegno di un lungo anno di studio, riesce a entrare in un’istituzione mormona. Lì segue lezioni di storia, arte e psicologia; lì riconosce la profondità delle sue lacune culturali e relazionali, ma anche il travisamento di fatti storici salienti operato dal padre. All’università, Westover scopre l’Olocausto, la schiavitù, il Movimento dei diritti civili, il femminismo. Scopre cos’è il disturbo bipolare e in quei sintomi riconosce perfettamente il comportamento paterno. E scopre che la vocazione di una donna può andare molto oltre il matrimonio e la maternità.
Una delle prime spaccature che Tara Westover sente dentro di sé mentre vive ancora con i suoi genitori, infatti, è proprio quella che riguarda se stessa. È cresciuta con una concezione patriarcale e sessista della donna, per cui o sei una “santa” o sei una “puttana”. E il passaggio da una condizione all’altra è davvero labile: basta lo scollo di una camicetta che si sposta per un movimento naturale del corpo o una manica che si arrotola quando fa troppo caldo fuori. A ricordarle la responsabilità del suo corpo e della sua persona, è soprattutto Shawn, il fratello maggiore. Violento, aggressivo, manipolatore, Shawn prova uno sconfinato piacere nell’umiliare le donne attorno a sé e su di loro vomita tutto l’odio che prova per se stesso.
Il rapporto tra Shawn e Tara è un’alternanza di slanci di affetto e violenze e abusi, intimità e aggressioni fisiche e verbali, che spesso finiscono con le scuse di lui, che la rimbrotta perché “è solo un gioco” e “se ti faccio male, la prossima volta dimmelo, sii più chiara”. Non è difficile per Tara convincersi che quel dolore e quella violenza dipendano da lei, che sia lei la responsabile di quella furia; che, se si comporterà bene, le cose andranno in modo diverso. D’altronde Shawn sa essere anche amorevole ed è l’unico in famiglia che sembra davvero prendersi cura di lei: questo, nell’ottica di Tara, dimostra che il fratello maggiore non è per niente come quegli uomini violenti che picchiano le mogli, di cui aveva sentito parlare una volta in TV.
A lungo Tara ha negato gli effetti che la violenza del fratello e la pressione psicologica della sua famiglia hanno avuto su di lei: attacchi di panico, ansia, depressione l’hanno accompagnata per anni; e per molto tempo negli altri ha cercato l’umiliazione piuttosto che l’accettazione, la crudeltà invece della tenerezza, perché queste erano le uniche forme di relazione che conosceva, le uniche capaci di scatenare in lei reazioni conosciute. Guidata da una rabbia profonda verso di sé e verso ciò che è stato, Tara è arrivata al punto di convincersi di essere pazza, di avere la mente offuscata da ricordi non veri, di portare sulle spalle un passato che forse non è mai successo. I genitori non credono ai suoi racconti sulle angherie subite da parte del fratello, la sua famiglia la crede posseduta dal demonio, le persone con cui è cresciuta e che ama profondamente l’hanno abbandonata, accusandola di portare il male dentro di sé, di essere una persona cattiva, di voler distruggere quel nido che in compenso l’ha sempre accolta e curata: come può lei credere ai suoi ricordi e alle sue sensazioni? Pensare di essere una persona buona, avere fiducia in sé?
A supportarla e a fungere da controprova e testimonianza una volta diventata adulta, ci sono i suoi diari personali, che fin da quando Tara è piccola, hanno raccolto gli episodi più dolorosi. Questi però non bastano a convincerla dell’autenticità dei suoi ricordi. Ci vorranno anni di studio, di scoperte, di difficilissimi tentativi di integrazione con gli altri e col mondo esterno, per far sì che Tara inizi a prendersi cura di sé. E la scuola ha fatto molto più che dispensare nozioni: «L’istruzione, la cultura permettono di capire chi sei. Vedere il cambiamento e accettarlo. Accettare l’aiuto degli altri: io ho avuto tantissime persone che hanno creduto nelle mie capacità e mi hanno teso la mano», ha dichiarato l’autrice in un’intervista.
Quello di Tara Westover è un percorso lungo che l’ha portata ad abbandonare dogmi e superstizioni, dolore e obblighi morali insopportabili. Un percorso intriso di ombre, separazioni e paure ed è grazie alla cultura e allo studio che è potuta arrivare fino alla fine, sana e salva. Da quando a 17 anni ha messo piede per la prima volta in un’aula scolastica, Westover non ha più smesso di imparare. Si è laureata alla Brigham Young University con il massimo dei voti, ha vinto una borsa di studio ad Harvard e ha conseguito un dottorato in storia a Cambridge. A sostenerla nei suoi studi, la voglia di saperne di più e l’unico insegnamento utile in fatto di istruzione che la sua famiglia le avesse mai dato: da sola, si diceva e le dicevano, puoi imparare qualunque cosa, anche molto più di quello che ti potrebbero insegnare gli altri.
Ed è questo d’altronde ciò che Tara Westover ha fatto: ha messo in discussione gli insegnamenti ricevuti per scoprire altro e scoprire se stessa. Non è un caso che a suscitare particolarmente il suo interesse siano state la storia e la storiografia, ovvero lo studio del modo in cui gli eventi vengono raccontati. La lezione più importante che ha appreso l’autrice grazie all’istruzione infatti è che non esiste una sola verità, una sola versione dei fatti, una sola storia. Esistono invece le prospettive, i punti di vista, che sono essenziali per capire e rispettare gli altri, per sviluppare l’empatia verso chi ci circonda, ma non solo, anche per imparare a capire e amare noi stessi.
Secondo l’autrice, la famiglia in cui cresciamo ci insegna dei pattern specifici che noi riportiamo nel mondo e nelle relazioni con gli altri, e se i rapporti familiari che abbiamo vissuto sono disfunzionali, può succedere che continueremo ad attrarre quel tipo di relazione, a ricercare quegli stessi pattern con cui siamo cresciuti. Per uscire da questa spirale, sostiene Westover, è necessaria un’interconnessione tra fede ed educazione. Perché se l’educazione aiuta a guardare alla realtà in modo nuovo, ad assumere nuove prospettive, la fede – in qualunque dio si creda e qualunque sia il significato che diamo a questa parola – dona la speranza che un futuro diverso sia possibile, che ognuno di noi possa meritare e sperimentare nuove e straordinarie forme d’amore.