Be’, è successo davvero parecchi anni fa, ero studente e dovevo ancora laurearmi.
Anzi, proprio per la tesi di laurea lessi questo testo – ometterò appositamente autrice e titolo, più avanti spiegherò perché non siano qui dati importanti – in maniera del tutto ingenua e fortuita, poiché era un testo che si occupava anche dell’argomento di tesi. Non sapevo nemmeno che fosse un testo femminista, e lo misi nella bibliografia solo per il titolo e per gli autori di cui trattava.
Questo incontro occasionale non fu un’eccezione, come poi ho appurato: allora non esistevano corsi sulle questioni di genere, e come poi ho capito non erano neanche considerati roba di cui occuparsi seriamente.
Il testo era molto interessante ma anche molto spiazzante. Non ero offeso minimamente da alcune generalizzazioni sugli uomini, era chiaro che si trattasse sempre di discorsi circostanziati a una indistinta massa nella quale gli uomini fossero una maggioranza con in comune parecchi comportamenti e pensieri, e non ho mai pensato che ci si riferisse direttamente a me, perché quelle generalizzazioni erano sempre costruite in un contesto e riferite a situazioni per i quali era molto difficile dissentire, nella loro evidenza. Quello che mi ha stupito e interessato è che si parlasse del mio stesso mondo, ma visto con altri occhi.
Quello che mi si rivelava era una rete di rapporti, relazioni, concetti e strutture che pure normalmente vivevo e abitavo, ma che nell’essere visti da qualcuno con un corpo diverso dal mio e con una sensibilità educata molto diversamente dalla mia, mi toglieva da un centro che non sapevo neanche di occupare e che pure era molto ingombrante.
Contro l’idea astratta di “persona”, avere un corpo invece che un altro cambia radicalmente il modo in cui gli altri corpi, persone e linguaggi si rapportano con te. Questa semplice rivelazione mi apriva a una visione più completa non solo del mondo che stavo vivendo e che tuttora vivo, ma anche di quello già vissuto.
In questo modo non potevo evitare la questione del mio posizionamento, della mia responsabilità verso poteri, linguaggi e strutture discriminanti che “normalmente” non avrei visto, né sentito né mi avrebbero toccato.
Venivo a sapere inoltre – come so ancora – che quei poteri, quei linguaggi e quelle strutture esistono e funzionano, e che, se certamente non è colpa mia se sono nato con questo corpo che da tutto ciò è solo minimamente sfiorato e – anzi – ne è anche privilegiato, è mia responsabilità rendermi conto che il mondo non è lo stesso del mio per chi non è uomo, bianco, eterosessuale, occidentale. E che se credo in una parità di tutti gli esseri umani affinché abbiano il diritto di autodeterminarsi il più possibile, devo assumermi la responsabilità di fare qualcosa per eliminare tutto ciò che rende il mondo non paritario, per chiunque.
Non ho più smesso di leggere testi femministi perché provare quella rivelazione, quella meraviglia, è un piacere che voglio sempre rinnovare. Anche quando ciò che mi viene rivelato non è gradevole, è una conoscenza anche di me stesso che può arrivarmi solo da chi è diverso da me.