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Le donne, lo spazio e i fantasmi della Storia

Le donne, lo spazio e i fantasmi della Storia

Sin dalla nascita, acquisiamo consapevolezza del fatto che è attraverso uno spazio che abitiamo la realtà, e che occupare uno spazio ci permetta di plasmarla o di essere a nostra volta influenzatə dall’ambiente che ci circonda. Eppure, occupare uno spazio, non avviene così tanto spontaneamente: ci vogliono dei ‘prerequisiti’.

Se per esempio, non sei biancə, o ancora la tua classe di appartenenza non è quella media e, a seguire, il genere che ti è stato affibbiato alla nascita, non è quello maschile, lo spazio si restringe inesorabilmente; esistere e coesistere, allora, diventerebbe – in maniera diversificata – molto più complesso di quello che sembra.

È pedissequo che chi conosce bene questa variabile della Storia, che non a caso è relativa, sa quanto farsi sentire, e quindi rivolgere verso l’alto la punta del naso, a pelo d’acqua rispetto all’abisso nel quale veniamo stipatə, costituisca, sovente, una vera e propria lotta alla sopravvivenza.

Lo spazio e la Storia: cosa succederebbe, invece, se per secoli la Storia non parlasse di te?

Se, dunque, declinassimo lo spazio al mondo sensibile le prime cose a venirci in mente sarebbero i centri urbani, le strade, gli edifici e le abitazioni; se invece, pensassimo in termini astratti, risalterebbero, per esempio, tutte quelle cariche che ci permettono – quando ce ne viene data occasione – di esercitare una posizione di autorevolezza – circa qualcunə e/o qualcosa.
È forse questa l’unica modalità che ci permette di lasciare il segno nella Storia, che ci consente quindi di essere vistə e poi ricordatə.
Ma, cosa succederebbe, invece, se per secoli la Storia non parlasse di te?

Se per pura fatalità fossi una donna – dato certo, nel mio caso –, la locuzione cartesiana “penso, quindi esisto” verrebbe meno, come lo spazio che nel corso dei secoli la donna ha potuto ricoprire con la sua presenza.

Virginia Woolf e i fantasmi della Storia

A investirsi della responsabilità di gettare luce sulla condizione fantasmatica della donna nella Storia inglese, fu proprio Woolf, alla quale, nel gennaio del 1928, venne chiesto di tenere due conferenze su “le donne e il romanzo”, presso le università di Girton e Newnham. Questi due incontri daranno i natali al saggio Una stanza tutta per sé.  

Woolf rimarca quanto “sia dovere delle donne imparare a leggere la Storia attraverso i suoi vuoti, oltre che attraverso i suoi pieni; e dimostra loro come quei vuoti siano da sempre, in verità, straordinariamente affollati. Affollati di fantasmi”.

Woolf trova “deplorevole […] che non si sappia niente delle donne prima del Settecento” e per rispondere alla critica di un vescovo che reputava impossibile per qualsiasi donna – passata, presente e futura – possedere il genio di Shakespeare, si inventa la figura di una sua immaginaria sorella. 

Quest’ultima, diversamente dal fratello, fu costretta a restare a casa, rammendando qualche calza magari, tralasciando le sue straordinarie capacità e il suo desiderio di avventura (cfr. Woolf, 1929); contrariamente a Shakespeare non le fu permesso di inebriarsi con gli scritti di Orazio e Virgilio ma, è forse possibile che “scrivesse di nascosto qualche pagina, su in soffitta, ma stava bene attenta a nasconderla o bruciarla”. Promessa in sposa a un mercante di lane, privata della possibilità di autodeterminarsi, ella si uccise. 

Con questo primo atto di rettificazione della Storia, Virginia Woolf solleva due delle questioni, che tanto in passato, quanto nel vicino presente, precludono alla donna la possibilità di affermarsi nella società, e in questo caso di scrivere un’opera letteraria: una stanza tutta per sé e cinquecento sterline annuali.

Una stanza tutta per sé e il denaro

Riavvolgendo il nastro del tempo, emerge come, sin dall’età elisabettiana, per la donna scrivere, e quindi accompagnare le proprie inclinazioni, sia un atto di coraggio.

A tal proposito, mi chiedevo: quanto uno spazio privato, come una stanza domestica, e come l’impercettibile, ma, tuttavia, palpabile realtà sociale avessero determinato e continuino a determinare la donna – nel suo essere e nell’ipotesi di essere altro dalla percezione che ha di sé, nel presente.

Parlando dello spazio, Woolf evidenzia come sino al XX secolo, ricavarsi una dimensione ove sbrigliare il proprio genio creativo, fosse un’impresa non da poco; ma avere a disposizione un luogo che fosse privo di rumori e accessibile unicamente alla donna, rendeva questa già ardua impresa, impossibile.

Inoltre, anche solo immaginare di scrivere, per una donna del Cinquecento, comportava una serie di fattori determinanti. In primis, vale la pena considerare che il poco denaro di cui la donna disponeva, dipendeva unicamente dalla benevolenza paterna, ed era appena il necessario per assecondare i suoi bisogni primari.

Ma nel caso in cui quest’ultima decidesse di accingersi all’impresa della scrittura, quello che l’aspettava era tutt’altro che incoraggiante; infatti, era bersaglio di critiche che guardavano alla donna scrittrice come “pedante con la mania di scribacchiare” come Pope o Gay dicevano di Lady Winchilsea.

Ma le critiche di cui vi parlo, non provenivano soltanto da uomini; anche le stesse donne coltivavano il triste seme dell’ostilità: come riporta Woolf, Dorothy Osborne diceva di Margareth Cavendish, Duchessa di Newcastle (molto amata da Charles Lamb), che:

“Certo la povera donna deve essere un po’ fuori di sé, altrimenti non potrebbe mai essere tanto ridicola da spingersi a scrivere dei libri, e per giunta in versi; dal canto mio neanche se rimanessi due settimane senza dormire sarei in grado di arrivare a tanto.”

Insomma, la scrittura delle donne, era considerata una follia…

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Alla legittimazione del mestiere dello scrivere arriviamo grazie ad Aphra Behn che, in quanto vedova, non aveva altri mezzi per sostentarsi che non fossero una penna e un foglio di carta. È questo che dà inizio alla libera espressione del pensiero delle donne, come ricorda Woolf.

Ma, facciamo un salto nel tempo e approdiamo al XIX secolo. Una riflessione interessante viene mossa dalla scrittrice: perché, se si eccettuano pochissime opere, le donne scrivono solo romanzi?

“La donna e il romanzo”: una questione di classe

Qui, la questione dello spazio si ripresenta più vigorosamente di prima. Poc’anzi accennavo alla difficoltà di trovare uno spazio ove la donna potesse coltivare il mestiere dello scrivere, e ancora sottolineavo quanto fosse difficile ottenerne uno che favorisse l’atto della scrittura: silenzioso e isolato. È questa la volta di Jane Austen, che riaffiora dall’inchiostro della scrittrice per comunicarci quanto fosse possibile per una donna inglese scrivere nell’Ottocento, certo, ma attraverso quelli che in principio ho definito ‘prerequisiti’; in sostanza, l’attività della scrittura era concessa, sì, ma a delle condizioni: a patto che la famiglia d’appartenenza fosse di classe media e quindi possedesse una casa con una sala comune – la stessa che permise ad Austen di consegnarci Orgoglio e pregiudizio.

Grazie al suo memoir , scopriamo che adattò alle sue condizioni di partenza la sua scrittura e che in una sala affollata, con la porta sempre cigolante, era china sul suo manoscritto – che si premurava di nascondere con un foglio di carta assorbente. È per questo che il romanzo fu il genere prediletto dalle scrittrici ottocentesche inglesi: non esigeva che l’occhio fosse sempre vigile e permetteva alla mente di essere più rilassata.

E oggi… ?

Se siete arrivatə fin qui, avrete constatato quanto sia semplice cedere all’amara consapevolezza che la più parte delle donne, più di quanto siamo in grado di immaginare, non ha avuto la forza, né ha potuto ergersi dall’abisso dell’oblio al quale è statə relegata; tante di loro hanno trovato difficile ghermire il loro frammento di sogno, portarlo avanti, o nel peggiore dei casi sono state censurate e dimenticate.

Ad oggi, commettere l’errore di pensare che le variabili – di classe, di razza e di genere – di cui sopra siano meno incisive di adesso, sarebbe fatale: la Storia continua a essere priva di buchi e, tutt’ora, lo spazio è riservato a pochə privilegiatə. È doveroso ricordare che nel mondo attuale, se sei una donna e se una o più delle variabili che ho menzionato sopra ti determinano, occupare anche solo fisicamente uno spazio, risulta problematico e spesse volte assai pericoloso. Ciononostante:

“[…] è mia ferma convinzione che questa poetessa che non scrisse mai una parola e fu seppellita nei pressi di un incrocio, è ancora viva. Vive in voi e in me, e in molte altre donne che non sono qui stasera perché stanno lavando i piatti o mettendo a letto i bambini. Eppure, lei è viva. Perché i grandi poeti non muoiono; […] hanno bisogno di un’opportunità per tornare in mezzo a noi in carne ed ossa. E offrirle questa opportunità, a me sembra comincia a dipendere da voi. Poiché io credo che […] se prenderemo l’abitudine alla libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo; […] se guarderemo in faccia il fatto […] che non c’è neanche un braccio al quale appoggiarci ma che dobbiamo camminare da sole e dobbiamo entrare in rapporto con il mondo della realtà e non soltanto con il mondo degli uomini e delle donne, allora si presenterà l’opportunità, e quella poetessa morta, che era sorella di Shakespeare, riprenderà […] vita dalla vita di tutte le sconosciute che l’avevano preceduta, […] lei nascerà. Ma che lei possa nascere senza quella preparazione, senza quello sforzo da parte nostra, […] è una cosa che davvero non possiamo aspettarci, perché sarebbe impossibile. Ma io sono convinta che lei verrà, se lavoreremo per lei, e che lavorare così, anche se in povertà e nell’oscurità, vale certamente la pena.”

È questo un invito a riprenderci lo spazio che ci appartiene, uscire dall’abisso della dimenticanza e ripopolare la Storia: che essa venga sprigionata da uno scudo di menti e ne scagioni i suoi fantasmi; non in solitudine, ma in lotta continua.

 

V. Woolf, Una stanza tutta per sé, trad. e cura di Maria Antonietta Saracino, Einaudi, Torino 2016.
Memoir of Jane Austen, James Edward Austen-Leight.
Credits
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Foto di Lukas Rychvalsky: https://www.pexels.com/it-it/foto/tende-bianche-e-nere-2889618/
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