L’Arabia Saudita è notoriamente un luogo difficile in cui essere donne.
Il regno mette in atto una rigida interpretazione della legge islamica che prevede la separazione tra uomini e donne come un aspetto chiave di una società islamica. Prevede anche che gli uomini siano responsabili delle donne nella propria famiglia. Sotto questo “sistema di custodia”, come viene chiamato, le donne saudite devono ottenere il permesso di un accompagnatore uomo per viaggiare, studiare e sposarsi. Gli abusi domestici sono difficili da denunciare e raramente vengono puniti.
Recentemente, varie testate internazionali hanno riportato strazianti racconti di ragazze saudite che scappano dalle proprie famiglie per chiedere asilo all’estero. Hanno raccontato storie di attiviste per i diritti delle donne arrestate e imprigionate per aver “messo a repentaglio la sicurezza” dell’Arabia Saudita. Queste storie evidenziano la repressione che le donne vivono in questo Paese conservatore di 33 milioni di persone. Quello che si perde spesso tra le storie nei reportage sull’Arabia Saudita è che le donne saudite sono più che mere vittime.
Facendo ricerche sui movimenti sociali delle donne attraverso il Medio Oriente, ho imparato che le donne saudite – come in ogni popolo numeroso – formano un gruppo diversificato, con opinioni ed esperienze differenti. Vanno a scuola, lavorano come giornaliste e insegnanti, istruttrici di immersione, escono con gli amici per un caffè – e, sempre più spesso, sfidano la legge per ampliare i diritti.
La lotta per la parità di genere
Le donne del Paese iniziarono a combattere per il diritto di guidare l’automobile decine di anni prima del 2018, quando l’Arabia Saudita ha annullato il divieto di guida per loro. Diverse attiviste furono arrestate appena poche settimane prima della fine del divieto, dopo essersi pubblicamente messe alla guida. Le donne saudite hanno anche fatto campagne per abolire il sistema di custodia e accompagnamento, hanno fatto circolare petizioni online con l’hashtag #IAmMyOwnGuardian (“Sono io la mia sorvegliante”, NdT) e hanno organizzato eventi di divulgazione per informare ed educare le donne sulla legge dell’accompagnamento. Un’app, creata da donne, chiamata “Know Your Rights” (“Conosci i tuoi diritti”, NdT) dà informazioni alle donne sui propri diritti legali.
Ho trovato anche che le donne saudite sfruttano come possono le leggi che proibiscono agli uomini e alle donne di condividere insieme gli spazi pubblici. In privato, nelle aree solo-donne dei centri commerciali, parchi, ristoranti, scuole e bar, le donne si sentono libere di esprimere la loro indipendenza. Rimuovono i loro abayas – le lunghe tuniche nere che tutte le donne saudite devono indossare – e parlano in modo aperto, senza che ci siano uomini a regolare i loro comportamenti. Alcune donne hanno anche richiesto più aree segregate per genere, che possano dare loro più libertà in questa società patriarcale.
Educazione femminile
Le donne saudite vanno all’università dagli anni ‘70, ma le loro opportunità educative sono aumentate moltissimo negli ultimi 15 anni. Nel 2005 è stato fatto partire un programma di studio all’estero, finanziato dal governo. Questo programma manda decine di migliaia di giovani studentesse saudite negli Stati Uniti, Regno Unito, Canada e molti altri Paesi ogni anno. Nel 2010 è stato fondato il primo college per donne, la Princess Noura Bint Abdulrahman University. Con spazio per circa 60.000 matricole – il campus femminile più grande al mondo – questo istituto si pone di dare alle studentesse miglior accesso a campi dominati da uomini quali la medicina, le scienze informatiche, management e farmacologia. Nel 2015, il tasso d’iscrizione ai corsi triennali delle donne saudite ha superato quello degli uomini, costituendo il 52% di tutti gli studenti nel regno, secondo il Ministero dell’Educazione saudita.
Donne che lavorano
I tassi di impiego non hanno seguito queste tendenze dell’educazione. Solo il 22% delle donne saudite ha lavorato fuori dalla propria casa nel 2016, a confronto di un 78% della popolazione maschile, secondo la Banca Mondiale.
Eppure, le donne possono – e così fanno – lavorare in quasi tutti gli stessi settori degli uomini, con l’eccezione dei campi “pericolosi”, come l’edilizia o la raccolta dei rifiuti. Dato che la legge islamica permette alle donne di essere in possesso e di amministrare le loro proprietà, sempre più donne saudite vedono l’impiego come strada verso l’indipendenza finanziaria. Ci sono giornaliste saudite, come Weam Al Dakheel, che nel 2016 è diventata la prima presentatrice donna in televisione per le news della mattina. Ci sono donne saudite avvocate, come Nasreen Alissa, una delle poche donne a gestire uno studio legale in Arabia Saudita e inventrice dell’app “Know Your Rights”. E ci sono moltissime saudite che insegnano. Appena più della metà di tutti gli insegnanti dell’Arabia Saudita è donna, secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD). Le donne saudite costituiscono anche quasi la metà dei lavoratori nel commercio al dettaglio.
Il governo saudita sta cercando di incentivare più donne ad avere un impiego e si è prefissato come obiettivo che il 30% di partecipazione nel mercato del lavoro debba essere femminile entro il 2030. Sebbene l’interazione mista tra generi sia proibita sul lavoro, le donne sono una componente vitale degli sforzi per la “saudizzazione” del regno, per rimpiazzare la forza lavoro straniera con una locale.
Impegno politico
L’Arabia Saudita ha iniziato lentamente a espandere i diritti delle donne dopo gli attacchi al World Trade Centre dell’11 Settembre 2001, come parte di uno sforzo di “rebranding”, in risposta alle opinioni negative sul Paese, visto come terreno fertile per terrorismo e fondamentalismo religioso. Più recentemente, le donne hanno fatto particolari progressi in politica. In una serie di prime volte, le donne sono state elette come ministre dell’educazione nel 2009, consigliere del re nel 2010 e ambasciatrici per gli Stati Uniti nel 2019. Nel 2015, alle donne è stato dato il diritto di voto e di partecipazioni alle elezioni municipali. Circa 1000 donne hanno fatto campagna e concorso per queste ultime, costituendo il 14% di tutti i candidati. La prima rosa di candidate dell’Arabia Saudita ha faticato a convincere i votanti, di cui solo il 9% è stato donna, a farsi eleggere. Ad oggi, si sono insediate su solo 20 dei 2.000 comuni del regno. A due prominenti attiviste per i diritti delle donne, Loujain Hathloul e Nassima Al-Sadah, è stato impedito di correre nel 2015 per ragioni non specificate.
Nella patriarcale Arabia Saudita, le donne elette affrontano barriere non indifferenti, anche nelle attività più limitate dei loro uffici, che includono supervisionare la raccolta dei rifiuti e fornire permessi edilizi. Alcune devono addirittura essere presenti ai consigli tramite videoconferenze per evitare di essere nella stessa stanza con gli uomini.
Queste difficoltà non hanno impedito alle donne saudite di lottare – sia dentro che fuori il sistema politico – per cambiare il Paese che chiamano casa.
“Non sono stata altro che una buona cittadina che ha amato il proprio Paese, una figlia affettuosa, una studentessa diligente e una devota lavoratrice” ha scritto l’attivista Nouf Abdulaziz in una lettera postata online dopo il suo arresto nel Giugno 2018.
Anche nella prospettiva della prigione, ha augurato il meglio per l’Arabia Saudita.
Fonte
Magazine: The Conversation
Articolo: Saudi women are going to college, running for office and changing the conservative country
Autrice: Alainna Liloia
Data: 25 marzo 2019
Traduzione a cura di: Caterina Fantacci
Immagine di copertina: The Conversation