Articolo di Manuel Carminati
Il ruolo che le donne hanno avuto durante la Resistenza partigiana non è noto a tutti, eppure la memoria delle loro gesta non può che scatenare riflessioni valide anche oggi.
Chi vi scrive ha il piacere e l’immeritato onore di far parte del gruppo di lavoro di “Bella Ciao, Milano!”, un progetto della federazione milanese del Partito Democratico ideato in preparazione al 70° anniversario della Liberazione.
L’iniziativa ha una connotazione politica che in questo luogo metteremo da parte per sottolineare invece il valore culturale e sociale che l’iniziativa può e sta avendo: gli organizzatori hanno preparato un fitto calendario di incontri pubblici in cui il tema della Resistenza è riesaminato sotto diversi punti di vista, andando a scovare aspetti di quegli anni che sono stati spesso, colpevolmente, taciuti. Una lettura della Liberazione che include le minoranze di allora che sono, purtroppo, le minoranze di oggi.
Lunedì 9 marzo è stato il momento di ricordare il coraggio delle donne che hanno lottato in prima persona contro l’occupazione nazifascista e, insieme a loro, l’insegnamento di alcune delle figure internazionali di più grande rilievo di questo secolo, attraverso una serie di letture dal vivo. Accanto alle memorie di Tina Anselmi, che racconta alla nipote di come a 17 anni iniziò a fare la staffetta per i partigiani con la temerarietà di un’adolescente, tanto da arrivare a chiedere e ottenere un passaggio dagli stessi soldati tedeschi, o all’arguzia di Lina Merlin che in un veloce scambio smaschera un poliziotto sotto copertura, appare così la lettera straziante di Lea Garofalo a Giorgio Napolitano, pochi giorni prima di essere uccisa dal marito e dal suo clan. Al coraggio di una donna che si è sacrificata contro le mafie, si aggiungono le testimonianze di Anna Politkovskaja e Malala Yousafzai: la prima vittima di un regime oscurantista, la seconda giovanissima eroina la cui voce a favore dell’accesso all’istruzione è stata più forte delle pallottole talebane.
Ma se colpiscono e si imprimono nella memoria le gesta di donne come Lia, uccisa a Niguarda proprio dove ora sorge un gigantesco murales commemorativo, o Jenide Russo, arrestata, deportata e morta dopo mesi di torture durante i quali non fece i nomi dei compagni di battaglia, ciò che sembra riecheggiare più forte oggi è l’intelligenza e la modernità delle loro parole.
Come la lucida analisi di Gisella Floreanini, membro del Governo provvisorio della Repubblica dell’Ossola:
“La Repubblica dell’Ossola è la sola che abbia immesso una donna nella Giunta provvisoria di governo: a me sembra sia un fatto di tale novità e originalità in Italia che deve essere approfondito nel suo significato, perché alcuni governi ora mi chiedono la ragione del perché sia avvenuto solo nell’Ossola, perché in nessun’altra della Zone libere?“
O l’intervento di Teresa Mattei, la più giovane eletta nell’Assemblea Costituente, che sull’articolo 3 della nostra Costituzione dichiarò:
“Il riconoscimento della raggiunta parità esiste per ora negli articoli della nuova costituzione. Questo è un buon punto di partenza per le donne italiane, ma non certo un punto di arrivo. Guai, se considerassimo questo un punto di arrivo.”
La forza e la determinazione di queste donne, le cui parole sembrano parlare alle ragazze di oggi, ci lasciano la grande responsabilità di mantenere al centro della discussione culturale e politica il ruolo della donna nella società. L’invito è per chiunque a riassaporare quotidianamente quella dignità di pensiero che queste eroine ci hanno lasciato in eredità.