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La rabbia nelle città statunitensi è radicata in una lunga storia di razzismo nella polizia, violenza e disuguaglianza
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La rabbia nelle città statunitensi è radicata in una lunga storia di razzismo nella polizia, violenza e disuguaglianza

Le proteste che hanno travolto le città americane nella settimana passata sono ancorate a decine di anni di frustrazioni. Razzismo da parte della polizia, discriminazioni legali ed extralegali, esclusione alle vie che portano benessere economico e gli stereotipi crudeli hanno una lunga storia, e continuano ancora oggi.

Gli afroamericani protestano contro queste ingiustizie dalla fine della Guerra Civile, a partire dal 1870. Nel corso del ventesimo secolo, ci sono state significative rivolte a Chicago (1919), nel quartiere Harlem di New York (1935), Detroit (1943) e Los Angeles (1943, 1965, 1992). In quella che è poi stata conosciuta come la “lunga e calda estate del 1967”, la rabbia nelle città americane arrivò al culmine. Il Civil Rights Act del 1964 aveva abolito la segregazione ma non aveva portato uguaglianza. Era rimasta l’ingiustizia razziale perpetrata dalla polizia. Le proteste arrivarono nelle strade di più di 150 città e portarono violenti scontri tra residenti neri e forze di polizia per la maggior parte bianche. I moderati bianchi condannarono queste ribellioni armate, contrapponendole alle famose proteste non violente da parte degli attivisti per i diritti civili. Ma Martin Luther King stesso riconosceva che il successo della non-violenza stava sempre nella costante minaccia della violenza. Osservò anche che queste rivolte “non si sviluppano dal nulla”.

Le pratiche della polizia innescano i disordini

La causa delle rivolte degli Afroamericani negli Stati Uniti sono quasi sempre state le azioni delle forze di polizia, come la recente morte di George Floyd a Minneapolis. Alcune volte, gli scontri sono scoppiati quando la polizia si è rifiutata di agire in difesa dei residenti neri. Nel 1919, a Chicago, quando un adolescente afroamericano (Eugene Williams, NdT) venne trasportato nella parte “bianca” del Lago Michigan, un uomo bianco sulla riva iniziò a tirare sassi contro di lui, e il ragazzo affogò. Un poliziotto presente non fece niente per fermare l’aggressore né lo arrestò.

Dalla prospettiva di coloro che furono presi di mira, traumatizzati dalla polizia e discriminati da gran parte della società, i danni alla proprietà e i saccheggi erano giustificati.

Nel secolo che seguì la fine della schiavitù, nel 1865, gli americani bianchi trovarono nuovi modi per sfruttare il lavoro delle persone nere e costringere gli Afroamericani in condizioni di povertà. Questi metodi andavano dalle legislazioni che regolavano i contratti di lavoro e la mobilità, fino ad arrivare a stereotipi razzisti.

Tali leggi e costumi erano tutti sorretti dalla violenza, omicidio incluso. Dalla fine del 1800 al 1950, piú di 4.000 Afroamericani furono vittima di linciaggio. Queste erano pratiche così accettate che talvolta venivano anche pubblicizzate sui giornali, in anticipo. Erano omicidi extragiudiziali, ma spesso includevano la presenza della polizia (che oppure chiudeva un occhio per questo crimine).

Gli americani neri che cercavano vite migliori nelle città del nord trovarono razzismo anche lì. I proprietari degli immobili avevano un mercato vincolato nei quartieri segregati, come Harlem a New York e South Side a Chicago. Per questo motivo, i quartieri diventavano sempre più affollati e più fatiscenti. Le persone nere venivano spesso tenute fuori dai quartieri più belli delle città di tutto il Paese, tramite interventi violenti di residenti bianchi o anche dalla polizia stessa. Le case del ceto medio degli Afroamericani a Birmingham, in Alabama, dove anche l’attivista politica e filosofa Angela Davis crebbe, venivano bombardati così spesso che l’area fu soprannominata “Dynamite Hill”. Nemmeno la presenza di agenti neri nelle forze dell’ordine nelle città del nord poteva cambiare la radice razzista delle procedure della polizia.

Il divario in espansione del benessere economico

Le proteste degli anni Sessanta furono in parte motivate dalle violenze da parte della polizia, ma anche dall’esclusione degli Afroamericani dalla piena partecipazione alla vita civica. Sebbene gli Afroamericani potessero accumulare capitale per prendere un mutuo, un sistema di leggi chiamato “redlining” li ostacolava nell’acquistare proprietà. Questo, di conseguenza, mandò all’aria gli sforzi delle famiglie nere per accumulare ricchezze allo stesso livello delle famiglie bianche. Gli Afroamericani, dunque, continuavano a vivere in quartieri più poveri. Queste comunità ricevevano servizi di raccolta dei rifiuti scadenti, erano privi di spazi verdi, ospitavano supermercati cari e avevano scuole povere di risorse. Come se non bastasse, sono stati gli Afroamericani a essere impiegati in lavori domestici e di servizi a basso costo, che hanno supportato l’espansione dell’economia, a vantaggio però degli americani bianchi. Non c’è da sorprendersi che lo scrittore James Bladwin scrisse, nel 1968, “Dopotutto, state accusando di saccheggio una popolazione asservita a cui è stato rubato tutto. Credo che [questa accusa] sia indecente”.

Gli effetti di quelle politiche sono ancora oggi evidenti – e giocano un ruolo determinante nella discriminazione e nella privazione dei diritti di molti Afroamericani. Le persone nere godono di un livello medio di benessere economico drasticamente minore di quello dei bianchi o degli americani asiatici. Questo rimane vero anche tra gli Afroamericani che hanno un’educazione scolastica di alto livello e salari elevati. Generazioni di discriminazioni hanno lasciato il segno tra gli Afroamericani, a cui sono stati negati i diritti di proprietà, la graduale accumulazione di beni e i diritti di eredità. Facendo eco a Baldwin, il comico Trevor Noah questa settimana ha affermato:

“Se vi sentite a disagio a guardare Target che viene saccheggiato, immaginatevi come si possano sentire gli americani neri quando vedono che di loro stessi viene fatta razzia ogni giorno. La polizia in America fa razzia di corpi neri.”

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La “guerra al crimine” e le incarcerazioni di massa

Sulla scia dei disordini del 1967, le politiche federali cambiarono sotto il Presidente Lyndon Johnson: si passò dalla “guerra alla povertà”, verso la “guerra al crimine”. Gli Afroamericani furono sempre più presi di mira nell’espansione della macchina punitiva del “law and order” (letteralmente “legge e ordine”, le forze di polizia e gli apparati giudiziari, NdT) e dell’incarcerazione di massa. Oggi, sono gli americani neri, specialmente uomini, per la stragrande maggioranza, che rimangono nel mirino delle forze di polizia. I giovani neri vengono uccisi dalla polizia a un tasso di 21 volte maggiore rispetto a quello dei giovani bianchi. Anche le donne afroamericane sono a rischio, come dimostrano incidenti simili di alto profilo. Le persone afroamericane sono anche più a rischio di essere arrestate, incriminate, dichiarate colpevoli, e condannate rispetto agli americani bianchi. In tutto ciò, la polizia è stata addestrata e preparata in modi che hanno eroso il confine tra forze dell’ordine civili e corpi militari. La violenza di queste forze di polizia sta diventando sempre più difficile da giustificare, per questo Slate ha pubblicato un articolo, la settimana scorsa, dal titolo “Police Erupt in Nationwide Violence” (tradotto liberamente, “La polizia scoppia tra la violenza nazionale”, NdT).

Di conseguenza, sempre più numerosi movimenti dal basso stanno richiedendo che le forze di polizia siano gestite diversamente. È richiesto alla politica che vengano ridotti il loro supporto economico, che vengano ridimensionate a livello locale e radicalmente demilitarizzate. Gli attivisti continueranno a ricordarci: black lives matter (letteralmente, “le vite dei neri contano”, NdT).

Fino ad allora, come ha detto l’avvocata per i diritti civili Sherrilyn Ifill,

“Se lo stato di diritto prevale, le persone devono vedere giustizia. Se invece produce sempre un risultato ingiusto, come possiamo dire alla gente di avere fede nel sistema giuridico[?]”


Fonte

Magazine: The Conversation
Articolo: The fury in US cities is rooted in a long history of racist policing, violence and inequality
Autrice: Clare Corbould
Data: 1 giugno 2020
Traduzione a cura di: Caterina Fantacci
Immagine di copertina: Wouter Engler, Black Lives Matter demonstratie, Rotterdam

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