I piani del governo britannico per il controllo delle migrazioni dopo la Brexit, se implementata, potrebbero portare a un inasprimento delle discriminazioni di genere già esistenti nella legge sull’immigrazione. Un mio recente studio mostra come gli uomini possano significativamente beneficiare più delle donne dalle opportunità migratorie chiave – inclusa l’abilità di trovare impiego come lavoratore “qualificato”. Non solo le regolamentazioni dell’immigrazione che forniscono queste opportunità sono svantaggiose per le donne, ma potrebbero anche illegalmente discriminarle. E sono queste le regolamentazioni che il governo pianifica di estendere e ampliare dopo l’uscita dall’Unione Europea.
In un libro bianco pubblicato a Dicembre 2018, il governo ha promesso di “regolare la discussione sulla migrazione” dopo la Brexit. Si pensa di raggiungere l’obiettivo fermando il libero movimento per i cittadini UE e rimpiazzando le attuali leggi sull’immigrazione che si applicano a chiunque altro, con un unico sistema basato sulle competenze.
Questo sistema permetterebbe a migranti qualificati e altamente qualificati, da Paesi dell’Unione e non, di lavorare nel Regno Unito. Coloro che verranno considerati a basse competenze potrebbero lavorare nel Paese per 12 mesi, in un percorso per “lavoratori temporanei a breve termine” (“temporary short-tem workers”, NdT). A differenza dei lavoratori qualificati, per i quali il governo cerca di incoraggiare l’immigrazione, le proposte cercano sostanzialmente di limitare i diritti dei lavoratori a breve termine. Questi lavoratori non potranno estendere il loro soggiorno o rimanere nel Paese per altri motivi. Né potranno portare con sé i propri familiari o fare del Regno Unito casa propria.
Non si sa ancora molto su come il sistema funzionerà. Ma una domanda che può sorgere da queste proposte è quanto effettivamente rappresenteranno un modo per “regolare” la legge sull’immigrazione.
Gerarchie di migrazione
I migranti non-UE attualmente necessitano di un visto per vivere e lavorare nel Regno Unito. Chiunque richieda questi permessi non riceve un diretto “sì” o “no”, quando inoltra la propria domanda. Se la richiesta ha successo, l’Home Office assegna uno “status”, tra i diversi possibili, come immigrato. A seconda del tipo di visto rilasciato e di status ottenuto, varia la durata della permanenza possibile in UK e la motivazione per cui si può soggiornare. Questo determina anche quali diritti si hanno durante il proprio soggiorno, dal poter essere accompagnati dalla famiglia, all’accesso agli aiuti di Stato, o anche riguardo all’apertura di un conto bancario.
Altri diversi status di migrante garantiscono diversi diritti – e doveri. Alcuni sono più vantaggiosi di altri. I lavoratori qualificati possono per esempio lavorare in UK fino a un massimo di cinque anni, cambiare datore di lavoro, portare con sé i familiari, e potenzialmente sistemarsi nel Paese. Coloro che intraprendono lavori domestici non hanno questi diritti. Non possono cambiare il datore di lavoro – a meno che non siano stati soggetti a traffico di esseri umani – e devono lasciare il Regno Unito dopo appena sei mesi. Così la legge sull’immigrazione crea una gerarchia del lavoro dei migranti in base allo status e al visto, che separa i lavoratori in categorie, portando vantaggi ad alcuni e svantaggi ad altri.
Nella mia ricerca, ho rivisto le informazioni sulla distribuzione di diversi status di migrante, prendendo in considerazione un periodo di dieci anni, per vedere come queste gerarchie abbiano avuto impatto sulle donne. Ho integrato le statistiche pubbliche dell’Home Office con dati ottenuti tramite una richiesta formale per la libera informazione.
Ho trovato che certi status chiave per la migrazione lavorativa e familiare sono distribuiti diversamente tra uomini e donne – a svantaggio di queste ultime. Mentre tre quarti di coloro a cui è stato concesso il conveniente status di lavoratore “qualificato” è composto da uomini, tre quarti di coloro a cui è stato concesso l’altamente sfavorevole status di “lavoratore domestico” è composto da donne. Anche circa tre quarti di coloro a cui è stato concesso invece lo status di “partner”, relativamente svantaggioso, è formato da donne.
In contrasto con la migrazione familiare, la migrazione lavorativa è maschile in modo predominante e gli uomini sono coloro che con più probabilità rispetto alle donne si trovano in cima alla scala gerarchica degli immigrati, in quanto lavoratori qualificati.
Stereotipi sulle “competenze”
Le regole che distribuiscono questi status di migrante discriminano indirettamente le donne perché sono basate su stereotipi.
Gli status come lavoratore immigrato sono distribuiti in base alle competenze. Analisi femministe sul mercato del lavoro hanno evidenziato che gli stereotipi di sesso e genere stanno alla base delle categorizzazioni di certi tipi di impiego e di lavoratori ad “alta” o “bassa competenza”. Queste analisi hanno anche messo in discussione l’idea che le stesse “competenze” di una persona possano essere determinate in modo oggettivo.
Alcuni stereotipi, ad esempio come le donne siano particolarmente portate a fare lavori di cura, o che questi ultimi siano per definizione di bassa competenza, hanno un impatto su quasi ogni aspetto della partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Subiscono gli effetti del gender pay gap, la svalutazione in termini di salario e condizioni del lavoro svolto dalle donne, particolarmente per quanto riguarda i lavori di cura.
Come Eleonore Kofman, professoressa di politiche sociali alla Middlesex University, sostiene, le regolamentazioni dell’immigrazione che classificano le competenze sembrano neutrali, ma privilegiano in realtà alcuni tipi di conoscenze, ignorandone altre, creando un divario tra i generi. Io aggiungerei che questo accade perché le regole che determinano chi è “competente” o meno, o chi sia un “partner” (e che tipo di relazioni questo comporta), sono radicate in concezioni stereotipate sui ruoli e sulle abilità di uomini e donne.
Un altro tipo di regolamentazione necessaria
I dibattiti sulla migrazione dei lavoratori post-Brexit stanno iniziando a considerare la capacità del servizio sanitario nazionale NHS e di altri enti di impiegare lo staff di cui hanno bisogno, qualora le proposte nel libro bianco venissero implementate. Il mio studio indica che le conseguenze di queste proposte potrebbero essere più impattanti di quanto non ci si aspetti in questo momento. L’impostazione di un ancora più isolante e gerarchico sistema di lavoro dei migranti, che poggia su stereotipi che vanno a differenziare tra i lavoratori e che sfavorisce in modo sproporzionato coloro che considera di bassa competenza, potrebbe avere conseguenze molto negative per le donne.
La fine della libera circolazione di persone cambierà profondamente la natura dell’immigrazione da e verso il Regno Unito. La conseguenza di questo cambiamento, ovvero il passaggio dalle leggi dell’Unione e dall’esistente regola che permette ai migranti non-UE di trovare impiego in UK, verso un sistema che può riprodurre e incrementare le parti dell’attuale procedura che sfavoriscono e discriminano le donne, è ancora da esplorare in ogni sua sfaccettatura. E questo è solo uno dei cambiamenti che ci saranno. Tutto ciò è preoccupante non solo per coloro il cui diritto a rimanere in Regno Unito è attualmente determinato dall’odierna legge britannica sull’immigrazione, ma anche per tutti i cittadini UE che dovranno essere sottoposti a queste nuove leggi, a seguito dell’uscita del Paese dall’Unione.
Una regolamentazione della legge britannica sull’immigrazione è necessaria, ma non è quella che questo governo sta proponendo.
Fonte
Magazine: The Conversation
Articolo: Sex discrimination in British immigration law is likely to get worse after Brexit
Autrice: Catherine Briddick
Data: 29 aprile 2019
Traduzione a cura di: Caterina Fantacci